È vero che l’Europa ci nega mascherine e attrezzature?
Nei giorni scorsi diversi paesi avevano trattenuto i carichi – anche l'Italia ha fatto qualcosa del genere con i ventilatori polmonari – ma poi è intervenuta Ursula von der Leyen
Le attrezzature sanitarie fondamentali per contenere la diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2) e curare i pazienti malati devono circolare velocemente e liberamente all’interno dell’Unione Europea, ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen intervenendo su un tema che ha provocato accese discussioni tra i paesi membri, negli ultimi giorni.
Si parla nello specifico delle mascherine (chirurgiche e con filtri), delle tute e degli altri capi protettivi, dei ventilatori polmonari e delle altre attrezzature che abbiamo imparato a conoscere in questi giorni, perché utilizzati dal personale sanitario per trattare i pazienti malati di COVID-19 o perché, come nel caso delle mascherine, necessarie per chi sta continuando a lavorare a contatto con le persone, per esempio nei supermercati.
I provvedimenti annunciati da von der Leyen arrivano dopo che alcuni paesi, come Francia e Germania, avevano annunciato di voler trattenere per il mercato interno le mascherine e altre attrezzature mediche prodotte, generando reazioni contrariate e polemiche anche in Italia. Le notizie di camion pieni di mascherine bloccati alle frontiere avevano ulteriormente inasprito le discussioni, ma la situazione si era comunque già in parte risolta: le importazioni di mascherine dalla Francia e Germania sono infatti state sbloccate domenica, ha annunciato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Nel suo messaggio von der Leyen ha detto che «bisogna aiutarsi a vicenda: nessun paese può produrre da solo quello di cui ha bisogno». Oggi è l’Italia ad averne bisogno, ha continuato, ma nelle prossime settimane sarà il turno di altri paesi. I tre punti principali dei provvedimenti annunciati da von der Leyen sono: aumentare la produzione, tenere all’interno dell’Unione Europea i materiali prodotti e condividerli tra i paesi membri.
European response to the #coronavirus: Protecting people‘s health and ensuring that goods flow in the internal market pic.twitter.com/9JNBzHjqvc
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 15, 2020
Sabato il presidente della Protezione Civile Angelo Borrelli aveva detto che il fabbisogno mensile italiano di mascherine è di circa 90 milioni in questo momento, e che lo Stato ha fatto contratti per ottenerne 55 milioni. Ma il problema, aveva detto Borrelli, è che molti paesi del mondo che le producono – aveva citato India, Romania, Russia e Francia – le stanno trattenendo dopo la chiusura delle esportazioni. I blocchi avevano interessato anche attrezzature già ordinate dalle aziende italiane: gli accordi, insomma, non erano stati rispettati. L’ANSA, citando sue fonti, aveva parlato di 19 milioni di mascherine bloccate.
È una questione che va avanti ormai da diversi giorni, dopo che erano stati segnalati i primi camion di mascherine bloccati ai confini – per esempio tra Germania e Svizzera – e dopo che i ministri dei paesi protagonisti dei blocchi alle esportazioni avevano difeso la necessità di tenere per il mercato interno le attrezzature mediche, almeno in attesa di capire gli sviluppi dell’epidemia. In altri casi, merci sanitarie sono rimaste bloccate ai confini per via dei grossi assembramenti seguiti alle restrizioni doganali introdotte dai paesi per via del coronavirus. Per risolvere questo problema, von der Leyen ha chiesto ai paesi membri di coordinare le proprie restrizioni alle merci in ingresso e uscita a livello europeo, annunciando delle linee guida per lunedì.
L’esigenza di destinare all’emergenza domestica l’intera produzione delle attrezzature sanitarie necessarie, comunque, ha interessato anche l’Italia: l’unico produttore nazionale di ventilatori polmonari, utilizzati nei reparti di terapia intensiva per l’intubazione dei malati di COVID-19 più gravi, è l’azienda emiliana SIARE. Dopo una richiesta da parte del governo di produrre 500 ventilatori al mese per arrivare a 2.000 a giugno, arrivata il 6 marzo, SIARE ha sospeso tutti gli ordini dall’estero, ha confermato una portavoce dell’azienda al Post.
Intervistato dall’ANSA, il presidente di SIARE Giuseppe Preziosa ha detto: «Ogni volta che apro il computer vedo arrivare decine di mail con ordini per i nostri ventilatori, anche ora: mille me ne chiedono dall’Egitto, e poi centinaia da Romania, California, Canada, Cile, Messico. A tutti devo dire no».
La richiesta di ventilatori per gli ospedali italiani è stata gestita quasi interamente da CONSIP, la società pubblica che si occupa degli acquisti della pubblica amministrazione. CONSIP ha acquistato prima 325 ventilatori da SIARE, e poi in pochi giorni ha concluso ordini per altri 3.918 ventilatori provenienti da aziende distributrici italiane, che dovrebbero essere consegnati tutti entro fine aprile, ha spiegato un portavoce al Post. A questi si aggiungono quelli che eventualmente possono essere reperiti dalle amministrazioni locali, più quelli provenienti dalle donazioni: domenica Di Maio ha annunciato per esempio che la Cina ne ha spediti quasi 200, insieme a 5 milioni di mascherine FFP2, cioè dotate di un filtro certificato.
In Italia c’è infatti una sola azienda che produce mascherine certificate dotate di questi filtri (FFP2 e FFP3), e per questo il governo inserirà nel decreto economico sul coronavirus una deroga che permette alle aziende produttrici di autocertificare le caratteristiche tecniche delle mascherine, e di metterle in produzione dopo aver ricevuto un parere positivo dall’Istituto Superiore di Sanità.