Le terapie sperimentali contro il nuovo coronavirus
L'impiego di un farmaco progettato contro ebola e di altri antivirali ha portato a qualche risultato incoraggiante, ma i test sono ancora in corso
Oltre a lavorare per contenere i contagi da nuovo coronavirus (2019-nCoV), da settimane migliaia di medici in Cina e nel resto del mondo si danno da fare per aiutare i pazienti ricoverati a superare la malattia, che può portare a polmoniti con gravi complicazioni. Il nuovo coronavirus ha finora causato la morte di oltre 400 persone e si contano più di 20mila contagi confermati, quasi tutti in Cina. Come dimostra l’aggravamento dei due pazienti cinesi ricoverati in Italia, la malattia può iniziare con sintomi relativamente lievi e peggiorare nel corso di alcuni giorni, nonostante le terapie mediche. E proprio per questo gli ospedali in giro per il mondo stanno provando trattamenti di diverso tipo, che in alcuni casi prevedono l’impiego di farmaci sperimentali che si sono già rivelati utili in occasione di altre malattie virali.
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In un ospedale dello stato di Washington (Stati Uniti), per esempio, i medici hanno somministrato a un paziente con nuovo coronavirus il remdesivir, un farmaco antivirale che interferisce con i meccanismi di replicazione che utilizzano alcuni tipi di virus per colonizzare le cellule di un organismo con il loro codice genetico. A un giorno di distanza dall’infusione, il paziente si è sentito meglio; quattro giorni dopo non aveva più la febbre. I dettagli della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine e sono stati accolti con interesse dalla comunità scientifica, per quanto lo studio abbia riguardato un solo paziente.
Al momento non possiamo dire con certezza se il remdesivir abbia avuto un ruolo nella guarigione, o se il paziente stesse già guarendo per conto proprio. Gilead, l’azienda farmaceutica che produce il farmaco, ha avviato una collaborazione con le autorità sanitarie cinesi per sperimentare il remdesivir su un numero limitato di pazienti, in modo da raccogliere più dati e informazioni. Per quanto ci si stia muovendo ancora tra grandi incertezze, il farmaco e un’altra combinazione di farmaci solitamente utilizzati per contrastare l’HIV sono visti come una possibile risorsa nel trattamento dei pazienti con nuovo coronavirus, che non rispondono alle altre terapie.
Il remdesivir è un antivirale di recente introduzione, sviluppato negli anni delle epidemie causate da ebola in Africa occidentale tra il 2013 e il 2016. La sperimentazione portò a risultati che sembravano essere positivi, ma un impiego su più grande scala rivelò una scarsa efficacia del farmaco, rispetto ad altre soluzioni basate sugli anticorpi monoclonali.
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Qualche anno prima, però, il remdesivir aveva dato risultati promettenti per trattare alcuni casi di MERS, la sindrome causata da un altro coronavirus e che si era diffusa nel Medio Oriente. Ulteriori studi avevano messo in evidenza la capacità del farmaco di contrastare la replicazione di altri coronavirus, compreso quello che causa la SARS, una sindrome respiratoria grave il cui virus ha diverse caratteristiche simili a quello dell’attuale crisi sanitaria.
Gilead, che per lo sviluppo del farmaco ha speso svariati milioni di dollari, confida di recuperare l’insuccesso di ebola con il nuovo coronavirus. La società ha avviato test di laboratorio per verificare come si comporta il virus quando viene messo in contatto con il remdesivir. Intanto, in una lettera pubblicata sulla rivista scientifica Cell Research, un gruppo di ricercatori cinesi ha scritto di avere riscontrato un blocco dell’attività virale in vitro (quindi non su pazienti) dopo l’introduzione del farmaco. La notizia, insieme a quelle sul paziente che si è sentito meglio nello stato di Washington, ha indotto Gilead ad avviare i nuovi test clinici in un ospedale di Pechino, in Cina.
Attualmente, il remdesivir non è approvato dalla Food and Drug Adminstration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che si occupa dei farmaci, né da altri organismi di controllo in giro per il mondo. Il test clinico potrà comunque essere svolto in Cina perché negli anni scorsi il farmaco era già stato sperimentato per ebola dimostrando di non avere particolari effetti collaterali.
Oltre al farmaco di Gilead, sono in corso diverse altre sperimentazioni con altri principi attivi che potrebbero rallentare o fermare l’attività del nuovo coronavirus nei pazienti, aiutando il loro sistema immunitario a reagire e a superare l’infezione. In Cina stanno sperimentando l’impiego di lopinavir e ritonavir, due farmaci utilizzati per tenere sotto controllo l’HIV. Gli stessi antivirali sono stati somministrati a una paziente di 70 anni in Thailandia, ottenendo un miglioramento delle sue condizioni.
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I farmaci di questo tipo non costituiscono una “cura” vera e propria, cioè una soluzione definitiva al problema, che può essere fornita solamente dal sistema immunitario dei pazienti. Attraverso l’esposizione al virus, il sistema immunitario contrasta l’infezione e poi ne conserva memoria, riducendo il rischio che possano esserci recidive (nel caso di alcuni coronavirus, questa memoria sbiadisce però col tempo). Un vaccino consente di ottenere lo stesso effetto, senza che l’individuo si debba ammalare, ma per il nuovo coronavirus non ci sono ancora vaccini disponibili (ci stanno lavorando diversi centri di ricerca). Gli antivirali possono comunque offrire una valida risorsa per contenere la diffusione del virus nell’organismo, facilitando il lavoro del sistema immunitario.
Lopinavir e ritonavir avevano già offerto risultati incoraggianti in un test, su un numero limitato di pazienti con la SARS tra il 2002 e il 2003. Altre ricerche erano state condotte anche per la MERS, ma in questo caso su cavie animali e senza test clinici significativi.
Al momento, sulle nuove possibili terapie ci sono solo indizi e sporadici risultati positivi, ma saranno necessari alcuni mesi prima di avere dati più significativi, derivanti da test su un maggior numero di pazienti. Lo sviluppo di farmaci di nuova generazione nell’ultima ventina di anni sta comunque consentendo a ricercatori e medici di avere a disposizione diverse risorse da sperimentare.
Il nuovo coronavirus causa sintomi iniziali simili a quelli dell’influenza stagionale, con febbre, tosse, dolore alle articolazioni e spossatezza. In alcuni individui, soprattutto se anziani o con altre condizioni mediche (cancro, diabete, problemi al sistema immunitario…), può causare infiammazioni gravi a livello polmonare, con polmoniti che possono rivelarsi letali. Attualmente le morti confermate sono state oltre 400, ma mancano ancora dati chiari per valutare l’effettiva incidenza della malattia e per comprendere la sua evoluzione tra i contagiati che, dopo qualche giorno con i sintomi, riescono a superare l’infezione.