La Cina espellerà molti giornalisti americani
Quelli del "New York Times", del "Wall Street Journal" e del "Washington Post": è una ritorsione contro una recente decisione di Trump sui media cinesi negli Stati Uniti
La Cina espellerà i giornalisti statunitensi che lavorano per il New York Times, il Wall Street Journal e il Washington Post. Ha inoltre chiesto che le tre testate, insieme a Voice of America e Time magazine, forniscano al governo cinese informazioni dettagliate sulla loro attività in Cina: lo ha annunciato martedì il ministro degli Esteri cinese.
Il 18 febbraio il governo statunitense aveva fatto sapere che, da quel giorno in avanti, le persone che lavoravano per cinque importanti media controllati dal governo cinese (l’agenzia di stampa Xinhua, il canale televisivo CGTN, China Radio, e i giornali China Daily e People’s Daily) sarebbero state considerate alla pari dei funzionari governativi, e sarebbero quindi state soggette alle stesse regole e alle stesse limitazioni dei membri delle delegazioni ufficiali cinesi. Il numero di cittadini cinesi autorizzati a lavorare per le cinque testate dagli Stati Uniti era stato quindi limitato a 100: la decisione aveva costretto 60 cittadini cinesi a lasciare il paese.
Quella cinese è dichiaratamente una ritorsione in risposta a questo provvedimento.
La Cina ha fatto sapere ai giornalisti del New York Times, Wall Street Journal e Washington Post i cui accrediti stampa scadranno quest’anno di «notificarlo al Dipartimento dell’Informazione del ministero degli Esteri entro quattro giorni a partire da oggi e restituire il tesserino di accredito entro dieci giorni». I tesserini sono necessari per la validità di visti e permessi di soggiorno, quindi i giornalisti che li riconsegneranno dovranno lasciare il paese. Quasi tutti i giornalisti delle tre testate che lavorano dalla Cina hanno accrediti stampa in scadenza quest’anno.
Il ministro degli Esteri ha aggiunto, inoltre, che i giornalisti americani con il permesso in scadenza non potranno più lavorare nemmeno nelle regioni di Hong Kong e Macao (che essendo regioni semiautonome hanno più libertà di stampa rispetto al resto della Cina).
Tutti questi provvedimenti – ha precisato il ministro – sono «contromisure che la Cina è costretta a prendere in risposta all’irragionevole oppressione dei media cinesi negli Stati Uniti».
I giornalisti delle tre testate sono quelli che più hanno raccontato che cosa è successo in Cina a gennaio e febbraio, durante l’epidemia di coronavirus. Negli ultimi anni, però, si sono occupati di altri argomenti sensibili per il governo cinese, come la repressione degli uiguri e i giri di affari poco trasparenti di alcuni membri delle famiglie di politici molto in vista nel partito comunista cinese, tra cui lo stesso presidente Xi Jinping.
New York Times, Wall Street Journal e Washington Post impiegano nelle loro redazioni in Cina anche diversi giornalisti di nazionalità non statunitense, che potranno quindi continuare a lavorare nel paese. Così come i giornalisti statunitensi il cui accredito scade nel 2021.
Le espulsioni vere e proprie di giornalisti stranieri sono piuttosto rare da parte del governo cinese. Lo scorso 19 febbraio il governo aveva annunciato l’espulsione di tre giornalisti del Wall Street Journal per via di un titolo considerato offensivo, ma la precedente espulsione dichiarata risale al 1998.
Negli ultimi anni, però, è diventato piuttosto comune che il governo cinese trovasse altri modi, meno espliciti e meno pubblici, di rendere la vita difficile ai giornalisti stranieri e alle loro famiglie, rendendo lungo e complicato il processo per il rinnovo dei visti, o negandolo del tutto.