Il referendum sul taglio del numero dei parlamentari sarà rinviato?
Dovrebbe tenersi il 29 marzo, ma a causa dell'epidemia di coronavirus in molti chiedono di rimandarlo: il governo dovrà prendere una decisione
Se il governo non deciderà di intervenire, il prossimo 29 marzo si terrà il referendum costituzionale sulla riforma che stabilisce la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari. Essendo un referendum costituzionale, non ci sarà quorum: se la metà più uno dei votanti sceglierà di abrogare la riforma, il numero dei parlamentari non cambierà. Ma con l’epidemia di coronavirus che coinvolge un numero sempre più alto di casi e regioni, con le varie misure prese per evitare assembramenti di persone, molti chiedono un rinvio della consultazione.
Il motivo principale dietro questa richiesta, come ha scritto tra gli altri il costituzionalista Massimo Villone sul Manifesto, è che a causa dell’epidemia e delle varie ordinanze regionali che mettono limiti agli assembramenti di gruppi di persone (dalla chiusura delle scuole a quella dei cinema), è difficile se non impossibile svolgere una normale campagna referendaria sul territorio, con incontri pubblici, eventi e comizi.
Secondo Villone, un referendum che non fosse preceduto da un’adeguata campagna elettorale sarebbe una lesione dei diritti dei cittadini. Il referendum andrebbe quindi spostato in modo da permettere che venga svolta una corretta informazione e una piena campagna, da una parte e dall’altra. Accanto alle considerazioni politiche a favore del rinvio ci sono anche quelle sanitarie. Gli eventuali assembramenti di persone ai seggi sono un luogo ideale per diffondere il contagio ed è proprio per evitare situazioni simili che sono stati introdotti limiti alla possibilità di riunirsi in luoghi pubblici. Molti fanno notare che sarebbe bizzarro se ora il governo ne consentisse e addirittura ne incentivasse uno particolarmente grande e su tutto il territorio nazionale.
Tra chi vede favorevolmente un rinvio ci sono anche i promotori del referendum stesso, il gruppo di senatori provenienti da vari partiti che, nelle scorse settimane, aveva raccolto le firme necessarie a chiedere che la riforma costituzionale che contiene il taglio dei parlamentari venisse sottoposta al voto degli italiani. «Pensiamo che spetti al governo prendere una decisione, perché è il governo che conosce le condizioni di salute pubblica», ha spiegato a Repubblica uno dei leader del comitato, il senatore del PD Tommaso Nannicini, che ha chiesto al governo di aprire un “tavolo” con il comitato promotore per verificare insieme se ci sono le condizioni per rinviare la consultazione.
Nel frattempo molti discutono di quale dei due campi sarebbe più favorito da un rinvio e di quali sarebbero le sue conseguenze sulla stabilità del governo. Ma come quasi sempre in questi casi, le opinioni non sono unanimi. Alcuni, per esempio, ritengono che la bassa affluenza favorirebbe i “no”, ritenendo che gli oppositori della riforma siano i più determinati a votare; altri sostengono il contrario.
In ogni caso, è solo il governo ad avere il potere di rinviare un referendum e, secondo la maggior parte degli esperti, potrebbe farlo ricorrendo a un semplice decreto legge, giustificato dall’emergenza creata dall’epidemia. Il decreto servirebbe ad approvare rapidamente una deroga alla legge che fissa le date entro le quali si possono svolgere i referendum (in base alle norme attuali, il referendum non potrebbe tenersi oltre i primi giorni di aprile, un rinvio considerato troppo ridotto per l’attuale situazione).
Pochi giorni fa, in un’intervista al Fatto Quotidiano, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha fatto la prima apertura a questa possibilità, dicendo che per il momento la data rimane invariata, ma aggiungendo che il governo sta seguendo la situazione e, se sarà necessario, «prenderà una decisione nei prossimi giorni». Se davvero si dovesse decidere di rinviare il referendum, la consultazione potrebbe essere spostata a giugno, in concomitanza con le elezioni regionali e amministrative.
Il taglio del numero dei parlamentari, approvato definitivamente dal Parlamento lo scorso ottobre, prevede di ridurre i seggi alla Camera da 630 a 400 e quelli al Senato da 315 a 200: una riduzione di circa un terzo. La riforma inoltre stabilisce un tetto massimo al numero dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica: mai più di 5. Tutti i principali partiti sono a favore o neutrali nei confronti della riforma (con l’eccezione di piccoli partiti come Più Europa).
Il PD è l’unico grande partito ad aver votato almeno una volta contro la riforma (durante l’esame della legge in Senato nell’estate del 2019), per poi votare a favore della riforma lo scorso ottobre (nel frattempo era andato al governo con il Movimento 5 Stelle, principale sostenitore della riforma). Tutti gli altri partiti hanno votato a favore o si sono astenuti. Oggi nessun grande partito sta facendo campagna per il “no”. Secondo i sondaggi, più dell’80 per cento degli elettori è favorevole al taglio.