La prigione segreta per migranti in Grecia
L'ha scoperta il New York Times: viene usata per trattenere in maniera illegale e sommaria i richiedenti asilo che arrivano dalla Turchia, per poi riportarli indietro
In una lunga inchiesta, il New York Times ha dimostrato come il governo greco stia trattenendo in isolamento i migranti arrivati attraversando il confine turco in un luogo segreto fuori da qualsiasi ambito di diritto, una specie di prigione informale, per poi espellerli in Turchia.
Diverse persone sentite dal giornale hanno raccontato di essere state catturate, private delle loro poche cose, picchiate ed espulse forzatamente dal paese senza avere la possibilità di chiedere asilo o di parlare con un avvocato: in totale violazione, dunque, del principio di non respingimento dei richiedenti asilo previsto dal diritto internazionale ed europeo. L’esistenza del centro segreto è stata confermata da una serie di dati e testimonianze raccolte sul campo e dalle analisi delle immagini satellitari.
Il contesto
A fine febbraio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan aveva annunciato di aver aperto i confini del paese ai migranti intenzionati a raggiungere l’Europa, poco dopo che 36 soldati turchi erano stati uccisi vicino a Idlib. La Turchia si trova a Idlib soprattutto per ragioni interne: per impedire che i tre milioni di abitanti di Idlib, fra cui molti ribelli, scappino in Turchia, e mantenere un avamposto in funzione anti-curda. Fino ad allora la Turchia aveva tenuto chiusi i propri confini con l’Europa dietro il pagamento di ingenti somme di denaro da parte dell’Unione Europea – circa 6 miliardi di euro fino al 2019 – desiderosa di frenare l’arrivo nel continente di migliaia di migranti costretti a scappare dalla Siria a causa della guerra.
Il nuovo governo greco di centrodestra, a differenza di quello turco, ha deciso però di non aprire i confini, accusando la Turchia non solo di permettere i flussi ma anche di facilitarli. Da giorni sta respingendo con la violenza i migranti che cercano di raggiungere il territorio greco via terra, nei pressi del fiume Evros, sia via mare, soprattutto sull’isola di Lesbo.
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Il portavoce del governo greco Stelios Petsas non ha commentato l’esistenza del centro segreto di detenzione ma ha confermato che il suo paese ha arrestato ed espulso diversi migranti. Lo scorso 3 marzo, con uno strumento previsto dalla Costituzione e utilizzato in circostanze straordinarie e urgenti, il governo greco ha approvato le espulsioni dei migranti e la sospensione dell’esame delle richieste di asilo, per un mese: una misura quasi sicuramente illegittima secondo il diritto internazionale, e criticata anche dall’ONU.
Nel frattempo al confine tra Turchia e Grecia migliaia di migranti sono rimasti bloccati e sottoposti a tentativi di respingimento brutali: ci sono stati violenti scontri, lanci di gas lacrimogeni che hanno colpito anche dei bambini, e proiettili vari. La situazione è molto difficile anche a Lesbo, dove squadroni di persone vestite di nero, e legate all’estrema destra di Alba Dorata, hanno condotto incursioni punitive contro operatori umanitari, giornalisti e profughi.
La prigione
Il sito segreto scoperto dal New York Times si trova nella parte nord-orientale della Grecia. François Crépeau, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e ora professore di diritto internazionale presso la McGill University (Canada), ha affermato che il luogo sarebbe l’equivalente di un black site, che nel linguaggio militare indica una località in cui viene portato avanti un progetto segreto e non ufficiale, in violazione dello stato di diritto.
Il New York Times ha intervistato un ingegnere curdo-siriano di nome Somar al-Hussein, uno dei primi migranti sollecitati dal governo turco, a fine febbraio, a raggiungere la Grecia. Dopo aver trascorso una notte sotto la pioggia sulla riva del fiume Evros, che corre lungo il confine tra Turchia e Grecia, al Hussein ha detto di essere salito con altri migranti su un gommone per attraversare il fiume e arrivare in territorio greco. Il suo viaggio è terminato un’ora dopo: catturato dalle guardie di frontiera greche, lui e il suo gruppo sono stati portati in un luogo di detenzione. Come ha potuto ricostruire dal cellulare, il sito si trovava a poche centinaia di metri a est della città di Poros, vicino al confine.
La struttura era formata da tre capannoni con il tetto rosso disposti a forma di U. Lì, ha raccontato al Hussein, c’erano centinaia di migranti come lui, dentro e fuori dalla struttura. Somar al-Hussein è stato portato dentro e stipato in una stanza con dozzine di altre persone. Gli hanno confiscato il telefono per impedirgli di fare chiamate, e le sue richieste di domanda di asilo e di contattare i funzionari delle Nazioni Unite sono state ignorate. «Per loro siamo come animali», ha detto delle guardie greche. Dopo una notte senza cibo e acqua è stato riportato al fiume Evros e trasportato in territorio turco a bordo di un piccolo motoscafo dagli agenti greci: di fatto, è stato respinto senza la possibilità di chiedere asilo, come previsto dalle leggi greche, internazionali ed europee.
Al-Hussein, scrive il New York Times, è stato uno dei numerosi migranti a fornire resoconti simili su detenzioni ed espulsioni extragiudiziali, ma la sua testimonianza era la più dettagliata.
Tramite incroci di informazioni, descrizioni, dati e coordinate satellitari, il New York Times è riuscito a localizzare il centro di detenzione, che si trova nei terreni agricoli tra Poros e il fiume Evros.
Un ex funzionario greco che conosce i metodi della polizia ha confermato l’esistenza del sito, che non è classificato come struttura di detenzione ma che viene utilizzato in modo informale durante i periodi di elevati flussi migratori. Venerdì scorso, tre giornalisti del New York Times sono stati fermati a un posto di blocco della zona da agenti di polizia in uniforme e da ufficiali delle forze speciali con il volto coperto, prima di poter verificare di persona le informazioni raccolte.
Altre violazioni
I respingimenti al confine terrestre con la Turchia non sono le uniche violenze compiute nelle ultime settimane dalla Grecia. Lunedì 2 marzo le forze dell’ordine greche hanno ucciso un richiedente asilo siriano con un colpo di pistola sulla riva occidentale del fiume Evros. Si chiamava Mohammad Arab, aveva 22 anni ed era scappato cinque anni fa da Aleppo, in Siria. Un video girato poco dopo il ferimento di Arab è autentico, come ha dimostrato un rispettato gruppo di ricercatori e giornalisti con sede a Londra chiamato Forensic Architecture. Ma il portavoce del governo greco Stellos Petsas lo aveva definito una «fake news» e un esempio della «propaganda turca», il cui obiettivo sarebbe mettere in cattiva luce il governo greco e la gestione dei migranti al confine.
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Usando i filmati forniti a diversi media, il New York Times ha poi stabilito che la Guardia costiera greca sta attaccando i gommoni dei migranti che cercano di raggiungere le coste greche.
Il 2 marzo una nave della Guardia Costiera ha respinto violentemente un gommone carico di migranti, come risulta da un video ottenuto dal New York Times. Il filmato mostra la nave della Guardia Costiera e un motoscafo non contrassegnato che circonda il gommone. Si vede un uomo armato che spara almeno due volte nelle acque intorno al gommone, si vedono uomini spingere e colpire il gommone con lunghi bastoni e si vede la nave più grande passare velocemente vicino al gommone cercando di farlo inclinare.
Il portavoce del governo greco, in questo caso, non ha negato l’autenticità del video ma ha affermato che la Guardia Costiera non ha sparato proiettili veri.
L’analisi del New York Times ha stabilito che l’episodio è avvenuto vicino all’isola di Kos dopo che i migranti erano entrati in acque greche.
Prima che emergessero queste prove sulle violenze commesse dalla polizia greca e quelle di segretezza sul sito di Poros, la Grecia è stata lodata dall’Unione Europea per come ha gestito i migranti al confine con la Turchia e dall’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (nota in passato come Frontex) le sono stati promessi nuovi rinforzi. Nel frattempo, la Commissione europea ha dichiarato che «non è in grado di confermare o smentire» le notizie e le prove dell’inchiesta del New York Times e ha invitato il sistema giudiziario greco a indagare.
Alcuni giornali greci hanno riportato in modo dettagliato l’inchiesta del New York Times, sottolineando però la posizione della Grecia: se migliaia di rifugiati continueranno ad arrivare, il timore è che rimarranno per anni sovraccaricando il paese con scarso sostegno da parte degli altri paesi membri dell’Unione Europea, aggravando le tensioni sociali, un’economia già in difficoltà e la situazione già complicata dei migranti presenti.