In Myanmar l’esercito ha bloccato il tentativo di riformare la Costituzione
La Costituzione era stata approvata nel 2008 proprio dalla giunta militare, e concede ai militari molto potere
Martedì 10 marzo in Myanmar – lo stato nel sudest dell’Asia noto anche come Birmania – l’esercito ha bloccato il tentativo di riformare la Costituzione voluto dalla Lega Nazionale per la Democrazia, il partito guidato da Aung San Suu Kyi che governa con una maggioranza relativa. La Costituzione attualmente in vigore è stata approvata nel 2008 dalla giunta militare e concede all’esercito molto potere.
La Costituzione della Birmania è stata scritta dai militari ed è entrata in vigore con le ultime modifiche nel 2008 (i militari erano al potere nel paese dal 1962, anno del colpo di stato compiuto dal generale Ne Win contro l’allora governo democraticamente eletto). Tra il 2010 e il 2011 in Myanmar è cominciato un lento e complicato processo di transizione verso la democrazia: la giunta militare è stata sciolta, sono stati liberati molti dissidenti – fra cui Aung San Suu Kyi – e si è insediato un governo “civile”.
La Costituzione prevede che il 25 per cento dei seggi in parlamento sia riservato a membri non eletti scelti dal comandante in capo delle forze armate; prevede allo stesso tempo che una riforma costituzionale debba essere votata da oltre il 75 per cento dei deputati, dando quindi all’esercito un effettivo potere di veto su eventuali riforme, e concede ai militari anche il controllo su alcuni importanti ministeri come Sicurezza, Difesa e Affari interni, con la conseguente gestione di polizia, servizi di intelligence, frontiere e, naturalmente, delle forze armate. Le forze militari, dette Tatmadaw, hanno anche un notevole peso economico. La Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL) e la Myanmar Economic Corporation (MEC) sono società controllate dagli alti gradi militari del paese e possiedono a loro volta centinaia di imprese che operano nei settori più diversi, dall’edilizia al turismo.
A fine gennaio la Lega Nazionale per la Democrazia aveva proposto di creare una commissione speciale per proporre degli emendamenti alla Costituzione con l’obiettivo di ridimensionare gradualmente il peso politico dell’esercito. Il parlamentare che aveva presentato la proposta aveva spiegato che la Costituzione del paese «non era in linea con il sistema democratico». La prima fase della votazione era stata boicottata dall’ala militare: i militari si erano alzati in piedi in aula ed erano rimasti in silenzio, mentre la mozione sulla commissione veniva comunque approvata.
Dopodiché, come annunciato, durante le giornate di voto di lunedì 10 e martedì 11 marzo le forze armate hanno posto il loro veto sui primi emendamenti di modifica proposti. Gli emendamenti avrebbero limitato i poteri dei militari in ambito legislativo: avrebbero cioè ridotto i seggi parlamentari a loro riservati, avrebbero abbassato la maggioranza qualificata necessaria a riformare la Costituzione da tre quarti a due terzi e, tra le altre cose, avrebbero vincolato la nomina del comandante in capo delle forze armate al sostegno di una maggioranza civile.
I militari hanno bocciato anche la rimozione di una norma della Costituzione che impedisce la presidenza a chiunque abbia un marito o dei figli che sono cittadini stranieri. Suu Kyi è vedova di Michael Aris, studioso inglese di cultura tibetana e professore a Oxford. Da lui ha avuto due figli che sono cittadini britannici: questa norma le ha impedito dunque di candidarsi alla presidenza del paese, nonostante abbia comunque governato come consigliere statale, posizione creata in modo specifico per il suo caso.
I tentativi di modifica alla Costituzione rappresentavano la sfida più significativa al potere dei militari in Myanmar da almeno tre anni, dopo che sul genocidio della minoranza musulmana dei Rohingya, Aung San Suu Kyi aveva invece difeso il suo paese e i vertici stessi dell’esercito di fronte alla Corte penale internazionale (ICC). La Lega nazionale per la Democrazia era consapevole che il tentativo di modificare la Costituzione avrebbe fallito, ma lo ha comunque sostenuto per aumentare il proprio consenso in vista delle elezioni generali che si terranno il prossimo novembre e per mostrare i progressi su uno dei suoi impegni chiave delle scorse votazioni. Nel 2015, infatti, le riforme costituzionali erano state al centro della campagna elettorale dell’NLD, ma fino ad ora erano stati fatti pochi progressi. Questa spiegazione, dice Reuters, è confermata dal commento fatto da un membro della Lega in Parlamento, Ye Htut, che ha definito la riforma, appunto, «una promessa elettorale».