La legge che restringe l’accesso alle case popolari per gli stranieri in Lombardia è stata giudicata incostituzionale
La Corte Costituzionale ha giudicato illegittima la legge regionale che in Lombardia restringe l’accesso alle case popolari per gli stranieri. La legge era stata approvata nel 2016 dal governo presieduto da Roberto Maroni e guidato dalla Lega, che ancora oggi esprime il presidente di regione e buona parte della giunta.
La legge prevedeva che per accedere alle graduatorie che assegnano le case popolari gestite dalla regione bisognava provare la «residenza anagrafica» o lo «svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia» per almeno cinque anni. Di fatto, come hanno segnalato diverse associazioni che si occupano di diritti umani, la norma impediva l’accesso agli stranieri da poco arrivati in Italia.
Nel comunicato stampa della Corte, si legge che il criterio dei cinque anni «non è sorretto da un’adeguata giustificazione sul piano costituzionale sia perché quel dato non è, di per sé, indice di un’elevata probabilità di permanenza (a tal fine risulterebbero ben più significativi altri elementi) sia perché lo stesso “radicamento” territoriale non può assumere un’importanza tale da escludere qualsiasi rilievo al dato del bisogno abitativo del richiedente». In sintesi, la Corte ha stabilito che abitare da tempo in Lombardia non è un criterio affidabile per capire se la famiglia in questione ci resterà anche negli anni successivi, né per valutare la condizione di bisogno delle persone che richiedono un alloggio.
La Corte Costituzionale si era già espressa su una legge simile nel 2005, e in quel caso l’aveva ritenuta legittima, tanto che nel 2016 il governo regionale aveva riproposto la stessa misura. Qualche tempo fa però l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva fatto notare che «in questi anni la giurisprudenza della Corte Costituzionale è cambiata, tanto che ha dichiarato incostituzionale il requisito di 8 anni di residenza nella Regione Valle d’Aosta».
Negli anni la Lega aveva sempre difeso la misura, e nel 2013 aveva proposto di aumentare il criterio minimo a 15 anni, di fatto cercando di impedire alla stragrande maggioranza degli stranieri di accedere alle graduatorie regionali.