La fortuna dell’isola di Anguilla è il suo nome
E c'entra l'intelligenza artificiale, ma non nel modo in cui di solito c'entra l'intelligenza artificiale
Come ogni paese, anche il piccolo arcipelago di Anguilla – un territorio d’oltremare britannico nei Caraibi – ha il suo dominio internet nazionale (dominio nazionale di primo livello): se quello dell’Italia è .it, quello di Anguilla è .ai. Per molti anni, .ai è stato un semplice dominio di primo livello come altri, senza grandi attrattive e usato anche in modo piuttosto limitato, viste le piccole dimensioni del paese che rappresentava. Poi le cose sono cambiate.
AI è infatti la sigla con cui in inglese si indica l’intelligenza artificiale (artificial intelligence), un ambito di ricerca e affari in cui negli ultimi anni sono confluiti enormi investimenti e di cui si è parlato e si parla tantissimo. Avere l’esclusiva sull’uso del dominio .ai, quindi, è diventata un’improvvisa fortuna per Anguilla, e una discreta fonte di ricavi.
Il dominio .ai è diventato infatti molto richiesto dalle startup che lavorano nell’intelligenza artificiale, dagli investitori (anche speculatori) che comprano nomi con quel dominio per rivenderli o dalle grandi aziende del settore. Ogni volta che un’azienda si registra o rinnova il proprio indirizzo internet con il dominio .ai, Anguilla riceve una commissione di 50 dollari all’anno (circa 45,4 euro), che vanno a finire nelle casse del governo. In questo modo nel 2018 ha raccolto 2,9 milioni di dollari (2,6 milioni di euro), più o meno quanto il salario dei suoi 127 insegnanti delle classi elementari e degli amministratori della zona, scrive il New York Times; nel 2019 quella cifra è leggermente aumentata.
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Il suffisso .com (il cui maggiore azionista è Berkshire Hathaway, del miliardario Warren Buffett) è ancora il più usato al mondo e rappresenta il 40 per cento di tutti gli indirizzi internet registrati; la sua richiesta però è in calo e nel 2019 il 33 per cento delle nuove start-up si è registrato con domini diversi, più del doppio di 5 anni fa. Infatti dalla liberalizzazione dei domini di Internet – decisa dall’ICANN (l’ente internazionale che gestisce molti funzionamenti di Internet) nel giugno 2011 – sempre più aziende, soprattutto startup, scelgono domini originali o insoliti e uno tra i più richiesti è quello di Anguilla.
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Non esiste un modo preciso per sapere come i domini vengono usati una volta acquistati, ma gli esperti stimano che la metà sia usata per gli indirizzi web e i servizi email; il resto viene comprato dalle aziende, perché non venga usato da rivali in modo inappropriato, o da speculatori che sperano di rivenderli a un costo superiore.
Tra registrazioni e rinnovi, il mercato dei domini internet si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari all’anno (circa 3,6 miliardi di euro) ed è facile capire come interessi a investitori e speculatori. Per esempio, nel 2018 una società di investimento comprò Donuts Inc., una società con i diritti di più di 240 nuovi domini come .technology e .engineering.
Due mesi fa la società di investimento Ethos Capital aveva offerto alla cooperativa no-profit che lo possiede più di un miliardo di dollari per i diritti di .org, il dominio più comunemente usato dalle no-profit; la notizia provocò molte proteste e arrivò una nuova offerta fatta da una cordata di non profit costituita apposta.
Rivendere un dominio o un indirizzo internet può fruttare da pochi spiccioli a milioni di dollari: l’anno scorso voice.com fu venduto per 30 milioni di dollari (27 milioni di euro) a Block.one, una start-up che sta costruendo un network di social media chiamato voice.
Vincent Cate, che gestisce il registro dei domini .ai, ha detto al New York Times che le richieste sono «davvero una valanga». Cate aveva iniziato a gestire la vendita dei domini anni fa, quando gli affari erano ancora poca cosa; la crescita del settore dell’intelligenza artificiale, però, ha aumentato la richiesta costringendo Cate ad appoggiarsi a rivenditori di domini professionisti come GoDaddy e 101domain.