Il piano di Trump sul coronavirus
Il presidente statunitense ha parlato per la prima volta delle misure prese dal suo governo per frenare la diffusione del virus, che secondo molti sono insufficienti
Mercoledì il presidente statunitense Donald Trump ha parlato delle misure adottate dal suo governo per frenare la diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2) negli Stati Uniti. Trump, che era stato accusato da diversi parlamentari di avere sviluppato una strategia debole e inefficace, ha nominato il vicepresidente Mike Pence responsabile di coordinare la risposta del governo e ha annunciato un piano di 2,5 miliardi di dollari per contrastare la diffusione del coronavirus. Ha inoltre minimizzato molto i rischi legati al virus: «Abbiamo i più grandi esperti del mondo, proprio qui», riferendosi ai diversi esperti di sicurezza sanitaria che erano di fianco a lui.
Finora negli Stati Uniti sono stati confermati 15 casi di infezione, ma il numero di tamponi eseguiti è stato molto più basso (445) rispetto a quello di altri paesi, come per esempio il Regno Unito (7.132, ultimo dato ufficiale) e l’Italia (9.462 a ieri).
La conferenza stampa di mercoledì è stata la prima di Trump sul coronavirus, e si è tenuta il giorno dopo la prima positività riscontrata nel paese su una persona che di recente non aveva fatto viaggi all’estero. Non è chiaro come questa persona abbia contratto il virus, hanno detto i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC), l’organismo di controllo sulla sanità pubblica negli Stati Uniti, e probabilmente l’infezione è avvenuta in territorio americano. Il contagiato proviene dalla contea di Solano, in California, ed è ora ricoverato in un ospedale della contea di Sacramento.
L’ultimo caso confermato dai CDC ha provocato molte preoccupazioni tra le autorità sanitarie e diversi politici statunitensi, che temono che il governo di Trump non stia facendo abbastanza per prevenire la diffusione del virus.
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Martedì, per esempio, Nancy Messonnier, direttrice del centro che si occupa di malattie respiratorie all’interno dei CDC, aveva usato toni molto preoccupati con i giornalisti che le chiedevano notizie sul coronavirus. Messonnier aveva detto, riferendosi alla possibilità di una diffusione del virus anche negli Stati Uniti: «La questione non è più se accadrà, ma quando». Aveva aggiunto che gli ospedali e le scuole dovevano prepararsi per un eventuale peggioramento della situazione e che lei stessa aveva parlato alla sua famiglia prevedendo la possibilità di «un significativo impatto sulle nostre vite».
Mercoledì Trump ha cercato di ridimensionare le parole di Messonnier, mostrando uno studio della Johns Hopkins University (Maryland) che sostiene che gli Stati Uniti siano il paese più preparato al mondo per affrontare un virus.
Funzionari del governo americano citati dal New York Times hanno detto che Trump si sta mostrando molto riluttante ad accettare la visione più «allarmista» sul coronavirus. Durante la conferenza stampa, per esempio, Trump ha paragonato il virus all’influenza stagionale e ha detto che sparirà con l’arrivo del caldo, anche se diversi esperti gli hanno fatto notare che al momento le informazioni disponibili per dirlo sono molto poche. Trump ha detto anche di non credere che la diffusione del coronavirus negli Stati Uniti sia inevitabile, come invece aveva sostenuto il giorno prima Messonnier.
In generale non tutti sono convinti che gli Stati Uniti siano preparati ad affrontare la diffusione del coronavirus, soprattutto per alcune decisioni adottate negli ultimi anni dal governo Trump, che hanno provocato un taglio del budget e del personale del settore pubblico che si occupa di trattare crisi sanitarie di questo tipo.
Nel 2018, per esempio, la Casa Bianca eliminò un importante incarico previsto all’interno del National Security Council, l’organo che consiglia il presidente su temi di sicurezza nazionale e politica estera: quello di coordinatore della risposta a una pandemia. Oggi il governo non ha alcun incaricato di coordinare e indirizzare le decisioni della mezza dozzina di agenzie che prendono decisioni relative alla pubblica sicurezza e alle emergenze sanitarie. La mancanza di questa figura ha per esempio creato parecchia confusione sulla gestione dei 14 cittadini statunitensi risultati positivi al coronavirus a bordo della nave Diamond Princess, che sono poi stati rimpatriati nonostante l’opposizione di Trump.
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Mercoledì Alez Azar, segretario della Salute e dei Servizi Umani del governo americano, ha detto che Trump non ha intenzione di nominare un “coordinatore speciale” per affrontare la diffusione del coronavirus negli Stati Uniti, a differenza per esempio di quello che fece Barack Obama durante l’epidemia di ebola del 2014, che era molto più contenuta anche se derivante da un virus più rischioso del coronavirus.
Trump è inoltre accusato da diversi membri del Congresso, anche Repubblicani, di non spendere abbastanza soldi per fermare la diffusione del coronavirus. Il governo ha annunciato lo stanziamento di 2,5 miliardi di dollari, di cui la metà sottratta dai fondi per la protezione contro il virus ebola. Chuck Schumer, il capo dei Democratici al Senato, ha per esempio proposto uno stanziamento di 8,5 miliardi di dollari, di cui 3 miliardi da destinare a un fondo di emergenza per la sanità pubblica, 1,5 miliardi per i CDC, 1 miliardo per lo sviluppo di un vaccino e 2 miliardi per rimborsare gli stati e le città che finora si sono fatti carico di prevenire e prepararsi per una eventuale diffusione del coronavirus.
Un ultimo problema per Trump è che la maggioranza degli americani non crede a quello che lui dice: diversi membri della sua amministrazione stanno cercando di capire come rendere la comunicazione del presidente più efficace, soprattutto di fronte a situazioni confuse e tese come quella che potrebbe crearsi con la diffusione del coronavirus negli Stati Uniti.
Un sondaggio realizzato a novembre dal Washington Post in collaborazione con ABC News ha rilevato che solo il 31 per cento degli americani pensa che Trump sia onesto e affidabile. Stephen Morrison, esperto di sicurezza sanitaria al Center for Strategic International Studies, think tank di Washington, ha detto al Washington Post: «Quando hai una Casa Bianca che diffonde falsità su ogni sorta di questione, non sorprende che le persone [del governo] si facciano domande tipo: “Qual è la nostra strategia, e cosa stiamo comunicando al pubblico americano?”».