Intanto, in Argentina
La crisi economica è gravissima e il governo sta cercando di rinegoziare almeno parte del suo debito pubblico, pagando meno o dopo
Il governo argentino ha pubblicato il decreto che apre la strada alla ristrutturazione del debito pubblico del paese. La decisione è arrivata nel momento in cui la situazione finanziaria pubblica del paese è in rapido peggioramento: il peso del debito rappresenta oltre il 90 per cento del prodotto interno lordo (in gran parte in valuta estera), il paese è in recessione, ieri la borsa di Buenos Aires ha perso oltre il dieci per cento in apertura e il prezzo del petrolio, rendendo lo scenario generale ancora più complicato, è calato del 30 per cento (il crollo più pesante dalla Prima guerra del Golfo, nel 1991).
Il testo del decreto presidenziale è piuttosto semplice: autorizza il ministero dell’Economia a rinegoziare con i creditori un debito nominale da 68.842 miliardi di dollari, pari ai due terzi del debito detenuto da privati (e che sono principalmente rappresentati da cinque grandi fondi di investimento) e circa un quinto del debito estero totale. Rinegoziare vuol dire cambiare le condizioni: restituire una cifra minore e/o in un tempo più lungo. Il governo argentino vorrebbe ritardare la scadenza di alcuni prestiti, ma anche trovare un accordo per ridurne l’importo. Secondo la stampa, i fondi che hanno comprato i titoli argentini si opporranno al taglio del credito, ma potrebbero essere disponibili a trattare sugli interessi e a posticipare i termini dei pagamenti.
Negli ultimi mesi l’economia dell’Argentina è ulteriormente peggiorata. Il peso, la valuta locale, ha continuato a perdere valore; le esportazioni di prodotti agricoli sono crollate, soprattutto a causa di una prolungata siccità che ha ridotto i raccolti. Temendo una nuova crisi, molte aziende e imprenditori hanno ritirato i loro investimenti dal paese, peggiorando la situazione e l’indebitamento di alcune grandi società. Nel 2018 il governo dell’Argentina (con Mauricio Macri presidente) aveva ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale un prestito per sostenere l’economia pari a 57,1 miliardi di dollari, ma la situazione finanziaria aveva spinto il governo a chiedere di avviare dei negoziati per riprogrammare e spostare le scadenze di restituzione del credito.
Lo scorso ottobre c’erano state le elezioni presidenziali: Macri era stato sconfitto e al suo posto, a dicembre, era entrato in carica Alberto Fernández, un peronista moderato che aveva presentato la ristrutturazione dei conti del paese come uno degli elementi essenziali della sua politica economica (sostenendo che le scadenze non potessero essere subordinate alla crescita) e che aveva rifiutato l’invio di una tranche di aiuti dell’FMI fissando l’ammontare del debito con il fondo a 44 miliardi di dollari. Il nuovo ministro dell’Economia, Martín Guzmán, ha spiegato che più della metà del debito del paese è dovuta alla politica economica portata avanti dal governo Macri, che ha utilizzato i prestiti per regolare il mercato delle valute, penalizzando industrie locali e privati e facendo aumentare povertà e disoccupazione.
Qualche settimana fa l’FMI aveva fatto sapere che il debito del paese era effettivamente troppo pesante per essere rimborsato alle condizioni attualmente previste: aveva definito i livelli di debito dell’Argentina «insostenibili», anticipando che sarebbe stato necessario un «contributo significativo» da parte dei creditori privati per aiutare a ripristinare la sostenibilità.