«Se non è su Strava, allora non è successo»
Da dove arriva, com'è fatta e dove vuole andare la società nota per la sua app per sportivi, che secondo qualcuno è ormai diventata una sorta di religione
Qualche giorno fa la giornalista, scrittrice e podista Rose George ha raccontato sul Guardian cos’è e come funziona Strava, una popolare app per registrare, analizzare, condividere e confrontare le attività fisiche degli utenti. Per spiegare quanto sia diffusa, George ha raccontato l’inizio di una breve gara di corsa (5 miglia, poco più di otto chilometri) a cui le era capitato di partecipare qualche mese prima.
«Al via, sono successe due cose: 400 piedi si sono messi in moto e 200 dita hanno schiacciato un pulsante su un orologio dotato di GPS, usato per registrare l’attività. […] Appena dopo la fine della gara, la maggior parte di chi aveva appena finito aveva caricato quei dati su una piattaforma digitale che ha cambiato lo sport amatoriale. Chi aveva appena corso sapeva, come milioni di altri sportivi in giro per il mondo, che se quello che fai non è su Strava, allora non è successo».
Strava fu fondata nel 2009 a San Francisco, si descrive come «l’app numero uno per chi corre o pedala» e usarla è molto semplice. Basta avere uno smartphone, un ciclocomputer o uno smartwatch dotato di GPS per registrare svariati tipi di attività (il ciclismo e la corsa, ma anche l’arrampicata, le passeggiate, il nuoto o le escursioni) e, una volta terminata l’attività, condividerla su Strava, una piattaforma pensata per integrarsi con dispositivi di ogni tipo e marca.
A chi lo fa, Strava offre una serie di dati su quell’attività, ma soprattutto notevoli possibilità di paragonare quell’attività con tutte quelle simili fatte in passato, anche da altri utenti. Si può vedere quando si è stati più veloci su un certo percorso o su una certa distanza, o se su un certo percorso (o una sezione di quel percorso) si è stati più veloci di altri utenti, siano essi amici o sconosciuti. Ogni utente può anche vedere se su un certo “segmento” di percorso è stato il più veloce del giorno, dell’anno o di sempre, tra tutti gli “atleti” (Strava chiama così i suoi utenti, e secondo un suo ex CEO è un atleta «chiunque sudi») o solo tra quelli di certe categorie (di sesso, di peso o di età). Su Strava è anche possibile iscriversi a Club (gruppi di utenti con qualcosa in comune), seguire e farsi seguire come su ogni altro social network e iscriversi a delle sfide da provare a completare in cambio di “Trofei”, cioè dei riconoscimenti sulla propria bacheca.
Strava non è l’unica app di questo tipo e tra i suoi principali concorrenti ci sono Runkeeper, Endomondo, Runtastic (controllata da Adidas) e MapMyRun (di proprietà di Under Armour). Tutti questi servizi sono più o meno integrabili con dispositivi tra loro diversi e offrono diversi livelli di analisi e condivisione. Rispetto a Strava sono però in genere molto più focalizzate sulla sola corsa (come è evidente fin dal nome di almeno tre di loro) e sono diventate meno presenti nelle vite, nei discorsi o addirittura nei meme di chi le usa. Al contrario, ha scritto George, Strava è «una religione». E forse persino di più: come ha scritto un utente su Twitter, commentando l’articolo scritto da George, più che di una religione sarebbe infatti forse il caso di parlare di «una dipendenza».
Il vero punto di forza di Strava è l’elemento di confronto tra diversi utenti, molto più sviluppato e celebrato che su altre app simili. Ed è proprio quello da cui i suoi creatori Michael Horvath e Mark Gainey partirono negli anni Novanta. I due, entrambi ex studenti e canottieri di Harvard, volevano riprodurre in un’app per lo sport le Leaderboard dei videogiochi, per ricreare, ha scritto George, la «competizione e le sensazioni» che avevano provato facendo canottaggio all’università. Volevano, ha scritto sempre George, «ricreare uno spogliatoio virtuale». Dovettero però tenere da parte per qualche anno la loro idea, visto che ancora mancavano le tecnologie adeguate per implementarla, e, nell’attesa, fondarono Kana, un software per la gestione delle relazioni con i clienti.
Kana arrivò a una valutazione di circa 10 miliardi di euro e aiutò i due a far partire il loro social network per atleti: Strava, che deve il suo nome al verbo svedese che significa “lottare”. Nel 2009 – quando la tecnologia aveva reso possibile portarsi in giro comodi e relativamente leggeri dispositivi dotati di GPS, spesso collegati ad altrettanto comodi cardiofrequenzimetri – Horvath e Gainey lanciarono Strava. Fu un ottimo momento, perché andavano forte sia i social che l’attività fisica. All’inizio Strava puntò soprattutto sui ciclisti, in particolar modo quelli più assidui e ferventi, che si pensava sarebbero stati i più interessati a competere con altri sconosciuti per vedere chi ci metteva meno a fare certi percorsi o certe salite (su Strava, il detentore o la detentrice del miglior tempo assoluto su un certo tratto, spesso una salita, sono noti com KOM e QOM, cioé “King (e Queen) of the Mountain”, re e regina della montagna.
In poche parole, Strava riuscì ad applicare nel migliore dei modi uno dei principi-mantra di molte delle app di successo degli ultimi anni: la gamification; la capacità di rendere ogni attività un gioco, una sfida, qualcosa con ostacoli da superare, ricompense da ottenere o avversari da battere. Integrando il tutto, ha scritto George, «in un’interfaccia che è generalmente considerata intelligente, pulita e semplice», oltre che – ed è una cosa sempre più rara – senza nessuna pubblicità.
Nel 2011 Strava lanciò un’app simile a quella originale ma esclusivamente dedicata alla corsa. Dal 2014 ha unito le due app e ha aggiunto altre possibili attività (compresi il surf, lo stand up paddle, lo sci, il kayak, l’handbike e il pattinaggio in linea e su ghiaccio), ognuna con dati diversi a seconda del tipo di sforzo che si fa (a chi pedala viene detta, per esempio, la cadenza di pedalata; a chi corre viene detto qual è il passo medio).
Alla fine di ogni anno Strava pubblica un resoconto generale sui 12 mesi precedenti. Nel più recente ha detto di avere 48 milioni utenti, che nel 2019 avevano registrato e caricato sul sito una media di 19 milioni di attività a settimana, da 195 paesi. Correndo per oltre duemila miliardi di chilometri complessivi e pedalando per un po’ meno di diecimila miliardi di chilometri. Più di due terzi dei suoi utenti sono uomini e più dell’80 per cento di chi usa Strava vive fuori dagli Stati Uniti. In media, ogni secondo vengono caricate su Strava 25 attività. Il 7,1 per cento degli atleti di Strava ha corso una maratona, e la velocità media dei maratoneti di Strava è di 3 ore e 58 minuti.
Just looking at this run makes us feel dog tired….!
Kudos to Lenny Maughan on another incredible piece of #StravaArt!
https://t.co/oMETNJBViT pic.twitter.com/J3liySOW7P— Strava (@Strava) August 23, 2019
Tra i suoi utenti ce ne sono nove che nel 2019 hanno scalato l’Everest e 3.059 che, in una sola attività, hanno superato un dislivello totale pari a quello dell’Everest (8.848 metri), in una particolare sfida che ha anche il suo nome: everesting. Il post (l’attività) che nel 2019 ha ricevuto più “mi piace” (che su Strava si chiamano “kudos”) è un giro di allenamento fatto dal britannico Chris Froome: a maggio, alle Canarie, il giorno dopo il suo compleanno pedalò per 6 ore coprendo una distanza di 178 chilometri, con un dislivello totale di oltre 4mila metri.
During the three weeks of the Tour de France, riders climb twice the elevation that the average Strava cyclist climbs in a year. Get up close to the pros without standing on the side of the road for hours – check out our #YearInSport at https://t.co/sPIKix7Bsv pic.twitter.com/vxQk9qM35e
— Strava (@Strava) December 30, 2019
Strava dice anche che per ogni minuto che i suoi utenti hanno passato usando attivamente l’app, ne hanno passati 50 facendo attività fisica. Può sembrare poco, ma se si conta appunto che certe attività durano diverse ore, è un buon dato, che fa pensare a un’app molto usata. Oltre alla gamification, un altro concetto che salta spesso fuori quando si parla di app è quello della stickiness, la “viscosità”. È la capacità di un’app di non farsi dimenticare, di rimanere in qualche modo attaccata a chi la usa. Un ottimo modo per farlo è creare una comunità tra i propri utenti, diventando un luogo di incontro e confronto che sia il più irrinunciabile possibile. Tutte cose che Strava può dire di aver ottenuto nei suoi primi dieci anni di vita.
Il passaggio successivo prevede di fare soldi: una cosa non sempre facile per un servizio perlopiù gratuito e che non ospita pubblicità. Perlopiù gratuito perché esiste Strava Summit, un servizio a pagamento (nella versione migliore possibile per 5 euro al mese) che aggiunge opzioni di vario tipo. Ma si tratta, in generale, di un’opzione pensata per atleti davvero assidui e ferventi, perché per un normale sportivo amatoriale le opzioni gratuite di Strava sono ben più che sufficienti. Non ci sono dati ufficiali su quanti utenti di Strava paghino per avere Summit, ma George ha scritto che «si ritiene si tratti di una percentuale che non raggiunge la doppia cifra».
George ha raccontato che a iniziò 2019 l’allora amministratore delegato James Quarles – arrivato da Instagram – le disse che la redditività non era lontana. Nel novembre 2019 Quarles è però stato sostituito e il suo posto è stato ripreso da Horvath, cioè da uno dei due fondatori (e anche l’altro, Gainey, è tornato ad avere un “ruolo attivo” in azienda).
Per diventare redditizia Strava ha diverse strade: la prima è diminuire sempre più le funzionalità gratuite, forzando così il passaggio di quanti più utenti possibile verso il servizio a pagamento. Ma è rischioso, perché c’è ovviamente la possibilità che molti utenti rinuncino, passando magari alla concorrenza. Un’altra opzione è aprirsi alla pubblicità a tutti i clienti certamente interessati al raggiungimento di una comunità di utenti accomunata dalla passione per un certo tipo di attività fisica, sacrificando in questo caso la generale pulizia dell’interfaccia. Un’altra opzione ancora prevede la vendita dei dati raccolti sugli utenti (o la cessione dell’intera società a qualche più grande società tecnologica). Si tratta infatti di dati che hanno a che fare con gli spostamenti degli utenti – tra le città, nei parchi, sulle strade – ma anche, entro certi versi, con la loro condizione fisica.
Per ora, Strava dice di fornire solo dati anonimi per il progetto Metro, che ha come clienti diverse città statunitensi ed europee e che, detto breve, raccoglie dati utili a mostrare come e dove si spostano tutti gli utenti del servizio.
Fu per dati di questo tipo, tra l’altro, che nel 2018 Strava mostrò – per colpa dei militari che la usavano senza pensarci – informazioni sensibili sulle basi militari statunitensi in giro per il mondo. La gestione di tutti questi dati sarà una delle cose di cui dovrà occuparsi Strava. Altri problemi, di certo più piccoli, riguardano certi utenti che per ottenere risultati migliori sull’app usano il GPS pedalando con una bicicletta elettrica (quindi “barando” in un certo senso) o, più in generale, una certa esasperazione dei risultati dovuti all’uso dell’app. «Chi va in mountain bike», ha scritto George, «racconta di persone che, venendo giù dalle discese, urlano “STRAVA!” per far spostare chi, davanti a loro, va più piano».