Il coronavirus è incontenibile?
È uno scenario sempre più probabile secondo diversi epidemiologi: lo prenderemo in tanti e potrebbe diventare un ricorrente ospite indesiderato, come l'influenza
Marc Lipsitch è un epidemiologo statunitense, direttore del Centro per le dinamiche sulle malattie trasmissibili (Università di Harvard, Stati Uniti) e da settimane si occupa del coronavirus (SARS-CoV-2) soprattutto su Twitter, dove pubblica spesso informazioni e valutazioni sulla diffusione della COVID-19, la malattia causata dal virus. Come altri suoi colleghi che studiano il diffondersi delle malattie infettive, Lipsitch è ormai arrivato alla conclusione che difficilmente potremo evitare una diffusione su grande scala del coronavirus: “Penso che il risultato più probabile sia che alla fine non riusciremo a contenerlo”. Se così fosse, i governi di numerosi paesi e tutti noi dovremo affrontare una crisi sanitaria con pochi precedenti, ma comunque meno catastrofica di come sia stata talvolta raccontata sui giornali negli ultimi giorni.
All’Atlantic, che ha di recente dedicato un lungo articolo alla diffusione della COVID-19, Lipsitch ha spiegato che entro un anno tra il 40 e il 70 per cento della popolazione mondiale potrebbe essere contagiata. Questo però non significa che tutti diventeranno malati gravi, anzi: “È probabile che molti si ammaleranno lievemente, o che saranno asintomatici”. Non è un dettaglio da poco, e viene spesso dimenticato quando si parla di malattie infettive, senza mettere nella giusta prospettiva i casi, distinguendo quelli gravi (pochi nel caso della COVID-19) rispetto a quelli lievi (per ora la maggior parte).
Le opinioni di Lipsitch sono condivise da molti altri epidemiologi, che da settimane analizzano le modalità con cui il virus si sta diffondendo nel mondo, dopo aver causato finora la maggior parte dei contagi in Cina. Il caso italiano sembra offrire in questo senso alcune prime conferme: dopo la scoperta del primo infetto a Lodi, i test sulle persone con cui era stato in contatto il 38enne hanno permesso di identificare diversi altri infetti, così come le verifiche su altri individui ricoverati e i loro amici e parenti. In appena quattro giorni sono stati individuati oltre 200 positivi al SARS-CoV-2, ed è opinione condivisa da virologi ed epidemiologi che emergeranno molti altri casi nei prossimi giorni.
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I coronavirus sono del resto nostri ospiti indesiderati da tempo: quattro dei sette tipi conosciuti che interessano gli esseri umani causano infezioni respiratorie, quelle che di solito chiamiamo genericamente “raffreddore”. Sono virus sfuggevoli non solo per i ricercatori, ma anche per il nostro sistema immunitario, che sembra non essere in grado di conservare a lungo memoria dei loro attacchi e quindi di riuscire a contrastare efficacemente le successive infezioni. Complici anche le mutazioni dei virus, è per questo motivo che continuiamo ad avere infezioni respiratorie per buona parte della nostra vita. Qualcosa di analogo avviene anche con il virus dell’influenza, per il quale però abbiamo un vaccino che consente ogni anno di proteggerci contro i ceppi virali maggiormente in circolazione.
Se si diffonderà ampiamente tra la popolazione, il coronavirus con cui stiamo facendo i conti oggi potrebbe diventare il quinto a farci periodicamente visita, insieme agli altri quattro ricorrenti. In questo caso, dicono gli epidemiologi, potremmo avere una nuova stagione influenzale e da raffreddore, che diventerebbe la stagione dell’influenza, del raffreddore e della COVID-19.
Il raffreddore comune porta raramente a gravi complicazioni, anche perché interessa per lo più le parti superiori delle vie aeree, come naso e gola. L’influenza è più rischiosa, perché comporta sintomi più seri, ma riusciamo a tenerla sotto controllo grazie ai vaccini, che negli ultimi decenni hanno contribuito enormemente a ridurre il suo tasso di letalità. Per la COVID-19 a oggi non ci sono farmaci sempre efficaci né vaccini, ed è questo uno dei fattori che più preoccupa le autorità sanitarie: in sua assenza, il rischio di ammalarsi per le persone anziane e già in condizioni precarie è più alto, e di conseguenza anche la possibilità di non riuscire a sopravvivere.
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Rispetto a precedenti epidemie, come quelle della SARS e della MERS, le cose sono andate piuttosto speditamente per l’attuale coronavirus (seppure dopo qualche ritardo iniziale sulle segnalazioni, imputabile al sistema sanitario cinese). In poche settimane dai primi casi di polmoniti gravi a Wuhan, l’epicentro della crisi sanitaria, è stato possibile isolare il coronavirus e ottenerne il profilo genetico. Le informazioni sono state condivise con centri di ricerca in tutto il mondo, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è attivata velocemente per gestire la situazione.
Nonostante gli sforzi fatti, e le imponenti misure assunte in Cina per bloccare intere città con decine di milioni di abitanti, il coronavirus si è comunque diffuso all’estero e ormai è presente in oltre 24 paesi. Italia, Corea del Sud, Giappone e Iran sono le nazioni con il maggior numero di casi confermati e l’OMS non ha nascosto di osservare con qualche preoccupazione l’evolversi della situazione in questi paesi. Il contenimento in Cina non ha funzionato come ci si attendeva e molti sono scettici sulla possibilità che possa dare risultati migliori all’estero.
L’andamento delle nuove infezioni sta comunque offrendo dati importanti agli epidemiologi, che solo ora iniziano ad avere informazioni più rilevanti per i loro modelli statistici, utili per fare previsioni sugli scenari possibili. Nel caso di una diffusione su ampia scala come ipotizzato da Lipsitch, l’organizzazione della risposta sanitaria diventerà fondamentale, in attesa di avere un vaccino che si stima non potrà essere pronto prima di un anno.