L’Arabia Saudita ha avuto per anni alcuni infiltrati tra i dipendenti di Twitter
Raccoglievano informazioni sui dissidenti per conto del regime, ha scoperto l'FBI dopo una lunga indagine
La famiglia reale dell’Arabia Saudita, che controlla uno dei regimi più chiusi e intolleranti al mondo, ha avuto per anni alcuni infiltrati tra i dipendenti di Twitter, il social network più utilizzato da centinaia di dissidenti sauditi per criticare il regime al riparo dalla censura. La storia è nota da qualche tempo ma è stata raccontata per la prima volta in maniera estesa da BuzzFeed News, che ha esaminato e diffuso le accuse che l’FBI ha avanzato nei confronti di tre persone – due saudite e una statunitense – accusate di spionaggio e vari altri crimini.
La vicenda sembra dimostrare che fino a pochi anni fa uno dei più importanti social network al mondo fosse vulnerabile alle pressioni di uno dei regimi più repressivi al mondo, e il problema potrebbe non essere isolato a Twitter. «Gli Stati Uniti hanno una posizione talmente dominante nel settore dei social network e della tecnologia che ci rende un obiettivo naturale per nemici e semi-amici», ha raccontato al New York Times Mark D. Rasch, ex capo della divisione del Dipartimento della giustizia statunitense che si occupa di reati digitali.
In realtà sappiamo ancora molto poco sui danni realizzati da vulnerabilità di questo tipo. I principali social network sono molto attenti a tutelare la propria immagine e molto raramente diffondono informazioni su casi del genere. Twitter, per esempio, era al corrente fin dal 2015 della possibile presenza di infiltrati dell’Arabia Saudita fra i propri dipendenti, ma ha commentato le accuse soltanto dopo l’apertura di un’inchiesta da parte dell’FBI.
Tutto era iniziato nel 2013, quando Ahmad Abouammo fu assunto da Twitter per lavorare nel suo ufficio stampa. Non si sa molto su di lui se non che è un cittadino statunitense esperto di comunicazione. BuzzFeed News racconta che dentro Twitter il compito di Abouammo era promuovere l’uso del social network nei paesi del Medio Oriente: l’uomo «passava le sue giornate a parlare e socializzare con alcuni dei personaggi più importanti della regione – in vari settori fra cui l’informazione, la politica, lo sport, la tv e la musica – incoraggiandoli a twittare più spesso». In poche parole, scriveva BuzzFeed News, era il “buttadentro” di Twitter.
Grazie alla visibilità guadagnata col suo lavoro, ad Abouammo arrivò anche qualche richiesta molto specifica. Nella primavera del 2014, un’agenzia di comunicazione che lavorava per l’ambasciata dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti gli chiese di «verificare ufficialmente» un giornalista saudita, cioè di associare una spunta blu al suo profilo Twitter perché certificasse che dietro quell’account ci fosse proprio quel giornalista. «Quella richiesta portò Abouammo ad avviare una collaborazione di lavoro col governo saudita», racconta BuzzFeed News.
Nei successivi due anni un funzionario saudita nominato esplicitamente nell’inchiesta dell’FBI versò ad Abouammo circa 300mila dollari, parte dei quali furono usati per acquistare una casa a Seattle. In cambio, Abouammo diventò la talpa dell’Arabia Saudita dentro Twitter. Dopo aver organizzato un tour della sede della società per alcune persone del regime, Abouammo penetrò il sistema che consentiva alla società di “verificare” i suoi utenti, in cui sono contenute diverse informazioni sensibili come numeri di telefono e luoghi di accesso al social network, e girò al regime saudita i dati di due importanti dissidenti, uno dei quali aveva più di un milione di follower.
Non avendo particolari competenze tecniche, le capacità di Abouammo di reperire ulteriori informazioni sui dissidenti erano probabilmente limitate. Circa un anno dopo l’inizio della sua collaborazione col regime, quindi, Abouammo reclutò Ali Alzabarah, un ingegnere informatico saudita che aveva studiato negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio e aveva iniziato a lavorare per Twitter nel 2013.
Alzabarah faceva parte dello staff di tecnici che secondo BuzzFeed News «aveva il compito di tenere in piedi il sito, e per questa ragione aveva ampio accesso ai sistemi». I suoi colleghi lo descrivono come una persona diligente e collaborativa.
A partire dal maggio del 2015, si stima che Alzabarah abbia raccolto illegalmente – su indicazione del regime saudita – dati e informazioni sensibili su circa seimila utenti: fra di loro ci sono almeno 33 utenti su cui l’Arabia Saudita aveva chiesto informazioni a Twitter, che aveva accettato di condividerle solo in cinque casi. Alzabarah non si limitava a raccogliere una serie di dati, ma teneva d’occhio per esempio da dove i vari utenti si collegavano a Twitter, e prendeva nota degli account con cui interagivano.
Diversi giornali internazionali hanno ricostruito che fra i vari account sorvegliati da Alzabarah c’era anche quello di Omar Abdulaziz, un giornalista saudita che era considerato l’autore di un noto account anonimo molto critico del regime ed era molto vicino a Jamal Khashoggi, il dissidente e giornalista del Washington Post ucciso il 3 ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul, in Turchia. Abdulaziz ora si trova in Canada, che ha accettato la sua richiesta di asilo politico, e poco tempo fa ha deciso di fare causa a Twitter per avere gestito con poca trasparenza il suo caso (il social network si limitò ad avvisarlo nel 2016 che il suo numero di telefono e il suo indirizzo mail erano stati brevemente visibili a un altro account).
Abdulaziz ha raccontato a BuzzFeed News che tutto sommato a lui è andata bene, mentre altri dissidenti attivi su Twitter sono stati arrestati e torturati. Abdulaziz non ha fornito prove dettagliate delle sue accuse, ma qualche tempo fa il magazine Middle East Eye aveva raccontato la storia di Abdulrahman al Sadhan, un dipendente della Mezzaluna Rossa saudita che gestiva un altro popolare account Twitter anonimo molto critico verso il regime. Sadhan è stato arrestato dal regime ed è stato visto per l’ultima volta nell’ottobre del 2018, in una prigione della capitale Jeddah, dove secondo un’associazione saudita che si occupa di diritti umani è stato torturato. Da allora non si hanno più sue notizie. Al momento, comunque, nessuno ha tracciato un legame certo fra l’arresto di Sadhan e le informazioni che il regime saudita ha ottenuto illegalmente da Twitter grazie a Alzabarah.
In cambio del suo lavoro, Alzabarah ottenne dal regime saudita un impiego di prestigio al Misk Initiatives Center, una branca di una fondazione privata fondata nel 2011 da Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita considerato il vero capo del regime. Il segretario generale della fondazione è il funzionario saudita a cui Abouammo aveva passato alcune informazioni nel 2014.
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Twitter scoprì gli accessi irregolari di Alzabarah fra novembre e dicembre del 2015, e lo sospese dal suo incarico (senza però licenziarlo). Non è chiaro se abbia segnalato subito il suo caso alle autorità federali, che sono riuscite a formulare delle accuse formali quasi quattro anni dopo. Poco dopo essere stato sospeso, Alzabarah è tornato in aereo in Arabia Saudita, dove vive ancora oggi. Il timore di alcuni è che fino a poco tempo fa Twitter non fosse preparata per gestire casi così delicati che riguardavano anche la sicurezza nazionale.
«Nessuno ci aveva avvertito che saremmo stati avvicinati – forse “sedotti” è la parola giusta – oppure intimiditi perché fornissimo alcune dell informazioni raccolte da Twitter», ha raccontato a BuzzFeed News un ex collega di Abouammo. Un altro suo collega ha raccontato che nel tempo diversi funzionari dell’intelligence statunitense, britannica e israeliana hanno cercato di ottenere informazioni simili facendo pressioni su dipendenti di Twitter. Non è chiaro se lo stesso sia successo ai dipendenti di altri frequentati social network.
«Lavoriamo costantemente per assicurarci che i nostri metodi di lavoro e di controllo proteggano le persone che usano i nostri servizi», ha fatto sapere un portavoce di Twitter a BuzzFeed News: «significa anche avere imparato delle cose da casi come questo. Per esempio abbiamo fatto delle modifiche ai nostri sistemi interni, alla formazione del nostro personale e alla sicurezza delle nostre strutture per evitare altre situazioni simili».