Cosa c’è nell’accordo tra Stati Uniti e talebani
È un passo importante per concludere una guerra cominciata 19 anni fa e prevede il ritiro dei soldati americani dall'Afghanistan: ma ci sono ancora molte cose che possono andare storte
Stati Uniti e talebani hanno firmato oggi un importante accordo di pace a Doha, in Qatar, che nella migliore delle ipotesi porterà al ritiro graduale dei circa 13mila soldati statunitensi dall’Afghanistan e all’avvio di negoziati tra talebani e governo afghano. Se i talebani rispetteranno gli impegni previsti dall’accordo, il ritiro avverrà entro i prossimi 14 mesi.
L’accordo, arrivato alla fine di faticosi e lunghi negoziati, non metterà necessariamente fine alla guerra afghana, la più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti, in cui sono morti circa 2.500 militari americani e moltissimi civili afghani (circa 3.500 ogni anno); ma è considerato comunque un punto di partenza importante per futuri colloqui, nonostante molto scetticismo e prudenza.
La guerra iniziò nell’ottobre 2001, quando il presidente statunitense George W. Bush ordinò all’esercito americano di invadere l’Afghanistan in risposta all’attacco dell’11 settembre compiuto negli Stati Uniti da al Qaida.
Allora al Qaida era l’organizzazione terroristica più potente del mondo e aveva le sue basi in territorio afghano, protette dal regime dei talebani, un gruppo radicale che governava l’Afghanistan dalla seconda metà degli anni Novanta. I talebani – termine che significa “studenti” in pashtu, la lingua parlata in Afghanistan – avevano cominciato ad operare all’inizio degli anni Novanta nel nord del Pakistan, e poi, anno dopo anno, avevano conquistato diverse città afghane fino a prendere il controllo della capitale Kabul. Nel 1996 rovesciarono il regime dell’allora presidente Burhanuddin Rabbani e due anni dopo arrivarono a controllare il 90 per cento del paese.
Nel giro di poco tempo dall’invasione del 2001, gli Stati Uniti riuscirono a sconfiggere i talebani e a costringere al Qaida a spostare le proprie basi nel vicino Pakistan, ma poi la situazione si complicò. I talebani e altri gruppi radicali cominciarono a riorganizzarsi, a colpire i soldati statunitensi in Afghanistan, a fare la guerra al nuovo governo afghano appoggiato dagli Stati Uniti e a riconquistare pezzi di paese. Nonostante i diversi tentativi di raggiungere una tregua, la guerra in Afghanistan non è mai terminata e gli Stati Uniti hanno mantenuto i loro soldati nel paese.
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L’accordo firmato oggi prevede che i soldati statunitensi in Afghanistan vengano inizialmente ridotti da 13mila a 8.600 entro 135 giorni. Tra gli altri punti, si dice che il governo afghano chiederà al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di rimuovere le sanzioni applicate al momento a diversi leader talebani, ed è prevista anche la scarcerazione di 5mila membri dell’organizzazione attualmente nelle prigioni afghane. In cambio, i talebani dovrebbero liberare mille militari afghani. Come condizione per il ritiro totale dei militari americani, i talebani dovranno impedire agli estremisti di usare il paese per progettare attacchi contro gli Stati Uniti o i loro alleati.
L’accordo – e questo è un punto importante – è stato firmato da Stati Uniti e talebani, ma non dal governo afghano. I talebani si sono sempre rifiutati di parlare direttamente con il governo afghano, che ritengono una specie di “burattino” nelle mani degli americani. Questo ha condizionato enormemente i colloqui di pace, riducendo l’efficacia dell’intesa finale. In pratica dopo il ritiro dei soldati statunitensi inizierà una seconda fase del processo di pace, durante la quale talebani e governo afghano dovranno accordarsi sul ruolo che i primi avranno nella condivisione del potere statale, e come questo condizionerà alcune delle questioni più discusse e divisive, come la condizione delle donne nella società.
Nonostante la firma di oggi, considerata per lo più un passaggio necessario per arrivare alla pace in Afghanistan, attorno all’accordo c’è parecchio scetticismo.
Anzitutto c’è molta incertezza su cosa potrebbe uscire dai colloqui tra talebani e governo afghano, che dovrebbero cominciare il 10 marzo. Finora i talebani si sono mostrati molto intransigenti nei confronti del governo, e una delle ipotesi che si fa per il futuro è che il vero obiettivo del gruppo sia quello di prendere il controllo di tutto il paese, sfruttando il ritiro delle truppe statunitensi.
C’è incertezza anche sulla possibilità che in Afghanistan vengano fermate effettivamente le violenze: durante i colloqui di pace, nonostante le ripetute richieste americane, i talebani non avevano mai interrotto completamente gli attacchi – forse per mettere pressione ai negoziatori, ma probabilmente anche per la difficoltà dei capi di controllare tutti i miliziani. Lo scorso settembre proprio un attentato terroristico compiuto dai talebani aveva convinto il presidente statunitense Donald Trump a cancellare all’ultimo minuto un importante incontro a Camp David (Maryland) con i rappresentanti dei talebani e il presidente afghano Ashraf Ghani, facendo saltare i negoziati a un passo dall’accordo.
Un altro problema dell’accordo è che è visto con scetticismo da molti afghani, ha scritto Associated Press, che non ricordano nemmeno più cosa voglia dire vivere in pace. La mancanza di fiducia deriva anche dalla complicata situazione dell’economia afghana, che negli ultimi 19 anni è crollata a causa della guerra: oggi circa il 55 per cento della popolazione vive in povertà, rispetto al 34 per cento del 2012.
Secondo l’Economist, firmando un accordo di questo tipo con i talebani gli Stati Uniti hanno ammesso di fatto di non poter vincere la guerra in Afghanistan. Un mancato accordo tra talebani e governo afghano potrebbe inoltre intensificare la guerra civile nel paese, e il ritiro degli Stati Uniti potrebbe convincere altre potenze regionali a immischiarsi sempre di più nel conflitto afghano.