In alcune zone del Messico le comunità indigene organizzano la loro autodifesa
In gruppi di vigilantes nei quali vengono arruolati anche i bambini, soprattutto per attirare l'attenzione di media e governo
In alcune aree rurali del sud del Messico, dove le forze di polizia ufficiali sono inefficaci e dove i tassi di criminalità e violenza legati ai cartelli della droga sono altissimi, le comunità locali hanno iniziato a organizzare la loro autodifesa creando la cosiddetta “polizia comunitaria”, nella quale da un po’ di tempo vengono arruolati anche i bambini. La presenza di minori, hanno spiegato i leader di questi gruppi, ha soprattutto a che fare con la volontà di attirare l’attenzione dei media e del governo sulla grave situazione locale.
In Messico, nel 2019 ci sono stati 35.588 omicidi: un record. L’aumento delle violenze è dipeso per lo più dal modo in cui si sono evoluti i cartelli criminali negli ultimi anni e dall’inefficace reazione dello stato.
Fino a qualche anno fa i principali gruppi criminali messicani – diventati noti in tutto il mondo per personaggi come “El Chapo” – si occupavano soprattutto di traffico di droga ed erano società criminali monolitiche. Per cercare di smantellarle, il governo messicano adottò una strategia particolare finalizzata a catturare i boss, con l’idea che tolto di mezzo il capo il resto del gruppo si sarebbe sciolto, o comunque indebolito. Il risultato però è stato diverso.
La strategia adottata dal governo ha creato una ulteriore frammentazione delle organizzazioni, che sono diventate più violente, difficilmente controllabili rispetto a quelle originarie, e si sono specializzate in diverse attività illegali: oltre al traffico di droga, molti cartelli hanno iniziato a occuparsi di estorsioni, sequestri, prostituzione, furti di carburante e traffico di esseri umani.
Non tutto il Messico, comunque, è pericoloso allo stesso modo. A Culiacán il cartello di Sinaloa, che fa riferimento al narcotrafficante “El Chapo”, viene combattuto quotidianamente con l’impiego di militari. Ad Ayahualtempa, villaggio indigeno nelle montagne nel sud, nello stato di Guerrero, vivono circa 800 persone e la polizia comunitaria combatte la propria guerra contro un cartello locale chiamato Los Ardillos con vecchi fucili da caccia.
Secondo il governo, nello stato di Guerrero – dove tra le montagne si nascondevano prima i banditi per evitare l’esercito degli spagnoli, poi gli insorti durante la guerra per l’indipendenza, e negli anni Settanta i guerriglieri marxisti – ci sono circa 18 cartelli della droga che si contendono il controllo del territorio, e 25 polizie comunitarie create solo per difendere le comunità locali dai narcos.
Los Ardillos è ora la principale organizzazione della regione, nata da una scissione con il cartello di Beltrán Leyva dopo che nel 2009 le forze speciali uccisero il loro leader, Arturo Beltrán Leyva. Los Ardillos si è affermata dopo aver sconfitto i rivali dei Los Rojos, in una guerra che ha causato la morte di centinaia di persone: il gruppo controlla le coltivazioni del papavero da oppio e gestisce i traffici lungo un corridoio che attraversa 16 comunità indigene.
Melecio Bolaños ha spiegato che Los Ardillos vuole assumere il controllo delle comunità per vendere droga e rilevare le imprese locali: «Ci rifiutiamo di cedere. Ecco perché ci attaccano». Lo scorso anno, nella zona di Ayahualtempa sono state uccise 26 persone, e a gennaio sono stati uccisi 10 musicisti. Tra loro c’era anche un ragazzino di quindici anni.
«Stanno uccidendo bambini. Dobbiamo armare i bambini», ha detto al Wall Street Journal Isabel Márquez. Per ora ad Ayahualtempa sono circa 31 i bambini tra i 6 e i 15 anni che si stanno addestrando per diventare vigilantes ed entrare nella polizia di comunità, anche se solo cinque di loro maneggiano armi vere. La polizia di comunità è composta da 200 uomini armati che seguono i principi di giustizia della tradizione locale, hanno codici legali approvati da un’assemblea indigena e gestiscono anche delle prigioni.
Bernardino Sánchez, il fondatore della forza di vigilanza locale, ha detto che i bambini sono stati arruolati, in parte, per attirare l’attenzione sulla violenza e sulla situazione critica delle loro comunità.
Per molti, però, questa è l’ennesima dimostrazione degli alti livelli di degrado sociale in alcune parti del Messico causato dall’assenza di uno stato di diritto e di una politica in grado di controllare efficacemente il territorio: «La realtà è che il Messico si sta rapidamente avvicinando a diventare uno stato fallito», ha detto un consulente politico al Wall Street Journal.
A fine gennaio il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, aveva detto che i vigilantes potevano a loro volta essere considerati parte di un gruppo criminale, mentre la commissione per i diritti umani del paese ha aggiunto che la polizia di comunità stava violando il diritto internazionale perché i bambini non possono essere costretti a partecipare a conflitti armati.
Intanto il governatore di Guerrero, Héctor Astudillo, si è impegnato pubblicamente ad aumentare la sicurezza pubblica nella regione, chiedendo però ai vigilantes di disarmare i bambini. I vigilantes, da parte loro, hanno detto di non avere altra scelta: «Per noi, la cosa più importante è sopravvivere, anche se questo significa infrangere la legge. Se il governo ci fornisse sicurezza, per noi non sarebbe necessario prendere le armi».