Le navi inquinano le città
Quando stanno ferme in porto sono costrette a usare i loro motori: ma non potrebbero attaccarsi alla rete elettrica? Eh, fosse facile
di Paolo Bosso
Le navi mercantili sono responsabili di circa il 2 per cento delle emissioni globali di gas serra, come sottolineato da più ricerche indipendenti, come quella del legislatore internazionale della navigazione, l’International Maritime Organization (IMO), o dell’Unione Europea. L’inquinamento è in gran parte legato alla necessità di spostare queste enormi navi da una parte all’altra del mondo, ma le navi mercantili, così come quelle da crociera, inquinano anche quando rimangono attraccate nei porti, perché sono costrette a far andare i motori in continuazione per poter funzionare.
Per ridurre l’inquinamento dovuto alla navigazione la strategia che si sta adottando è utilizzare combustibili meno dannosi per l’ambiente per i motori delle navi.
Per ridurre le emissioni di ossido di zolfo – uno dei tre inquinanti prodotti dai motori delle navi insieme ad anidride carbonica e ossidi di azoto – dal primo gennaio è entrato in vigore un regolamento molto rigido che impone alle navi mercantili di tutto il mondo di utilizzare bunker (olio combustibile pesante specifico per le navi di grossa stazza) con non oltre lo 0,5 per cento di zolfo, un settimo del limite ammissibile fino allo scorso anno. Ma per raggiungere l’obiettivo dell’IMO di ridurre del 50 per cento entro i prossimi 30 anni i gas serra emessi dalle navi mercantili rispetto al 2008, sarà fondamentale la ricerca di combustibili alternativi a quelli derivati dal petrolio, come il gas naturale liquefatto (LNG) o l’idrogeno.
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Considerando che nel frattempo non possiamo togliere le navi dalla circolazione (almeno otto di dieci cose prese a caso che ci circondano in questo momento hanno attraversato un oceano per raggiungerci) e che la transizione totale verso carburanti ecologici richiederà decenni, riuscire a “spegnere” una nave quando questa è attraccata per ore in un porto, a pochi chilometri o poche centinaia di metri da un centro storico, è considerato un obiettivo a breve termine che sia la comunità scientifica che l’opinione pubblica chiedono da tempo.
Far spegnere i motori alle navi in porto sembra una cosa semplice ma non lo è, perché i motori ausiliari devono restare accesi per continuare ad alimentare le cucine, le luci, gli ascensori, i computer, le scale mobili, le fontane e le stanze. Se una nave mercantile può avere a bordo non più di qualche decina di marittimi, una nave da crociera può trasportare fino a 7 mila tra passeggeri ed equipaggi e l’energia elettrica che richiede è quella di una piccola città.
La soluzione verso cui si sta andando è il cosiddetto “cold ironing”, il sistema con cui una nave ormeggiata in banchina riceve corrente elettrica direttamente da terra. Detta così sembra semplice da mettere in pratica, ma si tratta di erogare energia per migliaia di appartamenti nel corso di una mezza giornata attraverso dispositivi eterogenei. Molti porti sperimentano il cold ironing da anni ma manca una distribuzione uniforme, uno standard delle tariffe e della distribuzione che non può che essere internazionale. Bisogna erogare una potenza considerevole con costi – per l’armatore, per le autorità portuali, per i comuni – attualmente troppo alti. Applicare le tariffe notturne, come facciamo nelle nostre case, non basta. Isabelle Ryckbost, segretaria generale dell’associazione dei porti europei (ESPO), commentando un recente rapporto dell’associazione sull’inquinamento dei porti delle grandi città europee, ha spiegato come «l’aumento dei costi e la carenza di elettricità disponibile in città sono spesso degli ostacoli», soprattutto a causa delle tasse sul prezzo dell’energia.
Uno dei primi porti in Italia a progettare un sistema di cold ironing è stato quello di Venezia, nel 2013. Il porto si è dotato di tre motori Rolls-Royce a combustione interna in ciclo semplice alimentati a bio-combustibile o a gas metano, che generano fino a 24 Megawatt. L’aria e l’acqua di raffreddamento dei motori possono essere utilizzate per acclimatare i locali e la corrente prodotta in eccesso andrebbe rivenduta a terzi. A marzo del 2018 il porto di Genova ha firmato un accordo da 8 milioni di euro con la multinazionale giapponese Nidec per la fornitura di convertitori statici di frequenza per convertire l’energia elettrica pubblica, fornita dal comune, alla tensione necessaria per essere utilizzabile dalle navi. A luglio dell’anno scorso Enel e Fincantieri si sono impegnate a lavorare a un sistema «economicamente competitivo» di cold ironing.
L’estate scorsa il porto di Napoli è andato vicino ad essere il primo porto del Sud Italia a sperimentare il cold ironing su alcuni traghetti che collegano Capri, Ischia e Procida. Sfruttando la tariffa notturna e il fabbisogno di navi relativamente piccole, l’autorità portuale della Campania ha trovato un accordo con Enel e l’armatore Caremar. La potenza erogata dalla cabina sarebbe dovuta essere di 150 kilowatt, con un consumo complessivo per i traghetti di un milione di kWh. L’operazione però non è andata avanti perché il terminal dei traghetti non ha voluto dare in sub-concessione lo spazio per realizzare la piccola infrastruttura necessaria, a causa probabilmente di rivalità imprenditoriali con le altre società coinvolte nell’operazione.
L’8 gennaio di quest’anno, invece, il porto di Dunkerque è stato il primo della Francia ad allacciare alla rete elettrica nazionale una portacontainer. Un cold ironing gestito da Actemium, un consorzio di due compagnie di Brest e Boulogne. Occupa lo spazio di sei container da 12 metri e converte l’energia elettrica pubblica alla tensione necessaria le navi. La capacità è di 8 Megawatt, sufficiente ad alimentare più di duemila appartamenti, che lo rende uno dei più potenti sistemi di questo tipo installati in un porto europeo. Il finanziamento per la sua realizzazione è stato fornito dalla Communauté urbaine de Dunkerque, l’insieme delle diciotto municipalità della città (pari a circa 200 mila abitanti), dalla regione Hauts-de-France (che ha ottenuto fondi europei) e dall’autorità portuale di Dunkerque.
Il cold ironing è un sistema che può diffondersi in tutti i più importanti porti del mondo ma richiede un grande sforzo amministrativo internazionale. Un po’ bisogna adattare le navi, uniformandole a determinati standard di corrente, ma più di tutto ci devono credere i legislatori internazionali facendo pressione sui singoli paesi affinché riorganizzino il modo in cui erogano l’energia nei porti. Le navi possono arrivare ad attraccare in un solo viaggio anche in quattro continenti. Le leggi dell’Unione Europea non basterebbero per strutturare il cold ironing in tutti i principali porti del mondo. Le potenze in gioco variano tra navi diverse, da un minimo di uno fino a 20 Megawatt, da erogare per almeno dieci ore. Alcune navi hanno bisogno di 220 volt a 50Hz, altre a 60 Hz, altre ancora di 110 volt a 60 o 50Hz. La rete di distribuzione dell’energia invece varia da 400 volt fino a 11 kilovolt. Anche per il cold ironing, come per la transizione verso combustibili ecologici, ci vorrà quindi tempo.