Questa mappa cambiò la medicina
Nel 1854 l'analisi della diffusione del colera in un quartiere di Londra aprì la strada all'epidemiologia, che oggi usiamo anche per studiare il nuovo coronavirus
Da alcune settimane ricercatori in Cina e nel resto del mondo stanno studiando il nuovo coronavirus (2019-nCoV), che ha finora causato la morte di oltre cento persone e ne ha contagiate più di 4mila. Oltre a studiarne le caratteristiche, i ricercatori vogliono comprendere dove abbia avuto origine il contagio e da quale animale il virus sia passato agli esseri umani, adattandosi al nostro organismo grazie ad alcune mutazioni. È un lavoro complesso e delicato, essenziale per affrontare la crisi sanitaria, e che dimostra quanto sia importante l’epidemiologia, la disciplina che si occupa di analizzare le malattie in rapporto alla loro diffusione.
Nell’ultimo secolo, l’epidemiologia è diventata uno dei principali punti di riferimento per la gestione della salute pubblica: è fondamentale per comprendere i fattori di rischio delle malattie e per stabilire le politiche da seguire per fare prevenzione. Gli epidemiologi non si limitano ad analizzare la storia dei pazienti, ma integrano nel loro lavoro molte altre discipline come la statistica, la sociologia, la demografia e naturalmente la medicina. Capire dove vanno le malattie e come si diffondono è essenziale per prevenire epidemie su larga scala, un rischio che ora riguarda il nuovo coronavirus cinese. Eppure furono necessari secoli prima che fossero disponibili scoperte e strumenti per consentire lo sviluppo dell’epidemiologia per come la conosciamo oggi.
Le malattie nell’antichità
Per moltissimo tempo, cause e modalità di diffusione delle malattie rimasero un mistero: le persone si ammalavano, tentavano empiricamente qualche rimedio per alleviare i sintomi e mettevano in conto che si potesse morire, anche per malattie piuttosto banali e contro le quali oggi abbiamo cure e vaccini. Nell’antichità il medico greco Ippocrate – considerato il padre della medicina – fu tra i primi a ipotizzare che ci fosse un nesso tra l’avvento di una malattia e le condizioni ambientali.
Nei suoi trattati, che riprendevano e ampliavano le teorie dei suoi contemporanei e dei medici dell’antica Grecia, Ippocrate scrisse che i malesseri erano causati da uno sbilanciamento di quelli che definiva i quattro umori dell’organismo: sangue, bile gialla, bile nera e flegma. Per curare le malattie, era sufficiente rimuovere o aggiungere uno degli umori, fino a rendere nuovamente bilanciato il loro rapporto. La teoria degli umori avrebbe avuto un grande seguito nei secoli successivi, influenzando per esempio la scienza medica nel mondo arabo, che avrebbe attinto molte informazioni da quello greco.
Miasmi e germi
Per arrivare a un approccio scientifico più vicino a come intendiamo la medicina oggi, dobbiamo spostarci molto avanti nel tempo fino al sedicesimo secolo, entrando nello studio di Girolamo Fracastoro a Verona. Come molti dei suoi contemporanei, Fracastoro era un tipo con un’ampia serie di interessi: filosofia, astronomia, geografia, letteratura e medicina. Fu tra i primi a proporre una teoria secondo la quale molte malattie fossero causate da piccole “particelle”, invisibili a occhio nudo. Nel suo trattato De contagione et contagiosis morbis del 1546, scrisse che queste particelle erano vive, che si potevano trasmettere tramite l’aria e che potevano essere incenerite per fermarle.
Il lavoro di Fracastoro offriva qualche spunto di maggiore concretezza scientifica rispetto alla dottrina miasmatico umorale, che si era evoluta da Ippocrate in poi con l’aggiunta della teoria dei “miasmi”. Questa sosteneva che malattie come il colera e la peste nera fossero causate dall’aria “cattiva”, miasmi (gas) emanati dalla decomposizione degli organismi.
Ci sarebbero voluti gli studi dell’Ottocento, con la scoperta dei germi (gli agenti patogeni, cioè portatori di malattie, come virus e batteri), per escludere completamente la teoria dei miasmi e degli umori dagli orizzonti della scienza medica. Tuttavia, già alla fine del Seicento lo sviluppo di microscopi potenti a sufficienza aveva permesso di scoprire l’esistenza delle piccole “particelle” viventi teorizzate da Fracastoro e altri. Diversi medici, che possiamo considerare pionieri nella ricerca sulle malattie contagiose, cercarono di promuovere le loro scoperte e intuizioni, ricevendo spesso poco ascolto o considerazione per idee che all’epoca apparivano completamente prive di fondamento e lontane dal senso comune.
In un certo senso, l’epidemiologia si sviluppò prima che fossero chiari alla totalità dei medici i meccanismi che consentono a un virus o a un batterio di causare una malattia. Uno studio realizzato a metà Ottocento, in particolare, cambiò il modo di analizzare l’evoluzione e la diffusione delle malattie.
Il colera a Londra
Come altre aree della città di Londra, a metà ottocento il quartiere di Soho era sovrappopolato e aveva numerosi problemi di sporcizia, peggiorati dalla mancanza di un sistema fognario vero e proprio. La situazione a metà Ottocento era ormai fuori controllo, con i pozzi neri nei seminterrati delle abitazioni che traboccavano di escrementi e altri rifiuti, come quelli derivanti dalla macellazione degli animali delle botteghe. Per provare a migliorare la situazione, la città di Londra ordinò lo svuotamento dei pozzi neri nel Tamigi. Lo sversamento comportò una contaminazione delle riserve idriche, favorendo la diffusione del colera, una malattia che aveva già causato diverse epidemie nel mondo e che solo a Londra nei decenni precedenti aveva causato la morte di almeno 14mila persone.
Il colera è causato da diversi tipi di Vibrio cholerae, un batterio che si sviluppa in acqua e alimenti contaminati con feci umane. Causa una forte diarrea, e se non trattato adeguatamente molte complicazioni, dovute soprattutto alla disidratazione, che si possono rivelare letali. Oggi basta un buon antibiotico per curarlo, ma nella prima metà dell’Ottocento non era nemmeno chiaro che cosa lo causasse.
Visti i ricorrenti episodi di colera a Londra, da tempo medici e scienziati dibattevano su quali potessero essere le cause, in un momento storico in cui alcuni iniziavano a mettere in dubbio le classiche impostazioni mediche, seguite da secoli. Il confronto, in alcuni casi piuttosto acceso, era tra i sostenitori della teoria dei miasmi e quelli che iniziavano a metterla in dubbio, proponendo l’alternativa teoria dei germi.
Il padre dell’epidemiologia
John Snow era un medico di York e non era per nulla convinto della teoria dei miasmi e dell’aria “cattiva”. Era abbastanza conosciuto per avere una certa inventiva: nel 1841, per esempio, aveva presentato nel corso di una conferenza un respiratore artificiale per neonati, con un ingegnoso meccanismo che non solo permetteva di far entrare nuova aria dal naso, ma anche di prelevare dalla bocca quella espirata.
Snow analizzò le epidemie di colera a Londra, intuendo che la malattia non fosse trasmessa dall’aria “cattiva”, ma dall’acqua contaminata. Ci arrivò per gradi, studiando la diffusione geografica della malattia e la sua incidenza tra la popolazione che utilizzava pompe pubbliche e private, inconsapevolmente mettendo le basi per una nuova disciplina: l’epidemiologia. Pubblicò una prima versione della sua teoria nel 1849, in un saggio sulle modalità di trasmissione del colera, in un momento storico in cui la teoria dei germi non era ancora completamente riconosciuta, e avrebbe richiesto diversi anni per affermarsi grazie alle ricerche del francese Louis Pasteur nel 1861.
Il caso di Broad Street
Snow perfezionò la sua teoria nel 1854 analizzando la grave epidemia di colera che stava interessando Broad Street (Broadwick Street), una via del quartiere londinese di Soho. Tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, 127 persone che abitavano nei dintorni morirono a causa della malattia, spingendo un terzo della popolazione a lasciare la zona nella settimana seguente.
Snow intervistò diversi abitanti e capì che la probabile fonte del contagio fosse una pompa pubblica per l’acqua su Broad Street. Prelevò un campione senza però ottenere risultati convincenti sulla contaminazione, ma realizzò un modello piuttosto dettagliato sulla diffusione della malattia, al punto da spingere l’amministrazione locale a rimuovere la maniglia della pompa, in modo che non venisse più utilizzata. I casi di colera diminuirono e la crisi sanitaria rientrò.
Non possiamo dire con certezza se la disattivazione della pompa pubblica ebbe qualche effetto sulla riduzione del numero di contagi, come avrebbe ammesso in seguito lo stesso Snow. La maniglia fu rimossa quando ormai il tasso di mortalità nella zona era diminuito sensibilmente, in seguito alla fuga della popolazione, e non fu possibile stabilire con certezza se l’acqua fosse ancora contaminata.
Nel 1855, Snow pubblicò una seconda edizione del suo trattato Sulle modalità di trasmissione del Colera, a sei anni di distanza dalla prima, aggiungendo l’esperienza di Broad Street e numerosi altri dettagli. Comprese nel saggio una mappa che illustrava la distribuzione geografica dei casi di colera a Soho. Fece un censimento delle pompe dell’acqua, in modo da ricostruire la loro vicinanza ai casi di colera riscontrati ed evidenziò come l’incidenza fosse più alta nei pressi della pompa pubblica di Broad Street.
L’unica eccezione nel modello di diffusione della malattia di Snow riguardava i lavoratori di un birrificio nei pressi della pompa pubblica: nessuno di loro si era ammalato di colera. In seguito si scoprì che avevano diritto a una dose giornaliera di birra, e che quindi raramente bevevano acqua. Il processo di produzione della birra richiedeva di portare a ebollizione l’acqua prelevata dalle pompe, cosa che comportava la morte del vibrione del colera.
Nel suo studio, Snow dimostrò inoltre che due società responsabili della distribuzione idrica a Londra recuperavano acqua contaminata dal Tamigi, che raggiungeva poi le pompe pubbliche e quelle private delle abitazioni. Snow se ne accorse mettendo a confronto i casi di colera di chi era cliente di queste due società, con i clienti di altre aziende idriche che prelevavano l’acqua altrove e la filtravano (seppure grossolanamente) dalle impurità.
Dopo John Snow
Nonostante il lavoro di John Snow e di altri ricercatori, superata l’emergenza del 1854, le cose tornarono come prima. L’amministrazione locale, per esempio, fece installare una nuova maniglia per la pompa pubblica e non fu accettata la spiegazione che la contaminazione del colera fosse dovuta all’ingestione di prodotti derivanti dalle feci. Il Consiglio sanitario della città di Londra concluse che la causa del colera fossero stati i miasmi.
Più o meno nello stesso periodo, l’anatomopatologo italiano Filippo Pacini identificò il vibrione del colera, ma la sua scoperta non fu presa in considerazione dalla comunità scientifica. Ripensare un’intera teoria secolare sulla diffusione delle malattie appariva impensabile per molti, e quella nuova avrebbe ancora richiesto decenni per diventare accettata e condivisa. La prima descrizione del vibrione come agente patogeno a ricevere maggiore considerazione fu quella del tedesco Robert Koch, trent’anni dopo.
L’alba dell’epidemiologia
Molte delle soluzioni e degli strumenti utilizzati oggi per risalire all’origine e ai meccanismi di diffusione delle malattie derivano dal lavoro di Snow, che con il suo intuito dimostrò come la fusione di più discipline scientifiche potesse offrire grandi opportunità e salvare vite umane. Gli epidemiologi che studiano le nuove epidemie, come quella da nuovo coronavirus, non fanno un lavoro molto diverso da quello di Snow, ma dispongono di maggiori quantità di dati e di strumenti per creare modelli che li aiutano a prevedere come si potrà diffondere una malattia. E le previsioni aiutano a decidere le politiche da assumere per fare prevenzione e per contenere il numero dei contagi.
A Soho, all’incrocio tra Broadwick e Lexington Street, la riproduzione di una pompa pubblica ricorda il lavoro di Snow e il suo contributo nell’arginare l’epidemia di colera nel quartiere a metà Ottocento. Ogni anno, i soci dell’Associazione John Snow effettuano una piccola cerimonia, durante la quale attaccano e staccano la maniglia della pompa, in ricordo del lavoro svolto da uno dei padri dell’epidemiologia moderna.