L’endorsement del New York Times per Elizabeth Warren e Amy Klobuchar
Per la prima volta nella sua storia il quotidiano americano ha deciso di sostenere due candidati alle primarie dei Democratici
Il New York Times, il più importante quotidiano statunitense e considerato fra i migliori giornali al mondo, ha annunciato che alle affollate primarie del partito Democratico per le elezioni presidenziali del 2020, che inizieranno fra due settimane, sosterrà due candidate: le senatrici Elizabeth Warren e Amy Klobuchar. È la prima volta nella sua storia che il quotidiano non sceglie un unico candidato, e la decisione viene spiegata estesamente nell’articolo che accompagna l’annuncio (dato in anteprima durante la serie tv settimanale prodotta dallo stesso New York Times, che va in onda negli Stati Uniti sul canale Hulu).
Il processo decisionale che ha portato il quotidiano a sostenere Warren e Klobuchar era stato annunciato in anticipo, con poche ma rilevanti differenze rispetto alle scorse elezioni presidenziali. Lo staff di editorialisti del New York Times – che lavora in maniera separata rispetto alla redazione vera e propria, come nella maggior parte dei giornali statunitensi – ha ottenuto interviste private da più di un’ora con tutti i principali candidati, senza restrizioni, e nei giorni seguenti ha soppesato la propria scelta durante apposite riunioni di redazione.
La principale differenza di quest’anno è stata la completa trasparenza del processo, che in passato era stato accusato di essere eccessivamente opaco dato che le interviste avvenivano off the record, cioè in maniera informale. Al contrario, questa volta tutte le interviste realizzate nelle scorse settimane sono state pubblicate in forma integrale, e l’intero processo è stato al centro di una puntata del Weekly, la serie tv prodotta dal quotidiano (che non è disponibile in Italia) e da un podcast estemporaneo chiamato The Choice, “la scelta”.
Secondo alcuni, la scelta di nominare due candidati non è una vera scelta, e si addice di più al finale di una serie tv che deve scontentare il minor numero possibile di spettatori. Secondo altri rimane il frutto di un processo più aperto del solito, in cui giornalisti molto preparati hanno avuto l’occasione per fare domande più concrete e dettagliate rispetto a quelle a cui sono abituati di solito i candidati.
La premessa del New York Times è che quasi tutti i candidati intervistati, se eletti, «diventerebbero il presidente o la presidente più progressisti da decenni a questa parte»: come notato da diversi altri commentatori, negli ultimi anni il programma dei Democratici si è spostato sempre più a sinistra e anche i candidati più moderati alle primarie – come Pete Buttigieg, Joe Biden e proprio Amy Klobuchar – appoggiano misure che un tempo appartenevano solo all’ala radicale del partito, come un notevole aumento del salario minimo o una forma di nazionalizzazione del sistema sanitario. «Quello in cui si differenziano maggiormente non è il cosa vogliono, ma come intendono farlo», spiega il New York Times: da qui, probabilmente, la scelta di indicare sia Warren sia Klobuchar, che hanno metodi piuttosto diversi di fare politica.
Warren ha 70 anni e dopo una lunga carriera da avvocata e accademica, è senatrice dal 2013: è considerata una dei massimi esperti mondiali delle politiche di protezione del consumatore. Piace soprattutto all’ala sinistra del partito, quella da cui secondo il New York Times di recente sono arrivate «alcune delle proposte più convincenti». Agli editorialisti del quotidiano sono piaciute le sue abilità retoriche e alcune sue proposte meno note come un programma per facilitare la costruzione di nuove case, oltre al sostegno incondizionato alla NATO («qualcosa di cui avremo davvero bisogno, dopo che Trump lascerà il suo incarico»).
Ma al contempo gli editorialisti del New York Times lasciano intendere che Warren sia generalmente poco incline al compromesso, e che durante la sua campagna elettorale abbia adottato una retorica populista del «noi-contro-di-loro» che in vista delle elezioni «si scontrerebbe contro un presidente che ha già diviso l’America nella sua versione dei noi-contro-di-loro». «Il paese ha bisogno di un tragitto più unificante», conclude il quotidiano.
La scelta di indicare Klobuchar va esattamente in quella direzione. Klobuchar ha 59 anni, è senatrice dal 2007 ed è una delle leader più riconoscibili dell’ala moderata del partito. Secondo un recente studio è la senatrice in carica che ha prodotto il maggior numero di misure sostenute sia dai Democratici sia dai Repubblicani. Viene inoltre dal Minnesota, uno stato che storicamente non tende né a destra né a sinistra, fin dall’Ottocento. Klobuchar ha un consenso nazionale intorno al 3 per cento, ma nei primi due stati in cui si vota alle primarie – Iowa e New Hampshire, per ragioni demografiche e sociali simili al Minnesota – è nettamente al quinto posto dopo il gruppone formato da Joe Biden, Bernies Sanders, Pete Buttigieg e Warren.
Il New York Times non ha espresso grandi preoccupazioni sui numeri di Klobuchar – «anche John Kerry, il candidato dei Democratici nel 2004, aveva consensi simili in questo periodo delle primarie» – e ha lodato il fatto che il suo pragmatismo e la sua esperienza nel raccogliere sostegno da entrambi i partiti potrebbe essere «la migliore carta per approvare delle misure progressiste», come le sue proposte di dimezzare la povertà infantile, o di azzerare le emissioni nette entro il 2050.
Al contrario di Warren, il New York Times non ha vere e proprie perplessità sulle sue posizioni, ma si è limitato a sottolineare il fatto che secondo varie indiscrezioni – fra cui soprattutto un dettagliato articolo del New York Times – Klobuchar è nota per trattare molto male i suoi dipendenti e collaboratori, cosa che potrebbe scoraggiare qualcuno a lavorare per lei.
Diversi altri candidati che stanno ottenendo consensi maggiori di Klobuchar sono stati scartati in maniera anche piuttosto severa. Bernie Sanders è stato sbrigativamente giudicato «un’altra figura divisiva e prodiga di promesse», proprio come Trump; a Joe Biden gli editorialisti del New York Times consigliano invece di «passare la torcia a una nuova generazione di politici», mentre a Buttigieg e ad Andrew Yang viene sostanzialmente rimproverata la scarsa esperienza politica.
È improbabile che il sostegno del New York Times sposti una percentuale significativa di voti, e le sue conseguenze saranno soprattutto indirette: leggendo le trascrizioni integrali delle interviste qualche giornale potrebbe decidere di approfondire o verificare le risposte dei candidati, mentre Klobuchar – la meno nota delle due candidate scelte – potrebbe guadagnare un po’ di visibilità che nei mesi scorsi non era riuscita ad ottenere.