Dobbiamo imparare chi è Amy Klobuchar?
Sì, e in fretta: dopo essere arrivata terza alle primarie in New Hampshire è in un gran momento, ma potrebbe finire presto
Il risultato più sorprendente delle primarie presidenziali Democratiche in New Hampshire è stato il terzo posto della senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, che ha sfiorato il 20 per cento dei voti superando candidati ben più conosciuti e favoriti come l’ex vice presidente Joe Biden e la senatrice Elizabeth Warren, che hanno finito con oltre dieci punti percentuali in meno. Che la campagna elettorale di Klobuchar fosse in un ottimo momento lo dicevano da giorni i giornalisti che stanno seguendo le primarie, ma il risultato è stato anche superiore alle aspettative.
Ci sono tanti motivi per cui la candidatura di Klobuchar può essere considerata solida, e qualcosa di più di un normale e legittimo tentativo di un politico di seconda fila di ottenere visibilità nazionale. Ma allo stesso tempo, tutti gli analisti avvertono che il risultato del New Hampshire potrebbe essere molto facilmente un’eccezione: per come sono strutturate le primarie, la candidatura di Klobuchar potrebbe collassare nel giro di un paio di settimane.
Klobuchar ha 60 anni e dal 2007 è senatrice per il Minnesota, uno stato freddo e poco abitato del nord degli Stati Uniti, conosciuto per i suoi “10.000 laghi” e per i suoi lunghi e nevosi inverni. È uno stato del Midwest, molto bianco e con una storia che ruota intorno alla produzione industriale e alla cosiddetta “middle class”, la classe lavoratrice. Anche se non appartiene formalmente alla Rust Belt, che comprende Pennsylvania, Ohio, Indiana, Michigan e Illinois, è uno stato simile dal punto di vista sociale ed economico a quelli che determinarono di un soffio l’elezione di Trump nel 2016.
Klobuchar ha puntato forte sulle sue origini, rivendicando spesso di essere nipote di immigrati (sloveni e svizzeri), che suo nonno era minatore, e che sua madre era un’insegnante. Il suo attaccamento al Minnesota, alla classe lavoratrice del Midwest, alla tempra tipica degli abitanti degli stati settentrionali degli Stati Uniti è evidente dal video dell’annuncio della sua candidatura, fatto sotto una bufera che finì per coprirla di neve, alla fine del suo discorso.
Klobuchar è una Democratica progressista, ma di un progressismo tipico degli Stati Uniti centrali, più moderato e tradizionalista di quello per esempio di Warren e Kamala Harris, sue sfidanti (ex sfidante, nel caso di Harris) del Massachusetts e della California, stati costieri e tradizionalmente più di sinistra. In questa campagna elettorale ha insistito sulla sua lunga esperienza al Senato – è la candidata ad aver fatto approvare più leggi – e al suo storico di vittorie elettorali, che pur essendo arrivate in uno stato saldamente Democratico sono sempre state molto nette.
Essendo una candidata poco conosciuta, ha goduto dei vantaggi degli outsider con il risultato che il suo terzo posto è stato celebrato e raccontato come una vittoria, a differenza di Bernie Sanders che pur avendo vinto lo ha fatto di poco, in uno stato in cui era favorito. Ma i vantaggi di cui ha goduto finora Klobuchar derivano anche dal suo posizionamento politico: non se la gioca con Sanders e Warren, due candidati che attraggono gli elettori più radicali del Partito Democratico, ma con Biden e Buttigieg, due candidati moderati molto forti, ma entrambi con grosse debolezze.
Klobuchar è contraria al “Medicare for All”, l’assistenza sanitaria pubblica disponibile per tutti i cittadini, e anche al college gratuito, entrambi punti sostenuti da Sanders e Warren e giudicati irrealizzabili da gran parte dello stesso Partito Democratico. È invece una candidata più pragmatica, abituata a compromessi con i Repubblicani e che per questo ha puntato sull’attrarre gli elettori indecisi e che non sono registrati al Partito Democratico, e addirittura quelli Repubblicani. Una strategia che si è rivelata vincente in New Hampshire.
Di formazione, Klobuchar è un’avvocata: dopo aver studiato scienze politiche a Yale e giurisprudenza a Chicago, e dopo aver fatto la stagista per l’ex senatore del Minnesota e candidato alla presidenza Walter Mondale, lavorò per anni in un grosso studio legale. Nel 1999 fu eletta procuratrice della contea di Hennepin, incarico che le fece scalare le gerarchie del partito Democratico e ottenere il sostegno delle associazioni di categoria più influenti, garantendosi la nomination e l’elezione a senatrice nel 2006. È stata rieletta altre due volte, nel 2012 e nel 2018, sempre con un grande distacco rispetto ai suoi avversari Repubblicani.
La sua candidatura alle presidenziali del 2020 era sembrata fin da subito molto meno solida di quella di altri candidati come Beto O’Rourke, Cory Booker e soprattutto Kamala Harris, tutti candidati che però nel frattempo si sono ritirati. Anche se notoriamente privo o quasi di conseguenze elettorali, l’endorsement ufficiale del New York Times – condiviso con Warren – diede riconoscimento e spessore alla sua candidatura, che però è passata a un livello superiore soprattutto nelle ultime settimane di campagna elettorale.
Il comitato elettorale di Klobuchar si aspettava di andare bene in Iowa, dove però lei è arrivata soltanto quinta: ma il pasticcio legato ai risultati ha fatto sì che le gerarchie tra i candidati rimanessero piuttosto vaghe, senza che quindi la sconfitta avesse conseguenze per lei. Il New York Times ha raccontato che negli ultimi giorni prima del voto in Iowa, il comitato elettorale di Klobuchar aveva deciso di spostare la partita in New Hampshire trasferendo lì buona parte dello staff perché facesse una massiccia campagna elettorale negli ultimi giorni.
Venerdì scorso, al dibattito precedente alle primarie in New Hampshire, Klobuchar aveva fatto un figurone, confermando le opinioni di chi l’aveva vista particolarmente in forma e i suoi sostenitori particolarmente entusiasti. Questo le aveva garantito 5 milioni di dollari di donazioni nei quattro giorni seguenti, un record per la sua campagna elettorale, che aveva investito nella campagna porta a porta e in spot televisivi (più di ogni altro candidato salvo Buttigieg).
In queste primarie senza un candidato favorito, Klobuchar ha potuto ottenere più attenzioni e donazioni di quelle che avrebbe potuto avere in altri anni: le difficoltà incontrate negli ultimi mesi da Warren, poi, le hanno permesso di puntare con più efficacia ai voti di chi vorrebbe una donna come prossimo presidente degli Stati Uniti.
Klobuchar ha cercato il voto dei moderati insistendo sul suo essere più giovane di Biden, che nelle ultime settimane è sembrato stanco e invecchiato, alimentando ulteriormente le critiche riguardo alla sua età avanzata; e contemporaneamente ha ricordato di essere molto più esperta di Buttigieg, che finora è stato soltanto sindaco di una città di medie dimensioni dell’Indiana, e che proprio su questo punto solleva ad oggi alcune tra le principali perplessità tra gli elettori.
Ma se, come Biden, Klobuchar è una candidata fortemente legata all’establishment del Partito Democratico (è stata tra i primi e più strenui sostenitori di Barack Obama e Hillary Clinton, alle precedenti elezioni), come Buttigieg è una candidata che va forte soprattutto tra i bianchi. La sua scarsa popolarità tra le minoranze afroamericana e ispanica è considerata dagli osservatori il suo limite principale: e questa fragilità potrebbe dimostrarsi già nel prossimo appuntamento delle primarie, quello del 22 febbraio in Nevada, uno stato demograficamente molto più eterogeneo di New Hampshire e Iowa, seguito il 29 dal South Carolina, a sua volta con una percentuale di afroamericani molto più alta.
A livello nazionale, Klobuchar è molto indietro: al sesto posto, sotto al 5 per cento, dietro perfino a Michael Bloomberg, il miliardario che entrerà ufficialmente nelle primarie a marzo, e che potrebbe attrarre a sé parte del voto più moderato. Di per sé, i dati nazionali varrebbero poco: ma le rilevazioni per il Nevada e il South Carolina danno Klobuchar ancora più in difficoltà, rispettivamente al 3 e al 2 per cento. Il successivo appuntamento elettorale, quello del Super Tuesday, sarà altrettanto duro per Klobuchar per via della presenza di stati grossi ed etnicamente diversi come California e Texas, che in più premiano tradizionalmente i candidati con maggiori risorse economiche.
Il modello statistico del sito FiveThirtyEight dà a Klobuchar lo 0,1 per cento di possibilità di vincere le primarie: pochissime, meno di quelle di Warren e Bloomberg. Non c’è nessun osservatore che creda che il suo risultato in New Hampshire abbia in qualche modo avvicinato Klobuchar alla vittoria delle primarie, e secondo gli esperti di politica americana la sua candidatura finirà con ogni probabilità tra la fine di febbraio e inizio marzo, prima o in corrispondenza del Super Tuesday.
In altre condizioni, si parlerebbe di lei come una possibile candidata alla vice presidenza: ma tutti i candidati rimasti in corsa per le primarie sono bianchi – e a parte Biden, tutti hanno problemi col voto delle minoranze – e storicamente l’offerta della vice presidenza viene fatta a politici in grado di aiutare il candidato a presidente con i segmenti demografici in cui è più in difficoltà. Harris, che è afroamericana, è per esempio tra le più citate quando si parla di possibili candidate a vice presidente.