Il piano di Michael Bloomberg per vincere le primarie
Spendere più soldi degli altri candidati (molti, molti di più)
Il candidato alle primarie dei Democratici statunitensi di cui si discute di più non ha ancora partecipato a un dibattito né alle prime tappe del voto, che si sono tenute in Iowa e New Hampshire. È l’imprenditore ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che per ottenere la nomination del partito sta utilizzando una strategia descritta come «inusuale», «anticonvenzionale», e anche «un insulto alla democrazia». La sua principale strategia elettorale è chiara a tutti: spendere una enorme quantità di soldi, e sperare che basti.
Bloomberg ha 77 anni ed è ricchissimo: ha un patrimonio stimato intorno ai 60 miliardi di dollari, paragonabile al PIL della Bulgaria, accumulati alla fine di una brillante carriera da imprenditore. Ancora oggi Bloomberg è l’amministratore delegato di Bloomberg LP, una società che fornisce analisi di servizi finanziari che fra le altre cose possiede l’omonima rete di media.
Diversi candidati rimasti in corsa sono molto ricchi, e negli Stati Uniti avere tanti soldi a disposizione è una condizione necessaria per avere un comitato elettorale competitivo. Bloomberg però è immensamente più ricco di qualsiasi candidato nella storia delle primarie democratiche, tanto che ha ribadito più volte che il suo comitato non accetterà alcun contributo esterno. Il New York Times ha scritto che nei prossimi mesi intende mettere a disposizione «un budget praticamente illimitato» per la sua campagna.
Grazie a questo vantaggio competitivo, Bloomberg ha offerto contratti molto ricchi a chi decide di lavorare per lui, in modo da attirare le persone più brillanti e talentuose, e ha comprato uno spot da un minuto trasmesso nell’intervallo del Super Bowl, lo spazio in assoluto più ambito dagli inserzionisti e il più costoso della televisione statunitense.
Grazie alla comodità offerta da questi soldi, il suo comitato ha anche potuto permettersi dei lussi molto rari per una campagna elettorale: comizi con catering e vino offerti agli spettatori, uffici elettorali a Porto Rico e alle Isole Vergini, iPhone di ultima generazione a tutti i dipendenti, e un intero murale commissionato a un artista di strada che ha dovuto realizzarlo in 36 ore per un recente comizio a Miami, in Florida. La maggior parte dei soldi però non è stata impiegata in spese superflue, anzi.
A differenza dei suoi principali avversari Bloomberg ha deciso di saltare le prime quattro tappe delle primarie – Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina – e di concentrarsi soprattutto sui 14 stati che voteranno nello stesso giorno durante il cosiddetto Super Tuesday. Il ragionamento che sta dietro alla sua strategia è che andare bene nei primi quattro stati serve soprattutto ad attirarsi le attenzioni dei giornali e degli elettori negli stati successivi, più che a ottenere l’elezione di propri delegati (cioè i funzionari del partito che nella convention di luglio decideranno a chi assegnare la nomination).
Bloomberg sta lavorando a entrambe: i giornali da settimane sono genuinamente incuriositi di come andrà la sua campagna poco convenzionale, e stanno dedicando sempre più risorse a coprirla. Degli elettori che voteranno fra qualche settimana, invece, il suo comitato si sta occupando soprattutto con gli spot nelle tv e nelle radio. È una strategia efficace sia per farsi vedere e ascoltare in più stati contemporaneamente e in posti dove gli altri candidati non hanno ancora fatto comizi, sia per ottenere consenso dal segmento di elettori più sensibili al messaggio di Bloomberg, cioè i più anziani e moderati (Bloomberg ha fatto parte del partito Repubblicano fino al 2007).
Secondo un recente calcolo di CNBC, Bloomberg ha speso finora circa 250 milioni di dollari soltanto in spot radiofonici e televisivi, tanto che in alcuni stati le pubblicità di Bloomberg vanno in onda anche ottanta volte al giorno. Per avere un termine di paragone, il secondo candidato che ha speso di più in spot pubblicitari – dopo Tom Steyer, un altro miliardario che però ha decisamente meno speranze di Bloomberg – è Bernie Sanders, che ha speso circa 16,4 milioni di dollari.
Il suo comitato dispone di così tante persone e risorse che può anche diversificare i suoi sforzi. Nelle ultime settimane, per esempio, ha iniziato a collaborare con varie aziende che gestiscono influenti account di Instagram per produrre contenuti a favore di Bloomberg per un elettorato più giovane in cambio – ovviamente – di un sacco di soldi.
Secondo il Daily Beast sono stati reclutati anche degli influencer meno famosi, cioè dai 100mila follower in giù, a cui il comitato ha offerto 150 dollari per ogni contenuto che «faccia capire perché Mike Bloomberg è il candidato più eleggibile e che può svettare nella confusione delle primarie, lavorare anche coi Repubblicani e far sentire TUTTI gli americani rispettati e ascoltati», nelle parole del comitato.
Le spese di Bloomberg hanno già attirato moltissime critiche: Bernie Sanders, che ha da poco vinto le primarie in New Hampshire, ha esplicitamente accusato Bloomberg di voler «comprare» la nomination. Il giornalista Blake Zeff ha raccolto tutte le controversie legate alle spese di Bloomberg in una serie di tweet in cui fa notare, per esempio, che un sacco di politici locali che hanno annunciato di sostenerlo apertamente – un altro importante strumento per raccogliere voti e consensi – in passato hanno ricevuto consistenti donazioni da Bloomberg stesso, nell’ordine dei milioni di dollari.
Per ora la strategia sta funzionando: secondo i calcoli di FiveTirthyEight, Bloomberg è terzo nei sondaggi nazionali ed è sempre più competitivo negli stati che voteranno nelle prossime settimane, con percentuali superiori al 10 per cento.
Dal punto di vista politico, però, devono ancora succedere una serie di passaggi perché Bloomberg abbia qualche concreta possibilità di ottenere la nomination: su tutti, il crollo degli altri candidati moderati, al cui elettorato Bloomberg potrebbe sembrare un’alternativa solida e affidabile.
I principali indiziati sono i sostenitori di Joe Biden, crollato nei sondaggi dopo il pessimo risultato in Iowa. Al momento però fra i candidati che stanno attraversando un buon momento ci sono altri due moderati, Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, che da qui al Super Tuesday potrebbero ricevere ancora più attenzioni e copertura favorevole da parte dei giornali.