Il governo cinese e la repressione del dissenso sul coronavirus
Sabato il noto attivista Xu Zhiyong è sparito, probabilmente arrestato dalla polizia, e non è il primo episodio simile
In Cina il modo in cui il governo ha gestito e sta gestendo la crisi sanitaria legata al nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) è stato ampiamente criticato e contestato, soprattutto dopo la morte di Li Wenliang, uno dei primi medici che segnalarono la possibilità che le misteriose gravi polmoniti di Wuhan di fine 2019 fossero causate da un coronavirus e che per questo era stato accusato di diffondere notizie false e allarmistiche dalla polizia. Il presidente Xi Jinping ha ordinato alle autorità di aumentare il controllo su internet per limitare la diffusione di critiche al governo e negli ultimi giorni alcuni attivisti sono stati arrestati.
Xu Zhiyong, un noto attivista che aveva accusato Xi di aver cercato di nascondere l’epidemia di COVID-19 (la malattia causata dal nuovo coronavirus) e che gli aveva chiesto di dimettersi, è sparito lo scorso fine settimana. Secondo le persone che lo conoscono, scrive il New York Times, è stato arrestato sabato a Canton, nel sud della Cina. Da circa due mesi Xu si stava nascondendo, spostandosi tra case di amici, dopo aver organizzato una manifestazione per la democrazia a fine dicembre a Xiamen, nel sud-est della Cina. La sua compagna, l’attivista Li Qiaochu, è sparita domenica.
Negli ultimi mesi Xu, che ha 46 anni, è un ex professore universitario e dal 2014 al 2017 era stato in carcere per il suo attivismo, aveva usato i social network per accusare il governo di aver impedito ai medici di informare i cittadini della Cina centrale della diffusione del nuovo coronavirus, per non sfigurare agli occhi della comunità internazionale.
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Pang Kun, un avvocato impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori, è stato arrestato e poi rilasciato la settimana scorsa, dopo essere stato accusato di «causare dissenso e disordini», che in Cina è un reato. Secondo una persona informata dei fatti intervistata dal Financial Times, Pang sarebbe stato interrogato sul suo coinvolgimento in una petizione per commemorare la morte di Li Wenliang e sulla sua partecipazione alla manifestazione di Xiamen.
Nelle ultime due settimane poi sono spariti anche due videoblogger che si trovavano a Wuhan e, secondo l’ong Chinese Human Rights Defenders, più di 350 persone sono state punite in vario modo in tutta la Cina per aver «diffuso voci» a proposito dell’epidemia di COVID-19 e del governo. Intanto per rafforzare la censura il governo cinese ha bloccato i più popolari servizi di VPN, quelli che permettono di fingere che il proprio computer sia connesso da un altro paese rispetto a quello in cui ci si trova: in questo modo impedisce a chi si trova in Cina di accedere a Google, Twitter e alla maggior parte dei siti di notizie stranieri.