Com’è andato l’incontro sulla Libia a Berlino
I paesi coinvolti, dalla Turchia alla Russia, hanno approvato un embargo sulle armi e promesso di non interferire nel conflitto
L’incontro che si è tenuto nel weekend a Berlino per trovare una soluzione sul conflitto in Libia si è concluso con la decisione dei Paesi coinvolti di non fornire ulteriori aiuti militari alle fazioni in guerra, con lo scopo di facilitare un processo di pace nel conflitto civile in corso ormai da anni. 16 tra paesi e organizzazioni internazionali hanno votato a favore di un embargo sulle armi proposto dalle Nazioni Unite che dovrà essere monitorato con maggiore attenzione che in passato.
Dopo 4 ore di colloqui i partecipanti hanno presentato una dichiarazione condivisa in cui hanno detto: «vogliamo la fine di tutte le operazioni militari, anche quelle a sostegno, delle parti in conflitto, sul territorio e sopra il territorio della Libia, a partire dall’inizio del cessate il fuoco». E hanno aggiunto che «ci impegniamo ad astenerci dalle interferenze nel conflitto armato e negli affari interni della Libia e invitiamo tutte le parti a fare lo stesso. Solo un processo politico libico e guidato dalla Libia può mettere fine al conflitto e portare una pace duratura».
Il Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha detto che le potenze principali si sono «pienamente impegnate» per una risoluzione pacifica. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato del tentativo di tregua della scorsa settimana, fallito dopo che il maresciallo Khalifa Haftar, che controlla l’est e il sud del paese e le cui forze assediano Tripoli dallo scorso aprile, l’aveva fatto saltare all’ultimo. Secondo Merkel dovrebbe essere trasformato in un cessate il fuoco permanente, che permetta una soluzione diplomatica alla crisi.
Quella di ritirarsi dalla tregua non era stata l’unica decisione di Haftar che aveva aumentato le tensioni rischiando di far deragliare l’incontro di Parigi: nei giorni scorsi i suoi alleati avevano bloccato i pozzi petroliferi orientali libici interrompendo così la produzione di 800mila barili di petrolio al giorno, che rappresentano il principale introito economico di Tripoli e allertando il governo del primo ministro Fayez al Serraj, riconosciuto dall’Unione Europea, dall’Italia e dalla Turchia. Serraj e Haftar, sostenuto da Francia e Russia, hanno partecipato alle trattative incontrando separatamente gli altri Paesi, ma non si sono incontrati direttamente tra loro. Era comunque dal 2018 che Serraj e Haftar non partecipavano a un incontro di questo tipo.
Negli ultimi dieci giorni i bombardamenti aerei si sono perlopiù fermati, ma ci sono stati scambi di colpi di artiglieria a Tripoli. Nonostante il fallimento del cessate il fuoco discusso a Mosca, i paesi della conferenza di Berlino hanno concordato che dovrebbe essere ridiscusso e monitorato da un comitato di cinque ufficiali militari per parte.
Dal 2014 in Libia si combatte una durissima guerra civile, seguita alla rivoluzione che depose il dittatore Muhammar Gheddafi e all’intervento militare internazionale del 2011. Dallo scorso aprile la guerra è entrata in una fase ulteriormente violenta, che ha portato all’intervento sempre più massiccio di potenze straniere a sostegno dei due governi che di fatto sono presenti nel paese.
📹 | Leaders of the country's that attend the #Berlin summit on #Libya posed for a family photo prior to the conference pic.twitter.com/vZEgIQKFGG
— EHA News (@eha_news) January 19, 2020
Alla conferenza di Berlino c’erano anche il presidente russo Vladimir Putin, che sostiene Haftar e che ha inviato centinaia di mercenari per affiancarne le milizie nell’assedio a Tripoli, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che a gennaio ha inviato soldati in aiuto a Serraj, e i rappresentanti di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, anche loro schierati con Haftar. C’erano poi i rappresentanti dell’Unione Europea, della Lega Araba, dell’Unione Africana e dei 5 paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, compresi quindi gli Stati Uniti con il segretario di Stato, Mike Pompeo, e l’Italia con il primo ministro Giuseppe Conte.
La maggior parte delle preoccupazioni prima e dopo la conferenza di domenica riguarda le reali intenzioni di Haftar, che si sa essere poco interessato a un accordo che non gli garantisca il controllo sul paese: vorrebbe lo smantellamento delle fazioni armate nella Libia occidentale, e che venga ritirato un accordo marittimo e militare tra il governo di Serraj la Turchia. Serraj invece aveva chiesto l’invio di «truppe di protezione» internazionali se Haftar dovesse continuare la sua offensiva: «dovrebbero operare sotto le Nazioni Unite», aveva spiegato al giornale tedesco Die Welt. Serraj aveva anche criticato l’Unione Europea, accusandola di non aver fatto abbastanza per la Libia.
L’Unione Europea è soprattutto interessata a porre fine al conflitto nel timore che peggiori e che diventi «una seconda Siria», come ha detto il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas. Anche in Europa però ci sono interessi contrastanti: l’Italia, che ha sempre avuto un peso importante in Libia, appoggia Serraj ma da mesi ha perso molta della sua influenza; la Francia si è legata a Haftar, per interessi economici ed energetici e nella speranza che contrasti i gruppi islamisti in Libia e nei paesi vicini.
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