Perché fu giusto revocare l’arresto di Carola Rackete
Lo ha spiegato la Cassazione, argomentando che fosse obbligata dal diritto marittimo a far sbarcare i migranti in un porto sicuro
La Corte di Cassazione ha diffuso le motivazioni con cui a metà gennaio aveva respinto il ricorso della procura di Agrigento sull’arresto di Carola Rackete, la comandante della nave della ong Sea Watch, che il 29 giugno aveva forzato il blocco delle autorità italiane e fatto sbarcare nel porto di Lampedusa un gruppo di migranti. Rackete era stata arrestata subito dopo, ma il giudice per le indagini preliminari (gip) di Agrigento non aveva convalidato l’arresto. La procura aveva fatto ricorso contro la decisione del gip, ma ora la Cassazione ha deciso che aveva ragione il gip.
Secondo la Cassazione, Rackete è stata giustamente rimessa in libertà perché si era comportata in maniera corretta: «l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro», ha scritto la Cassazione, sostenendo in sintesi che le operazioni di soccorso in mare – che sono obbligatorie per qualsiasi nave – si esauriscono soltanto dopo che le persone soccorse sono state sbarcate a terra, altra cosa che era obbligata a fare (è anche l’interpretazione più diffusa delle leggi sul diritto marittimo).
Quello sbarco in particolare era finito per settimane sui giornali perché per entrare in porto Rackete aveva fatto una manovra piuttosto spericolata e colpito una piccola imbarcazione della Guardia di Finanza che si era messa fra la nave e la banchina. Diversi politici e giornali di destra accusarono Rackete di avere «speronato» una nave militare italiana, ma da subito fu chiaro che la manovra non era stata uno speronamento e che era difficile dimostrare se fosse stata volontaria o meno; inoltre, fa capire la Cassazione, la Guardia di Finanza in quel momento stava impedendo a Rackete di rispettare gli obblighi previsti dalla legge.
Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio aveva disposto nei confronti di Rackete gli arresti domiciliari, con l’accusa di reato di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra. Il gip di Agrigento Alessandra Vella aveva comunque deciso di non convalidare l’arresto, escludendo questi reati con la scriminante dell'”adempimento di un dovere” (più o meno la stessa giustificazione spiegata dalla Cassazione).