Il più grande crollo del prezzo del petrolio dalla Guerra del Golfo
Il prezzo al barile è sceso del 30 per cento in un solo giorno, a causa della decisione dell'Arabia Saudita di aumentare la produzione per danneggiare Russia e Stati Uniti
All’apertura dei mercati questa mattina, il prezzo del petrolio è calato del 30 per cento: il crollo più pesante dalla Prima guerra del Golfo, nel 1991. Il prezzo al barile è sceso da quasi 40 dollari a poco più di 30, mentre hanno subito grossi cali di valore anche tutte le monete dei principali paesi produttori di petrolio, come il rublo russo e il peso messicano.
Il crollo di oggi è dovuto in larga parte all’annuncio da parte dell’Arabia Saudita di voler aumentare la sua produzione di petrolio. In un momento in cui, anche a causa dell’epidemia di coronavirus, la domanda di petrolio è molto bassa, l’annuncio di un aumento della produzione da parte dell’Arabia Saudita fino a superare i dieci milioni di barili di petrolio al giorno ad aprile, che sarà probabilmente seguito da decisioni simili negli altri paesi dell’OPEC, l’associazione dei principali produttori di petrolio, ha immediatamente prodotto un calo dei prezzi.
Al momento l’Arabia Saudita sta limitando la sua produzione a 9,7 milioni di barili al giorno, ma ha la capacità di produrre fino a 12 milioni di barili di petrolio al giorno.
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La decisione dell’Arabia Saudita è arrivata in seguito al fallimento delle trattative con la Russia per prorogare una riduzione concordata della produzione oltre il mese marzo, quando scadrà l’attuale accordo che impone ai produttori di limitare le quantità di petrolio estratto nel tentativo di mantenerne i prezzi elevati.
Questa mossa dei sauditi è esplicitamente pensata per danneggiare la Russia e gli Stati Uniti, il cui petrolio è molto costoso da estrarre e che quindi rischiano di non avere guadagni dall’estrazione quando il prezzo scende sotto i cinquanta dollari a barile. L’Arabia Saudita e gli altri membri dell’OPEC, invece, hanno quasi tutti giacimenti economici da sfruttare.
Anche prima del fallimento dei negoziati il prezzo del petrolio era già in calo per il timore degli investitori che l’Arabia Saudita decidesse di optare per un aumento della sua produzione. A dicembre il prezzo del petrolio era a 66 dollari a barile, prima di scendere ai circa 40 dollari a barile degli ultimi giorni.
La decisione di abbassare ulteriormente i rendimenti prodotti dalla vendita di petrolio danneggia quei paesi che già oggi faticano a mantenere i loro bilanci in ordine con i sempre più magri proventi delle esportazioni di idrocarburi. Circa metà del bilancio pubblico russo, per esempio, è finanziato con i proventi dell’industria petrolifera e del gas, mentre la situazione è altrettanto sbilanciata per diversi paesi africani e sudamericani.
Il resto del mondo, invece, pagherà ancora meno per acquistare petrolio e questo permetterà a molti paesi di risparmiare. Con i prezzi del petrolio in calo anche l’inflazione, già oggi bassissima, sarà ancora meno sotto pressione e, con il crollo della domanda in Europa dovuto all’epidemia di coronavirus, potrebbe addirittura avvicinarsi alla deflazione (cioè il suo contrario: un periodo in cui i prezzi, invece di aumentare, calano in modo generalizzato).