Il coronavirus se ne andrà col caldo?
Lo si sente dire spesso, pure dal presidente degli Stati Uniti, ma non ci sono ancora prove scientifiche per dirlo
Nelle ultime settimane il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sostenuto in più occasioni durante comizi e conferenze stampa che il coronavirus (SARS-CoV-2) non resisterà alla stagione calda, e che quindi tra pochi mesi scomparirà senza causare altri problemi. La stessa teoria si è diffusa per altre vie – su WhatsApp sta circolando insieme ad altre notizie false – ma a oggi non ci sono dati sufficienti per sostenere che con il caldo il problema del coronavirus possa sparire.
Il 10 febbraio, per esempio, Trump ha sostenuto che: “Molte persone pensano che [il coronavirus] se ne andrà ad aprile con il caldo, man mano che si alzerà la temperatura. Generalmente, se ne va via ad aprile”. In un’altra occasione, il 14 febbraio, ha detto: “C’è una teoria secondo cui, ad aprile, quando diventa caldo, come avvenuto in passato, il caldo possa uccidere il virus”.
Trump ha dimostrato in più occasioni di confondere il coronavirus con i virus che causano l’influenza stagionale, che sono però diversi dal SARS-CoV-2 che sta causando l’attuale epidemia. Questa confusione potrebbe essere alla base delle sue dichiarazioni, che non hanno fondamento scientifico, semplicemente perché non abbiamo ancora dati a sufficienza per comprendere come reagisca questo coronavirus alle variazioni ambientali stagionali.
L’epidemiologo statunitense Stephen Morse, della Columbia University, per esempio, ha spiegato che immaginare che il virus se ne vada con il caldo rientra a oggi nelle ipotesi più ottimistiche, basate semplicemente sulle conoscenze pregresse su altri tipi di virus: “È possibile, ma per ora è una pia illusione, facendo un’analogia con l’influenza e altri virus respiratori tipici della stagione fredda.” Ha poi aggiunto che una risposta sarà disponibile ad aprile, ma che questo implica agire ora per contenere i contagi, invece di “farsi cullare da analogie piene di speranza, ma molto probabilmente sbagliate”.
Altri tipi di virus e coronavirus che interessano gli esseri umani (alcuni causano i sintomi che chiamiamo “raffreddore”) tendono ad avere una loro stagionalità: sono più presenti nei mesi freddi e tendono poi a essere meno frequenti nella popolazione durante il resto dell’anno. I meccanismi che determinano questo andamento non sono ancora completamente noti ai virologi, anche se ci sono teorie secondo cui l’effetto sia determinato parzialmente dai cambiamenti stagionali.
Alcuni studi hanno per esempio dimostrato che alcuni tipi di virus resistono per ore e in alcuni casi giorni all’esterno degli organismi, per esempio sulle superfici: ma la loro capacità di rimanere attivi è ampiamente influenzata dalle condizioni ambientali, come temperatura e umidità dell’aria. Un’ipotesi è che alcune parti dei virus, come quelle che li proteggono, si degradino più lentamente quando sono in condizioni di bassa temperatura e aria secca. L’umidità sembra avere un ruolo determinante, per esempio, nel caso dei virus influenzali.
Nel 2003 con la SARS, altra sindrome respiratoria causata da un coronavirus, non si può escludere che l’arrivo del caldo avesse influito un minimo sulla riduzione dell’epidemia, che comunque fu contenuta grazie a misure molto rigide di isolamento per evitare la sua diffusone. L’attuale coronavirus potrebbe quindi diffondersi meno con il caldo, ma questo cambiamento di condizioni non sarebbe sufficiente per far sì che “scompaia” da solo come sostiene Trump.
Il coronavirus della SARS causò inoltre focolai durante la stagione calda, per esempio a maggio in Canada. Il coronavirus della MERS sembra invece trovarsi a proprio agio con le alte temperature dell’area del Golfo Persico, dove si era in parte diffuso. Entrambi i coronavirus avevano portato a contagi per lo più ospedalieri, quindi in condizioni diverse dalle attuali, che comprendono molte più variabili.
L’attuale coronavirus sta inoltre già circolando in paesi dove le temperature sono più alte rispetto a quelle di fine inverno, come quelli delle zone tropicali. Sarebbe insolito se smettesse di farlo all’arrivo del caldo nell’emisfero boreale (il nostro). In quello australe, dove ora è fine estate, il coronavirus è inoltre già presente, per esempio in Cile, Argentina e Australia, anche se rilevato in un numero piuttosto contenuto di persone.
A oggi semplicemente non ci sono elementi per dire con certezza se l’attuale coronavirus sia o meno stagionale.