Da dove arriva Michael Bloomberg
Il candidato del momento tra i Democratici americani è un imprenditore, filantropo e politico; e anche una delle persone più ricche al mondo, grazie a un oggetto che forse non avete mai visto
Michael Bloomberg, candidato alle primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali del 2020, ha ottenuto ottimi risultati nei sondaggi, parteciperà al confronto televisivo di mercoledì sera e ha un piano molto chiaro – pur con una strategia senza precedenti – per ottenere la nomination del partito. Prima di tutto questo, Bloomberg è stato almeno altre tre cose: un imprenditore di enorme successo, tanto da diventare uno degli uomini più ricchi al mondo, un rispettatissimo sindaco di New York per tre mandati, e più avanti il principale finanziatore di movimenti e cause politiche vicine al Partito Democratico.
Bloomberg è nato nel 1942 nella periferia di Boston, in Massachusetts, dove ha vissuto fino al liceo. Sua madre faceva l’impiegata, mentre suo padre era un contabile. Entrambi discendevano da famiglie di ebrei scappati dalla Russia. Dopo una laurea in Ingegneria elettronica, Bloomberg ha studiato Economia aziendale ad Harvard e iniziato a lavorare nel settore degli investimenti bancari. Nel 1981 Bloomberg usò parte di una liquidazione da 10 milioni di dollari ottenuta dal suo lavoro precedente per costruire insieme ad alcuni collaboratori una specie di computer fisso – di colore nero lucente – che trasmetteva una serie di servizi rivolti agli analisti finanziari: era l’antenato del cosiddetto Bloomberg Terminal, un dispositivo che secondo una efficace descrizione di Vox «ospita montagne di dati su aziende, strumenti finanziari e movimenti in borsa da tutto il mondo, e può essere usato per fare calcoli finanziari, operazioni di scambio, mettere a confronto investimenti e compiere analisi». In una descrizione da cui anni più tardi è stato costretto a prendere le distanze, Bloomberg spiegò che il suo terminale è in grado di fare «tutto», persino del sesso orale.
In pochi anni, il Bloomberg Terminal diventò lo strumento più diffuso per tutti quelli che lavoravano nella finanza di alto livello, e ancora viene ritenuto indispensabile per operare nel settore. Usarne uno costa fra i 20mila e i 24mila dollari all’anno – i terminali non si possono comprare ma solo noleggiare, assieme a tutti i servizi che offrono – e al momento ne esistono circa 325mila. Il terminale è considerato uno dei prodotti in assoluto più redditizi nel settore tecnologico. Nel 2018 Bloomberg LP, la società con cui Bloomberg ancora oggi vende e gestisce il terminale, ha ottenuto 10 miliardi di dollari di entrate, tre quarti dei quali derivanti dal Bloomberg Terminal.
Grazie al terminale, negli anni Michael Bloomberg ha espanso le sue attività, oltre a continuare a guadagnare un mucchio di soldi. Nel 1990 fondò Bloomberg News, considerata oggi l’agenzia stampa più seria e affidabile al mondo per quanto riguarda la finanza e l’economia, e negli anni successivi espanse i suoi investimenti in altri settori, compreso quello immobiliare.
A metà degli anni Novanta, Bloomberg era ormai uno degli imprenditori più rispettati di New York, la città dove fondò Bloomberg LP e dove vive ormai da decenni. Nel 2001 decise di candidarsi a sindaco della città, e per sfruttare il consenso nato attorno al sindaco uscente – Rudy Giuliani, che all’epoca godeva di una popolarità immensa – lasciò il Partito Democratico, di cui era sempre stato un elettore registrato, per aderire a quello Repubblicano (che poi lasciò sei anni più tardi, per diventare ufficialmente un politico indipendente). Il salto all’epoca non era così grande come appare oggi: fino agli Novanta i moderati del Partito Democratico e di quello Repubblicano erano relativamente vicini, e il Partito Repubblicano newyorkese è sempre stato più aperto e progressista che nel resto del paese (e anche di quanto fosse il Partito Democratico stesso in certi stati del Sud).
Bloomberg fu rieletto sindaco per due volte, nel 2005 e nel 2009, con un margine sempre piuttosto netto. Il suo mandato è ricordato ancora oggi in maniera positiva da molti newyorkesi: fra le diverse misure prese nei dodici anni di mandato ci sono la riqualificazione di diverse zone della città, la costruzione di piste ciclabili e di un sistema di bike sharing fra i migliori al mondo, il divieto di fumare nei locali pubblici, la riconversione della High Line, la ex linea ferroviaria sopraelevata trasformata in un enorme parco, e molte altre ancora.
Nell’ultimo periodo stanno riemergendo però anche vari aspetti negativi legati al suo mandato: su tutti la controversa politica dello stop and frisk, uno strumento adottato dalla polizia locale che comprendeva soprattutto controlli e perquisizioni arbitrarie e che colpiva soprattutto le persone non bianche, rafforzato da Bloomberg e poi eliminato dal suo successore Bill de Blasio dopo essere stato giudicato incostituzionale da un tribunale. Durante gli anni successivi agli attentati dell’11 settembre, inoltre, la polizia di New York collaborò con la CIA per mettere in piedi un enorme e illegale sistema di sorveglianza nei confronti delle persone musulmane della città, con decine di migliaia di intercettazioni telefoniche e costose operazioni per infiltrare alcuni circoli (l’operazione non portò a nulla di concreto).
Più in generale, durante il suo mandato da sindaco Bloomberg iniziò a sviluppare una certa ambivalenza sulle cause considerate più vicine all’elettorato progressista: da un lato si è occupato efficacemente e con risorse importanti di quelle che gli stanno più a cuore, dall’altro ha dimostrato una certa freddezza per quelle che invece lo convincevano di meno, per convinzioni personali o politiche.
Nella sua successiva carriera da filantropo e finanziatore vicino ai Democratici, Bloomberg ha donato centinaia di milioni di dollari per rendere più restrittive le leggi sulle armi da fuoco in vari stati americani – Everytown for Gun Safety, una fondazione da lui promossa, è probabilmente la più famosa degli Stati Uniti a combattere le leggi eccessivamente morbide sulla vendita e il possesso di armi – e soltanto di recente ha donato mezzo miliardo di dollari per un’iniziativa che ha come obiettivo la chiusura delle centrali a carbone in tutti gli Stati Uniti, oltre ad aver fatto migliaia di piccole donazioni filantropiche in giro per il paese ad associazioni per i diritti delle donne, teatri, centri culturali, e così via.
Al contempo, Bloomberg ha anche dimostrato una certa insensibilità per quanto riguarda alcune questioni entrate solo negli ultimi anni nelle priorità dell’elettorato Democratico, come il movimento contro le violenze e discriminazioni sulle donne #MeToo – con cui Bloomberg è sempre stato piuttosto critico, oltre ad essere stato accusato in prima persona di commenti e battute sessiste – e una maggiore attenzione ed empatia nei confronti delle minoranze etniche, che ancora nel 2015 accusava di essere le principali responsabili dei crimini a New York (anni dopo si è scusato per quella particolare dichiarazione).
In un Partito Democratico sempre più preoccupato delle diseguaglianze economiche, è diventato un tema di discussione anche il fatto che Bloomberg non abbia alcun problema a usare la montagna di soldi che ha a disposizione per raggiungere i suoi obiettivi, in un modo che i suoi sostenitori definiscono lodevole – put your money where your mouth is, dicono gli americani: spendi i soldi per le cose che ti stanno a cuore – e che i suoi critici descrivono come cinico e antidemocratico.
Da quando ha lasciato la carica di sindaco, Bloomberg è diventato di gran lunga il finanziatore più importante dei Democratici. Soltanto nel 2018 ha speso circa 100 milioni di dollari del suo patrimonio personale – valutato intorno ai 60 miliardi di dollari, più o meno come il PIL della Bulgaria – per contribuire alla campagna elettorale di decine di candidati Democratici in giro per gli Stati Uniti, cosa che secondo gli analisti ha contribuito a far ottenere al partito il controllo della Camera, sottraendolo ai Repubblicani. Anche i suoi finanziamenti per le attività filantropiche sono aumentati col tempo: una recente inchiesta del New York Times ha calcolato che soltanto nel 2018 Bloomberg abbia speso circa 770 milioni di dollari in beneficenza, più o meno la stessa cifra che l’Islanda spende ogni anno per pagare le sue pensioni.
Gli investimenti fatti da Bloomberg negli anni precedenti gli stanno tornando indietro, in forme diverse. Oggi Bloomberg è ufficialmente sostenuto da più di 100 sindaci in tutti gli Stati Uniti, compresi alcuni di varie città in cui ha investito parecchio in candidati Democratici e attività filantropiche, come Washington D.C. e San Francisco. Il sostegno nei suoi confronti non si limita solo ai sindaci: quando lo scorso mese ha visitato un gruppo di deputati Democratici moderati, «Bloomberg è stato accolto da una serie di “grazie” dai deputati che aveva sostenuto nel 2018», ha raccontato di recente il New York Times.
Non è ancora chiaro quanto i soldi, la rete e i contatti di Bloomberg lo avvantaggeranno nelle primarie dei Democratici: per via di una strategia piuttosto inusuale e spericolata, Bloomberg ha deciso di saltare i primi quattro stati in cui si vota e di concentrarsi su quelli successivi. Il suo nome comparirà per la prima volta sulla scheda elettorale il 3 marzo nei 14 stati che voteranno contemporaneamente durante il cosiddetto Super Tuesday. Complice il risultato incerto delle primarie in Iowa e il fatto che fin qui non sia emerso un chiaro favorito, però, al momento Bloomberg è l’unico candidato che sta volando, nei sondaggi: è arrivato al terzo posto in quelli nazionali ed è dato fra i favoriti in diversi stati in cui si voterà il 3 marzo.