I dazi di Trump sulla Cina hanno funzionato?
Con la sua spregiudicata politica commerciale Trump è riuscito a portare il governo cinese a un primo accordo, ma c'è un ma
È stata una buona settimana per le politiche commerciali del presidente statunitense Donald Trump. Lunedì il Wall Street Journal, il principale quotidiano economico del paese, ha ospitato un articolo in cui il suo consigliere economico Peter Navarro illustra in dettaglio perché, secondo lui, le politiche “poco ortodosse” di Trump sul commercio internazionale si siano rivelate un grande successo personale del suo presidente e per il paese. Due giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, una delegazione cinese guidata dal vice presidente Liu He ha firmato un accordo commerciale che dovrebbe essere il primo passo verso la fine della guerra di dazi e contro-dazi innescata da Trump due anni fa.
L’accordo preliminare è particolarmente favorevole agli Stati Uniti, visto che il governo cinese si impegna ad acquistare circa 200 miliardi di dollari l’anno in prodotti statunitensi, mentre le sanzioni statunitensi che colpiscono i prodotti cinesi rimarranno in vigore fino a che non sarà valutato l’impatto del nuovo accordo firmato questa settimana. Insomma, sembra che Navarro avesse ragione: la politica commerciale di Trump, bizzarra, poco ortodossa e criticata da tutti i principali economisti, una volta messa in pratica si è rivelata più efficace del previsto. La Cina ha ceduto alle sue pressioni, l’economia americana continua ad andare piuttosto bene e non sembra aver subito il contraccolpo che molti temevano.
Come molti hanno notato in questi giorni, però, le vittorie di Trump nascondono almeno un paio di problemi. L’accordo con la Cina, per quanto piuttosto favorevole agli Stati Uniti, non ha risolto i problemi di fondo nel rapporto commerciale tra i due paesi, le ragioni alla base della decisione di Trump di iniziare la “guerra commerciale” con la Cina. All’epoca Trump aveva sostanzialmente due obiettivi. Il primo: contrastare le sovvenzioni del governo cinese ai settori industriali destinati alle esportazioni, una strategia che il governo cinese adotta in modo da poter esportare prodotti a prezzi competitivi e spiazzare la concorrenza. Il secondo: proteggere le proprietà intellettuali delle aziende americane, che i cinesi spesso riescono a violare imponendo alle società che vogliono stabilirsi in Cina di fare joint venture con imprese locali e di condividere i loro brevetti.
Con l’accordo di questa settimana nessuno di questi obiettivi è stato nemmeno toccato. Il governo cinese si è impegnato a far acquisti sul mercato americano, ma per il momento non sembra avere intenzione di cambiare le sue politiche industriali. Gli stessi membri dell’amministrazione Trump avevano ripetuto nelle scorse settimane che l’accordo in via di completamento non avrebbe risolto tutte le controversie commerciali tra i due paesi. L’accordo è stato ribattezzato “fase uno”: una sorta di primo tempo dei negoziati che, secondo l’amministrazione Trump, proseguiranno nei prossimi mesi.
Per i più critici l’accordo di questa settimana serve soltanto a rimediare ad alcuni dei danni causati dalla guerra commerciale stessa ed evitare che ne vengano fatti altri, ma non è destinato a risolvere alla radice il problema. Il governo cinese, sostengono, aspetterà probabilmente l’esito delle prossime elezioni presidenziali prima di decidere sulla vera posta in palio, e per il momento si accontenterà dell’attuale situazione in cui il rischio di nuovi dazi è stato scongiurato. Per capire chi ha ragione bisogna andare a vedere nel dettaglio come si è svolta la guerra commerciale, e cercare di capire chi esattamente ha finito con il pagare i dazi che i due paesi si sono imposti a vicenda negli ultimi due anni.
Che Trump fosse ostile alla Cina e considerasse le sue pratiche commerciali scorrette era noto fin dalla campagna presidenziale del 2016. Una volta arrivato alla Casa Bianca, però, Trump ha impiegato circa un anno per cominciare a fare sul serio. I primi dazi sono stati approvati all’inizio del 2018 e poi, tra pause, marce indietro e rialzi, sono cresciuti per tutti i due anni successivi. Oggi gli Stati Uniti impongono tariffe aggiuntive su 360 miliardi di dollari di prodotti cinesi esportati negli Stati Uniti. Queste tariffe doganali possono arrivare fino al 25 per cento del prezzo del prodotto, e colpiscono una serie di beni nella cui produzione la Cina si è da tempo specializzata, come pannelli solari, batterie e componenti elettroniche (in tutto 1.300 prodotti).
In risposta, la Cina ha imposto dazi su altrettanti prodotti americani, in particolare su prodotti agricoli e alimentari, come maiali, noci, frutta e soia, ma anche aeroplani, alluminio e tubi d’acciaio. Insomma, con la guerra commerciale, per industrie e consumatori dei due paesi è diventato più costoso comprare prodotti di esportazione provenienti dalla potenza rivale. Che effetti ha avuto tutto questo sulle economie dei due paesi?
Ci sono sostanzialmente due possibilità in queste circostanze. La prima: le industrie del paese sottoposto ai dazi scelgono di rinunciare a una parte dei loro profitti per mantenere i loro prezzi competitivi (in questo modo “pagano” loro stessi la tariffa che gli viene imposta). La seconda: i prodotti sottoposti a dazi continuano a essere acquistati al prezzo maggiorato (per esempio perché non ci sono sostituti) oppure vengono sostituiti con altri più costosi prodotti localmente o in paesi non sottoposti a dazi (più costosi, in questo caso, significa più costosi rispetto al prodotto originariamente acquistato prima delle tariffe). In questo secondo caso, è il paese che ha messo le tariffe a pagarne il costo.
Secondo numerosi studi pubblicati negli ultimi mesi, la guerra commerciale iniziata da Trump finora è stata pagata soprattutto dai consumatori e dalle imprese statunitensi. Chi importa i prodotti cinesi sottoposti ai dazi ha continuato a farlo, e ha scaricato l’aumento dei suoi costi alzando i prezzi ai consumatori oppure tagliando i suoi profitti. In altri casi la sostituzione di un prodotto cinese con uno fabbricato negli Stati Uniti o in un altro paese non sottoposto ai dazi ha comportato un aumento del prezzo per i consumatori.
Per i sostenitori dei dazi, come Navarro, questi non sono grandi problemi. Nel medio e lungo termine l’aumento della domanda per i prodotti fabbricati negli Stati Uniti (divenuti comparativamente più convenienti grazie ai dazi) stimolerà gli investimenti in quei settori, che a loro volta generanno un incremento di produzione e quindi un abbassamento dei prezzi. Nel breve termine, però, questo fenomeno deve ancora verificarsi. Secondo una ricerca pubblicata sull’importante rivista del National Bureau of Economic Reasearch, per esempio, «all’incirca il 100 per cento» del costo delle tariffe messe dall’amministrazione Trump al momento viene pagato da imprese e consumatori statunitensi.
Un altro problema nell’efficacia della guerra commerciale di Trump si deve alla sostanziale differenza tra l’impatto che hanno i dazi ordinati da Trump e quelli imposti in risposta dalla Cina. Gran parte dei dazi voluti da Trump colpisce prodotti cinesi ad alto contenuto tecnologico: telefonini, televisori e altri componenti elettronici, nessuno dei quali è facile da sostituire (alcuni dazi colpiscono l’acciaio ma la Cina è soltanto il decimo esportatore negli Stati Uniti, quindi la misura non ha avuto un effetto particolarmente forte).
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La Cina, dall’altra parte, ha messo molti dazi su prodotti agricoli americani per i quali è facile trovare nuovi fornitori. Gli importatori cinesi hanno potuto sostituire facilmente la soia importata dagli Stati Uniti con quella brasiliana, per esempio, incorrendo in un leggero aumento di prezzo ma nel contempo procurando un danno significativo agli agricoltori statunitensi. Per il momento, quindi, gli Stati Uniti sono riusciti a portare la Cina al tavolo delle trattative, ma in cambio hanno dovuto pagare un aumento nel prezzo di diverse importazioni.
Per l’economia statunitense, che è ancora stabile e molto forte, il contraccolpo dei dazi non ha rappresentato un grosso problema, mentre la Cina si trova in una situazione che a molti osservatori appare più delicata e precaria. Nonostante questo, però, le pratiche del governo cinese che hanno causato l’inizio della guerra commerciale non sono state modificate e non sembra che lo saranno nel prossimo futuro.