Vi ricordate del CETA?
L’enorme accordo commerciale fra Unione Europea e Canada rischia di non essere ratificato dai Paesi Bassi, inaspettatamente, con conseguenze per tutti gli altri paesi
Negli ultimi giorni è circolata la notizia che i Paesi Bassi potrebbero non ratificare il CETA, l’enorme accordo commerciale fra il Canada e i paesi dell’Unione Europea approvato nel 2017 dopo lunghi e complessi negoziati. Fin dalla sua approvazione definitiva, si parlava della possibilità che l’accordo potesse non essere ratificato dai parlamenti nazionali, cosa che potenzialmente avrebbe potuto farlo decadere per l’intera UE. In Italia aveva ipotizzato di respingerlo la maggioranza che sosteneva il primo governo Conte, formata da Lega e Movimento 5 Stelle.
La minaccia più concreta di respingere l’accordo sta invece arrivando proprio dai Paesi Bassi, un paese “insospettabile”, perché noto fra le altre cose per il suo approccio molto ben disposto nei confronti del libero commercio.
Il CETA verrà discusso oggi dalla Camera nazionale e nei prossimi giorni dal Senato, ed esiste il rischio concreto che l’accordo non venga ratificato: alla Camera le forze politiche che sostengono il governo del primo ministro Mark Rutte hanno una maggioranza di qualche seggio, mentre al Senato sono in minoranza. In passato non è mai accaduto che un paese europeo non ratificasse un accordo commerciale di questo tipo.
Se il Parlamento dei Paesi Bassi non dovesse approvare il CETA, l’accordo e la sua validità entrerebbero in un «territorio inesplorato», ha spiegato a Politico Guillaume Van der Loo, esperto di accordi commerciali del think tank Centre for European Policy Studies.
Il CETA – che si pronuncia si-ta, come fosse una parola e non una sigla – è il più importante accordo commerciale internazionale dai tempi del NAFTA, l’accordo per il libero scambio firmato da Stati Uniti, Messico e Canada nel 1992. Concretamente, è un documento lungo 1598 pagine [PDF], che contiene centinaia di articoli. Uno dei suoi effetti principali è l’eliminazione della gran parte delle tariffe doganali tra Unione Europea e Canada, insieme a molte altre disposizioni.
Il CETA per esempio consente alle imprese europee di partecipare alle gare per gli appalti pubblici in Canada e viceversa. Si stabiliscono il reciproco riconoscimento di titoli professionali e nuove regole per proteggere il diritto d’autore e i brevetti industriali. Gli articoli più delicati e richiesti dai produttori europei riguardano invece la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici.
Già nei mesi precedenti all’approvazione dell’accordo, nel 2017, varie associazioni di categoria e forze di sinistra e centrosinistra in tutta Europa si erano opposte ad alcune condizioni del CETA, poiché temevano che come altri accordi commerciali di questo tipo avrebbe portato complessivamente un beneficio per i paesi europei ma al netto di una nuova concorrenza delle aziende canadesi in diversi settori economici, che avrebbe potuto provocare la chiusura di diverse aziende europee. Uno studio molto citato a sinistra e realizzato dalla Tufts University di Boston aveva ipotizzato ad esempio che il CETA avrebbe potuto costare circa 200mila posti di lavoro solo in Europa.
I sostenitori del CETA fanno notare che nel suo primo anno di applicazione, l’accordo ha provocato un aumento del 20 per cento delle esportazioni olandesi verso il Canada. Nel 2018, inoltre, i Paesi Bassi hanno avuto con il Canada, paese che esporta più di quanto importi, un bilancio commerciale positivo. In sintesi, l’accordo avrebbe fatto del bene all’economia olandese, che del resto vive soprattutto di esportazioni.
I critici del CETA insistono invece sul fatto che l’accordo sia svantaggioso per diverse ragioni: per esempio per il fatto che gli standard alimentari canadesi rimangono più bassi di quelli europei, cosa che potrebbe portare le aziende canadesi a fare concorrenza sleale a quelle dei Paesi Bassi. L’accordo prevede inoltre la possibilità per le aziende di fare causa a uno stato centrale davanti a un arbitrato internazionale: secondo i critici, istituire un arbitrato di questo genere è intrinsecamente sbagliato perché mette sullo stesso piano gli interessi privati di una multinazionale e quelli pubblici di uno stato.
Di recente gli oppositori del CETA sono stati rafforzati anche da quella che il Financial Times ha definito «una tempesta perfetta di fattori interni: l’aumento di un consenso contro la globalizzazione, i timori sul clima, e i partiti di opposizioni che hanno individuato nel CETA un tema identitario in vista delle elezioni politiche dell’anno prossimo».
In effetti, negli ultimi tre anni il CETA non ha subito alcuna modifica, né in sede europea si è discusso di proporla al Canada. Ad essere cambiato è soprattutto il panorama politico dei Paesi Bassi, storicamente molto fluido e caotico: basti pensare che alle elezioni europee del 2019 ben nove partiti hanno preso più del 4 per cento dei voti, e il partito che ne ha ottenuti più di tutti è arrivato al 19,01 per cento del totale.
Le forze che sostengono il governo hanno accusato il partito uscito vincitore dalle ultime elezioni europee – il Partito del Lavoro, di centrosinistra – di avere alimentato le nuove polemiche sul CETA: era stato proprio un membro di questa forza politica a rappresentare i Paesi Bassi durante i negoziati fra Canada ed Unione Europea, quando il partito faceva ancora parte della maggioranza che sostiene il primo ministro Rutte.
Il Partito del Lavoro si è difeso sostenendo che si è sempre battuto su alcuni temi specifici come l’arbitrato internazionale, e per le ragioni di consenso interno che citava il Financial Times sembra difficile che possa essere convinto a votare a favore dell’accordo.
Per far passare l’accordo almeno alla Camera, la maggioranza cercherà di convincere almeno l’Unione Cristiana, un piccolo partito di centrodestra che storicamente rappresenta gli interessi degli agricoltori. Politico ha spiegato che l’attuale ministra al Commercio, Sigrid Kaag, ha promesso di proporre ulteriori controlli alle carni canadesi che vengono esportate nei Paesi Bassi.
Non è chiaro cosa succederà se davvero il Parlamento dei Paesi Bassi non ratificherà il CETA. Le leggi europee prevedono che in caso di una bocciatura «definitiva», Rutte dovrà informare il Consiglio dell’Unione Europea – cioè l’organo che riunisce i rappresentanti dei singoli governi e che detiene il potere legislativo dell’Unione Europea assieme al Parlamento – il quale dovrebbe ratificare l’annullamento dell’accordo con un voto.
Affinché l’accordo venga effettivamente annullato, cosa che avrebbe conseguenze molto rilevanti per migliaia di aziende in tutta Europa, devono ancora succedere diverse cose, e Politico ipotizza che nel frattempo sia Rutte sia l’Unione Europea potrebbero trovare degli espedienti per far rimanere in piedi l’intesa. Rutte, per esempio, potrebbe evitare di informare il Consiglio sostenendo che la bocciatura del parlamento non sia affatto «definitiva», ma soltanto preliminare.
Se anche il Parlamento dei Paesi Bassi respingesse definitivamente il CETA, non è chiaro cosa succederà al Consiglio: «non sappiamo cosa potrebbe accadere se in sede di Consiglio non esistesse una maggioranza per terminare il CETA. Non è mai successo che un solo paese si rifiuti di ratificare un accordo misto di questo tipo», ha spiegato Van der Loo.