Il coronavirus e la Corea del Nord
Il regime ha fatto sapere che finora non c'è alcun caso di contagio, ma molti temono che un'eventuale diffusione del virus possa avere gravi conseguenze
Martedì 18 febbraio la Corea del Nord – tramite il Rodong Sinmun, il giornale ufficiale del partito comunista – ha fatto sapere che finora nel paese non c’è stato alcun caso di contagio del nuovo coronavirus. Poco dopo, durante una conferenza stampa a Ginevra, un funzionario dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha di fatto confermato la notizia spiegando che non c’era motivo di credere che nel paese «ci fossero problemi specifici».
Negli ultimi giorni però alcuni media sudcoreani, citando fonti anonime della Corea del Nord, hanno segnalato alcuni possibili decessi legati al coronavirus in Corea del Nord, sebbene non sia stato possibile verificare in modo indipendente le notizie. C’è chi pensa che la capacità dell’OMS di valutare la situazione in Corea del Nord, notoriamente uno dei regimi più isolati e impermeabili del pianeta, sia probabilmente limitata dalle restrizioni alla condivisione di informazioni del paese. E c’è chi è preoccupato per quello che potrebbe succedere, al di là del fatto che ci siano effettivamente dei casi oppure no.
La scorsa settimana il Dipartimento di Stato americano ha fatto sapere che «gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per la vulnerabilità del popolo nordcoreano» in caso di un focolaio di coronavirus, aggiungendo che c’è la disponibilità da parte loro di facilitare ogni sforzo per contrastare e contenere il problema. Questa settimana le organizzazioni umanitarie internazionali, come la Croce Rossa, hanno chiesto esenzioni dalle sanzioni che limitano la maggior parte degli scambi e degli affari con la Corea del Nord, citando la necessità urgente di acquistare dispositivi di protezione individuale e kit per eseguire i test.
Sebbene non siano stati segnalati casi di contagi in Corea del Nord, il coronavirus si è diffuso nella vicina provincia di Jilin, nella Manciuria cinese. La Corea del Nord condivide con la Cina un confine di oltre 1.400 chilometri. Per molti chilometri il confine è delimitato da due fiumi, lo Yalu e il Tumen, oltre che dalla montagna Baekdu, la più alta della regione. Da un lato c’è la zona settentrionale della Corea del Nord, la più fredda e meno popolata; dall’altra la Manciuria cinese. Nella zona di confine ci sono molti più scambi e traffici commerciali di quanto ci si potrebbe aspettare: negli ultimi anni nei mercati nordcoreani sono cominciate ad apparire radio, lettori cd e altri oggetti di produzione cinese, e alcuni gruppi umanitari sono riusciti a far entrare nel paese piccoli registratori e macchine fotografiche per documentare le condizioni di vita dei nordcoreani.
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Il confine è dunque molto difficile da tenere sotto controllo, soprattutto in alcuni punti, dove i percorsi per il passaggio sono gestiti da trafficanti e contrabbandieri che si fanno pagare molti soldi per il trasporto clandestino di merci, o da membri di associazioni umanitarie che lavorano clandestinamente. Kim Seung-eun, un pastore e attivista per i diritti umani nella Corea del Sud che lavora con informatori all’interno del Nord, ha detto al New York Times di non aver sentito parlare di morti per coronavirus nel paese. Ha spiegato però che le autorità nordcoreane hanno intensificato i controlli alle frontiere, persino ordinando ai militari di sparare contro coloro che tentano di attraversarle illegalmente. La misura ha reso impossibile, per gruppi come il suo, far entrare clandestinamente i rifugiati.
In generale sembra che la Corea del Nord stia prendendo sul serio la minaccia di contagio e abbia adottato diverse misure per proteggersi, inclusa la sospensione di tutti i voli e dei treni da e verso la Cina. Il periodo di quarantena per le persone che presentano dei sintomi è stato portato da 14 a 30 giorni, i media statali hanno mostrato foto di funzionari con la mascherina che tengono riunioni di emergenza nei centri di controllo delle malattie, sono state intensificate le ispezioni su tutte le rotte che conducono alla capitale, Pyongyang, è stato richiesto a tutte le persone che passano dalla principale stazione ferroviaria di Pyongyang di indossare delle mascherine, i porti e le frontiere sono stati chiusi alle merci straniere e le forze armate della Corea del Nord hanno contrabbandato grandi quantità di mascherine sudcoreane. Tra i molti segni che la Corea del Nord tema un focolaio, c’è anche la “sparizione” di Kim Jong-un: i media statali, infatti, non hanno più mostrato sue apparizioni pubbliche da quando diverse settimane fa ha partecipato a un concerto.
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Quello che preoccupa di più, nel caso di una diffusione del virus in Corea del Nord, è la completa mancanza di informazioni e di trasparenza da parte del regime, ritenuta invece fondamentale per affrontare il problema. La situazione del sistema sanitario pubblico del paese è poi piuttosto drammatica, e potrebbe peggiorare a causa delle nuove restrizioni rendendo ancor più difficile acquistare o contrabbandare medicine, merci o altre forniture.
Le restrizioni si vanno ad aggiungere alle sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale per costringere il regime a smantellare il suo programma nucleare, e le interruzioni nel commercio di frontiera potrebbero avere gravi conseguenze sull’economia nazionale e un effetto a catena sulla salute delle persone. Oltre il 90 per cento del commercio estero ufficiale della Corea del Nord passa infatti attraverso la Cina.
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Il coronavirus si è manifestato in un momento di relativa apertura della Corea del Nord. Negli ultimi mesi, infatti, il paese ha facilitato l’accesso alle proprie località turistiche nella speranza di attirare visitatori cinesi e denaro. Ma il coronavirus ha fermato questo sforzo ed è difficile prevedere che cosa potrebbe succedere. Secondo alcuni osservatori il paese potrebbe aver presto bisogno di concessioni economiche, potrebbe decidere di tornare al tavolo delle trattative con gli Stati Uniti (che fino ad ora non hanno comunque portato a nulla di concreto) o potrebbe, al contrario, intensificare i test missilistici per avere più peso nelle negoziazioni e sulla questione della sospensione delle sanzioni.