Il gran lavoro dietro “1917”
È nei cinema da qualche giorno, potrebbe vincere l'Oscar tra qualche settimana ed è girato per sembrare che sia tutto un unico piano sequenza lungo quasi due ore
Da giovedì è nei cinema 1917, il film di guerra di Sam Mendes ambientato proprio in quell’anno lì: è considerato il favorito per vincere l’Oscar per il miglior film, nonostante diversi critici ne abbiano parlato male. La sua peculiarità – e quello che ha diviso i critici – sta nel suo essere stato girato per sembrare un unico piano sequenza, cioé un film senza tagli e montaggio. In realtà non lo è (i tagli ci sono, anche se nascosti), ma è comunque un film che per due ore segue sempre e solo gli stessi personaggi, dall’inizio alla fine, senza mai andare altrove, nello spazio o nel tempo.
La trama di 1917 è davvero semplice: a due giovani caporali britannici viene ordinato di superare la loro trincea e attraversare la cosiddetta “terra di nessuno” e poi un territorio che potrebbe ancora essere occupato dal nemico, per portare un fondamentale messaggio a un altro battaglione di 1.600 soldati, in cui tra l’altro si trova il fratello di uno dei due. Il messaggio deve essere portato in poche ore, per evitare a tutti quei soldati di finire in un’imboscata dei nemici tedeschi.
Il film inizia il 6 aprile 1917 – tra l’altro il giorno dell’entrata in guerra degli Stati Uniti – e l’imboscata dei tedeschi ha a che fare con il loro ripiegamento lungo la linea Hindenburg, come parte di quella che è nota come Operazione Alberico. Ma di tutte queste cose i due caporali sanno ben poco: sono due soldati in trincea, sanno solo quel che viene detto loro, e non gli viene detto granché.
1917 è un film per il quale, per una volta, può aver senso parlare di “critica divisa in due”. Da una parte sta chi, con tutte le sfumature del caso, l’ha apprezzato e pensa che le dieci candidature agli Oscar siano meritate. L’idea, in questo caso, è che la straordinaria complessità tecnica del film fosse il miglior modo possibile per raccontare quella storia. Da questo punto di vista, 1917 è stato descritto come un film audace e potente, che sa dove vuole andare e ci riesce, emozionando e coinvolgendo chi lo guarda. «Incredibilmente audace, ti intrattiene come i film sulle rapine e ti disturba come un incubo di fantascienza», ha scritto Peter Bradshaw sul Guardian.
Le critiche, invece, girano quasi tutte intorno al fatto che la tecnica di 1917 abbia tolto cuore al film, di cui molti hanno parlato mettendolo in relazione con un videogioco (una cosa che continua a essere intesa in modo dispregiativo, da molti di quelli che parlano di cinema). «Elaborato ma banale», ha scritto Owen Gleiberman di Variety.
Comunque la si pensi dopo aver visto il film, non ci sono però dubbi sul gran lavoro che sta dietro 1917. È partito da lontano, con Mendes che, dopo aver diretto Skyfall e Spectre, non trovava sceneggiature che gli piacessero, e allora – per la prima volta nella sua carriera – se l’è scritta lui, insieme a Krysty Wilson-Cairns, partendo da un racconto della vita al fronte che gli era stato fatto da suo nonno Alfred Hubert Mendes.
Una volta deciso di provarci con un film che fosse una serie di lunghi piani sequenza, Mendes, la troupe e il cast di 1917 si misero al lavoro. Che non vuol dire che si misero a girare.
La premessa fondamentale per poter girare un film così come l’ha girato Mendes era la sceneggiatura: il film, infatti, era stato scritto per poter essere girato in quel modo. Vuol dire, in poche parole, imporsi diversi restrizioni: «Mentre scrivevo le prime scene mi sembrava di avere addosso una camicia di forza», ha detto la co-sceneggiatrice Wilson-Cairns.
Una volta scritto il film, bisognava trovare dove girarlo. C’era da andare sui luoghi delle riprese (che sono state fatte nel Regno Unito) per costruire più di un chilometro di trincea e per trovare, adattare o creare gli altri luoghi necessari al film. Di questo si è occupato lo scenografo Dennis Gassner, che aveva lavorato con Mendes sia per Spectre che per Skyfall. Per fare 1917 serviva che Gassner predisponesse spazi tali da permettere agli attori e a chi doveva riprenderli di muovercisi dentro, di attraversarli. «Andava tutto coreografato e pensato in ogni dettaglio, anche i dialoghi; bisognava prevedere la lunghezza di ogni momento del film», ha detto Gassner. Mendes l’ha spiegata così: «Ogni passo andava calcolato. Lo spazio doveva essere lungo quanto la scena, e la scena doveva essere lunga il giusto per stare in quello spazio».
Gassner costruì dei modellini particolarmente dettagliati di ogni luogo e poi ne fece le versioni a grandezza naturale. Intanto, Mendes e altri passeggiavano tra i campi con la sceneggiatura in mano per studiare i percorsi che avrebbero fatto gli attori sul set, piantando qua e là bandierine (gialle e verdi per i due personaggi, e rosse per la cinepresa) così da tenere traccia dei movimenti. Bisognava, ha detto Mendes, «costruire un percorso che fosse dettagliato e credibile e allo stesso tempo in grado di mantenere l’interesse degli spettatori». Una cosa che, ha confessato, «a volte sembrava essere impossibile».
Oltre che pianificato in modo maniacale, ogni movimento andava anche provato. In genere, gli attori arrivano su un set poco prima delle riprese. Molti attori di 1917, in particolar modo i due protagonisti George MacKay e Dean-Charles Chapman, hanno quindi dovuto passare diversi mesi sul set ancor prima dei circa due mesi di riprese effettive (fatte tra aprile e giugno).
Il fatto che MacKay e Chapman non fossero particolarmente famosi fu utile sotto diversi punti di vista. Prima di tutto, chiedere a Leonardo DiCapro di passare metà anno su un set in Scozia sarebbe stato quantomeno problematico e certamente costoso. Ma anche senza essere veniali, c’era il rischio, ha detto Mendes, che il pubblico tendesse a guardarli come si guardano degli eroi: «Non volevo che il pubblico avesse già un rapporto con gli attori». Da un punto di vista della produzione, fu anche problematico perché è difficile farsi dare i soldi che servono per un film – circa 100 milioni di dollari, nel caso di 1917 – senza avere tra i protagonisti dei volti particolarmente noti (nel film ci sono Colin Firth e Benedict Cumberbatch, ma con ruoli minori).
Una volta terminati i preparativi, iniziarono le riprese. Per le quali Mendes ha collaborato, per la quarta volta, con Roger Deakins, un ammiratissimo direttore della fotografia. Mendes, Deakins e Gassner, lo scenografo, avevano tra l’altro già mostrato di saperci fare con i piani sequenza con la prima scena di Spectre.
Tra i tanti piani sequenza di 1917 – quelli veri ed effettivi, che stanno tra un “ciak, azione” e uno “stop” – ce n’è uno di quasi dieci minuti e diversi altri lunghi più o meno cinque minuti. Per passare da un piano sequenza all’altro senza che lo spettatore se ne accorga, sono stati usati dei momenti in cui lo schermo diventa tutto nero (in modo motivato da quello che accade) o in cui qualcosa copre l’immagine (così che si possa fare lo “stop” alle riprese e far passare tutto il tempo che serve prima di un successivo “ciak, azione”). I film che sono davvero un unico piano sequenza sono pochissimi, ma esistono (per esempio il film tedesco Victoria); quelli che lo sembrano senza esserlo davvero sono un po’ di più (e l’esempio più noto e recente è Birdman).
1917 è particolare anche perché non sono molti i film sulla Prima guerra mondiale. In genere si preferisce la Seconda, perché più recente, meno statica nel suo svolgimento e anche perché non serve spiegare chi sono i nazisti e perché c’è qualcuno che li sta combattendo. L’uso dei piani sequenza, quindi, è qualcosa di raro in assoluto, ma lo è ancora di più perché sono in un film ambientato durante quella guerra. È anche strano che il piano sequenza – una tecnica che prevede movimento continuo – sia stato associato a una guerra nota per essere statica.
Mendes ha spiegato che nei suoi piani non c’era mai stata una tecnica di ripresa diversa dai piani sequenza. Ne ha parlato come di una «condizione necessaria» e ha spiegato che «una volta che ti abitui a fare film, c’è il rischio di impigrirti e fare cose come “Ok, adesso un primo piano, poi un’inquadratura di quinta, dopo un’inquadratura a due, dopodiché una carrellata, e ogni tre scene qualcosa di un po’ più creativo».
I piani sequenza, però, comportano a loro volta altri problemi. Lo stesso Mendes ha spiegato, intervistato da Vox, che «la sfida è non diventare ripetitivo, di non attaccarti ai personaggi e di provare invece a cambiare la relazione che la cinepresa ha con loro, così che il punto di vista non sia sempre soggettivo. A volte li vedi, ma non sempre vedi quello che vedono loro. A volte vedi quello che loro ancora devono vedere, a volte è una relazione più intima e soggettiva, altre volte è molto oggettiva, e tu li vedi piuttosto piccoli in mezzo a un grande paesaggio». Sempre Mendes, questa volta parlando al Washington Post, ha detto: «Tra gli attori, la cinepresa e il paesaggio c’è una danza, e tutti e tre si muovono».
Come, ha scritto Manohla Dargis sul New York Times, «i movimenti sono fluidi e il punto di vista varia sempre; a volte ti fa vedere quel che vedono Blake e Schofield [i due messaggeri], mentre altre volte la cinepresa si muove come se fosse essa stessa un altro personaggio. Come se fosse cioè un silenzioso ma aggressivamente inquieto membro della loro unità».
Da un punto di vista più tecnico, il film è stato il primo a usare cineprese ALEXA Mini LF, particolarmente maneggevoli e quindi adatte alle necessita di 1917. Ma c’è anche stato bisogno di molta fantasia. Mendes ha detto che, per esempio, «qualche volta la macchina veniva agganciata a un cavo e trasportata da un cameraman, poi veniva liberata, e l’operatore la portava a bordo di una piccola jeep per percorrere qualche centinaio di metri; poi scendeva dalla jeep con la macchina da presa, e si appostava da un’altra parte».
Più una scena è lunga e complessa, più sono le cose che possono andare storte, e maggiore è la difficoltà nel rigirarla tutta da capo. Ma sul set di 1917 è successo più volte, ha spiegato Mendes a Variety, che qualcosa non andasse per il verso giusto: «È capitato che al settimo minuto di piano sequenza qualcuno facesse finire per sbaglio un po’ di fango sulla cinepresa o, altre volte, che qualcosa che sarebbe dovuto esplodere non esplodeva. Tutto questo, magari, in una scena in cui la recitazione era stupenda e tutto il resto era andato magnificamente».
Comprensibilmente, tra i dieci Oscar a cui è candidato 1917 non c’è il montaggio. Ma il lavoro di montaggio c’è stato e parlando di Lee Smith, il raramente menzionato montatore del film, il produttore Callum McDougall detto: «È stato un film molto complicato da montare perché il procedimento con cui unire fra loro le scene, per ottenere l’effetto di un’unica ripresa e quindi mescolare tutto nel giusto modo, è stato molto elaborato, e doveva essere fatto velocemente per poter restituire a Sam un feedback immediato».
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Mendes, nel caso qualcuno dovesse avere dubbi a riguardo, vorrebbe che il suo film lo si guardasse nei cinema, o comunque su uno schermo di un certo tipo: «Mi sparerei, piuttosto che vederlo su un telefono».