L’isola degli ebrei ultraortodossi
Canvey Island, alla foce del Tamigi, si è improvvisamente popolata di una comunità satmarica, con molte sfide e qualche difficoltà
Nelle principali città europee le comunità di ebrei ultraortodossi sono vecchie di decenni e in alcuni casi di secoli. La più estesa e popolata è considerata quella del quartiere di Stamford Hill, a Londra, ma negli ultimi anni centinaia di persone nate e cresciute nel quartiere si sono trasferite a circa cinquanta chilometri di distanza formando una nuova comunità a Canvey Island, una piccola isola alla foce del Tamigi e affacciata sul Mare del Nord.
Canvey Island non è un posto qualsiasi: fa parte di una circoscrizione elettorale fra le più convinte di uscire dall’Unione Europea – al referendum su Brexit il Leave vinse col 72,7 per cento – e per molti è un microcosmo che rappresenta bene lo spirito di autosufficienza e diffidenza verso gli stranieri ancora vivo in molte comunità britanniche.
Come si può intuire, il flusso massiccio dei nuovi abitanti ha scombussolato la vita locale e causato moltissime piccole sfide e difficoltà quotidiane, raccontate di recente in un lungo articolo del quotidiano israeliano Haaretz.
Tutto è iniziato con un problema familiare a chi frequenta o abita a Londra: gli affitti altissimi, anche in periferia. In un documentario del 2018 su Canvey Island, BBC ha semplificato la questione spiegando che l’arrivo a Stamford Hill di nuovi abitanti giovani e benestanti – come in molti altre zone simili – aveva alzato il prezzo degli affitti, cosa che di conseguenza aveva reso insostenibile la vita di molte famiglie della comunità ultraortodossa. Molti di loro vivono grazie a lavori saltuari, dato che devono dedicare gran parte della giornata allo studio della Torah e alla preghiera, e hanno parecchi figli, poiché la dottrina sconsiglia l’utilizzo di anticoncezionali; nonostante i membri della comunità si aiutino fra di loro, non hanno grandi disponibilità economiche.
Qualche anno fa i leader della comunità avevano iniziato a guardarsi intorno in cerca di un posto migliore dove trasferirsi. «Per esaminare le opzioni possibili venne formato un apposito comitato», racconta Haaretz, «che mise insieme un elenco di priorità. Il posto non doveva essere più lontano di un’ora di mezzi pubblici da Londra, doveva avere a disposizione degli spazi per espandere la comunità, e case sufficientemente larghe ed economiche». Dopo un’accurata selezione fu scelta Canvey Island: rispondeva quasi perfettamente a tutti i criteri della comunità, anche se non aveva abitanti ebrei da circa 80 anni. A distanza di quattro anni dalla prima casa acquistata da un membro della comunità, oggi a Canvey Island vivono circa 75 famiglie ultraortodosse, cioè circa 500 persone sulle 38mila che abitano l’isola.
A prima vista, Canvey Island era tutto tranne che un posto accogliente per una comunità nota per essere piuttosto chiusa e dai costumi molto diversi da quella autoctona. Nella circoscrizione di cui fa parte l’isoletta i candidati di estrema destra sono andati sempre piuttosto bene, il tasso di abitanti con una laurea è fra i più bassi del paese, e anche gli abitanti locali ammettono di avere una certa diffidenza verso il diverso. Come tutti gli ultraortodossi, anche le famiglie che si sono trasferite da Stamford Hill si vestono in maniera molto riconoscibile – completi neri e trecce di capelli per gli uomini, vestiti molto coprenti per le donne – e fra di loro non parlano inglese ma yiddish, la lingua parlata dalle comunità ebraiche provenienti dall’Europa centrale.
Eppure, nelle interviste con BBC e Haaretz, diversi membri della comunità ultraortodossi si dicono soddisfatti della scelta di trasferirsi. «È stata una questione di qualità della vita», ha spiegato Joel Friedman, il portavoce informale della comunità: «nessuno si è trasferito cercando una soluzione di lusso, ma soltanto per avere la propria casa e un po’ di spazio per far crescere la propria famiglia». Non che avessero molta scelta: quasi tutti sono cittadini britannici, e inoltre gran parte della comunità segue la dottrina satmarica, secondo cui il popolo ebraico dovrà tornare nella terra promessa soltanto quando verrà un nuovo messia. Per questa ragione un eventuale trasferimento in Israele non era nemmeno un’opzione.
I nuovi abitanti hanno portato dei cambiamenti visibili alla città: grazie a una donazione da 2 milioni di euro di un filantropo ultraortodosso, da poco sono stati aperti un negozio di alimentari, una pasticceria kosher e una yeshiva, cioè una scuola di studi biblici. A giudicare dai pareri di diversi membri della comunità, il processo di integrazione sta procedendo bene: «ci sentiamo più accolti qui rispetto a un ortodosso in Israele, dove si sente minacciato», ha raccontato ad Haaretz un giovane ultraortodosso riferendosi forse ai frequenti scontri fra coloni ultraortodossi e palestinesi in Cisgiordania (spesso provocati dagli ultraortodossi).
Non tutti però sono convinti che la convivenza fra le due comunità stia funzionando. Haaretz nota che la zona dove sono situate la sinagoga e la yeshiva sono circondate da un muro metallico blu che impedisce di vedere cosa c’è dietro. La pasticceria, «dopo un iniziale turbinio di eccitazione», è stata giudicata troppo costosa dalla comunità inglese, che ha raccontato ad Haaretz alcune delle sue perplessità. «Dovrebbero farsi vedere in giro, quando invece stanno molto sulle loro. Mi piacerebbe anche che salutassero la gente per strada», ha spiegato un abitante 77enne. Ci sono anche stati tentativi di avvicinare le due comunità: il documentario di BBC mostra ad esempio una cena di benvenuto organizzata da alcuni membri della comunità inglese per quella ortodossa.
«Non vorrei suonare troppo soddisfatta, ma credo che stiamo cercando un problema di cui per ora non abbiamo traccia», ha spiegato la deputata locale, la conservatrice Rebecca Harris: «È soltanto una questione di cortesia reciproca. Qualcuno dei nuovi arrivati si è appena trasferito e l’accusa è che non stiano badando come devono al loro giardino, ma le cose si sistemeranno».
Altri non ne sono così certi: Dave Blackwell, il consigliere comunale in carica da più tempo, sostiene che Canvey sia un piccolo paese e che anche piccoli problemi possano causare incomprensioni e difficoltà nella convivenza: «non ho alcun dubbio che un giorno nasceranno dei problemi», ha spiegato ad Haaretz.