Cosa dice il nuovo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sul coronavirus
Per tutti i casi italiani l’infezione è avvenuta direttamente in Italia, fatta eccezione per i primi tre casi segnalati nel Lazio e per il caso di una persona iraniana
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato un bollettino sull’epidemia da coronavirus (SARS-CoV-2) in Italia, con le informazioni che ha potuto finora raccogliere sulla diffusione dei contagi nel nostro paese. Dalle analisi, l’ISS ha concluso che per tutti i casi italiani l’infezione è avvenuta direttamente in Italia, fatta eccezione per i primi tre casi segnalati nel Lazio che derivavano invece da contagi all’estero, probabilmente in Cina.
Nel bollettino l’ISS spiega inoltre di avere ricevuto la segnalazione dalla regione Lombardia di una persona di nazionalità iraniana, che si sarebbe “verosimilmente infettata in Iran”. Nella giornata di martedì alcuni giornali hanno pubblicato articoli sulla possibilità che la fonte dei contagi fosse quindi iraniana, ma il documento dell’ISS non arriva a questa conclusione: semplicemente indica quel caso come diverso da tutti gli altri, dovuti a contagi diretti in Italia per tutti i casi italiani finora analizzati.
L’Iran è tra i paesi ad avere segnalato il più alto numero di casi da coronavirus dopo la Cina e l’Italia, ma ci sono sospetti circa l’affidabilità dei dati forniti dal governo iraniano e la possibilità che i positivi siano molti di più. I casi di coronavirus segnalati sono stati finora circa ottomila con 291 morti. Nelle ultime settimane il contagio ha interessato membri del governo e circa il 10 per cento dei parlamentari, ed è stata segnalata la morte di alcuni diplomatici e altre personalità di rilievo delle istituzioni.
Il documento dell’ISS indica ancora lacune nei dati disponibili, che si confida possano essere colmate con ulteriori indagini nei prossimi giorni. Su 8.342 casi positivi analizzati, per esempio, è stato possibile ricostruire la data di inizio sintomi per solamente 4.555 casi. Il tempo mediano tra il momento in cui ogni positivo ha manifestato sintomi e il momento in cui gli è stata diagnosticata la COVID-19 (la malattia causata dal coronavirus) è stato di 3 giorni tra il 20 e il 27 febbraio e di 4 giorni dal 28 al 9 marzo. L’aumento è probabilmente dovuto alla maggiore quantità di test eseguiti, che ha portato a un maggior carico per i laboratori.
L’età mediana dei casi diagnosticati dai laboratori è di 65 anni. Per le persione sopra gli 80 anni il tasso di letalità (cioè la percentuale di persone malate che muoiono) è del 13,2 per cento, che scende al 6,4 per cento tra i 70 e 79 anni. Nella fascia 60-69 anni, il tasso di letalità è del 2,5 per cento, in quella tra i 50-59 dello 0,2 per cento e in quella tra i 40-49 anni dello 0,1 per cento.
Tra gli operatori sanitari sono stati diagnosticati almeno 583 casi di COVID-19, a indicazione di quanto sia consistente il rischio di infezioni per medici e il resto del personale negli ospedali. L’ISS spiega che “questo dato potrebbe essere sottostimato in quanto per una parte dei casi, soprattutto quelli diagnosticati più recentemente, non è stata ancora completata l’indagine epidemiologica”.
L’ISS sta ancora lavorando per ricostruire la catena di trasmissione dell’infezione, che potrebbe aiutare a risalire ai primi casi registrati in Italia e all’origine dell’epidemia. Il dato comunque rilevante riguarda comunque i collegamenti epidemiologici tra i casi positivi finora rilevati, cioè da chi hanno contratto il virus le persone. Nel complesso, i collegamenti sono tra casi diagnosticati in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e nelle altre zone maggiormente interessate dall’epidemia.
Il presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, ha ricordato che: “L’indagine rileva una percentuale significativa di casi sotto i 30 anni, un dato che conferma quanto questa fascia di età sia cruciale nella trasmissione del virus”. Anche per questo motivo il governo ha disposto le restrizioni agli spostamenti su tutto il territorio nazionale, invitando la popolazione a stare il più possibile a casa proprio per evitare che persone con sintomi lievi mantengano una vita sociale attiva, contribuendo alla diffusione del coronavirus.