L’inquinamento dell’aria, spiegato bene
Particolato, polveri sottili, biossido di azoto, indice di qualità dell'aria: le cose da sapere per capire cosa respiriamo, soprattutto in giorni come questi
Negli ultimi giorni diverse grandi città italiane hanno superato i limiti per l’inquinamento dell’aria, rendendo necessaria l’adozione di limitazioni al traffico cittadino per provare a migliorare la situazione. Il problema sta interessando soprattutto l’area della Pianura Padana, con città come Milano e Torino che devono fare i conti con una qualità dell’aria molto scadente, ma le cose non vanno molto meglio in Veneto e in parte dell’Emilia-Romagna. La piogge previste per venerdì 17 e sabato 18 gennaio potrebbero aiutare a migliorare la situazione, almeno in parte del bacino padano.
Come avviene spesso in queste circostanze, giornali e altri media parlano di polveri sottili, particolato e di inquinamento senza offrire molte spiegazioni per orientarsi tra i vari termini: proviamo a fare un po’ di ordine.
Particolato
Il termine viene usato per indicare l’insieme delle sostanze – solide e liquide – sospese nell’aria con un diametro fino a mezzo millimetro, dovute sia ad attività naturali (pollini, polvere) sia a quelle umane (industrie, riscaldamento, traffico).
PM
È l’abbreviazione della locuzione “particulate matter”, usata per identificare le dimensioni delle particelle che costituiscono il particolato: più sono piccole, più vuol dire che si possono intrufolare nel nostro organismo, talvolta causando danni.
PM10
È di solito il particolato più citato ed è formato da particelle con un diametro inferiore al centesimo di millimetro (10 micrometri). È una polvere che può essere respirata ed è quindi in grado di raggiungere le parti interne del naso e della laringe. Particelle con diametro tra i 5 e i 2,5 micrometri riescono anche a depositarsi nei bronchi, le strutture all’interno dei nostri polmoni che portano poi agli alveoli che rendono possibile l’ossigenazione del sangue.
PM2,5
Viene di solito definito “particolato fine” ed è formato da particelle con diametro inferiore a 2,5 micrometri. Riesce a penetrare nei polmoni e in alcune circostanze a raggiungere poi il sistema circolatorio, con ulteriori rischi per la salute.
Inquinanti di altro tipo
Oltre alle polveri sottili, ci sono altre sostanze che in concentrazioni sostenute nell’aria possono essere pericolose per la salute. I motori diesel, per esempio, emettono notevoli quantità di biossido di azoto, ritenuto cancerogeno e che nelle persone a rischio può provocare danni seri all’apparato respiratorio e non solo. C’è poi l’ozono, prodotto da diverse reazioni che interessano anche il biossido di azoto: può causare irritazioni dell’apparato respiratorio ed è tra le sostanze più rischiose per chi soffre d’asma.
Oltre al particolato, ci sono numerosi altri inquinanti primari di tipo gassoso. Dalla combustione dei combustibili fossili e altre fonti naturali (come la decomposizione biologica) derivano i composti dello zolfo. La quasi totalità delle emissioni di zolfo dovute all’attività umana è composta da biossido di zolfo, che deriva dai processi di combustione: di solito non ha una lunga permanenza nell’aria, perché viene rimosso dalle precipitazioni atmosferiche. Ci sono poi i composti di azoto considerati inquinanti, come il monossido e il biossido di azoto, prodotti sia in natura sia con l’attività umana sempre attraverso i processi di combustione.
Nell’aria che respiriamo sono disciolte, a concentrazioni variabili, molte altre sostanze come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), dovuti per esempio alla combustione del gasolio, della legna e della nafta, in alcuni casi considerati forti cancerogeni.
Infine, nell’aria sono anche disciolti i composti del carbonio, come il monossido di carbonio (CO) e l’anidride carbonica (CO2). Il primo è altamente tossico e permane per circa 30 giorni nell’atmosfera, dal momento della sua emissione, prima di essere ossidato da reazioni chimiche indotte dalla luce (fotochimiche). Benché se ne produca molta con le attività umane, l’anidride carbonica non raggiunge livelli tali da essere direttamente tossica per noi o gli animali. Gli alti livelli di CO2 disciolti nell’aria sono tuttavia tra i primi responsabili del riscaldamento globale tramite l’effetto serra: impediscono alla Terra di disperdere parte del calore ricevuto dal Sole. La comunità scientifica concorda sul fatto che l’attività umana abbia contribuito a immettere quantità crescenti di anidride carbonica nell’atmosfera, rompendo l’equilibrio che consentiva al nostro pianeta di mantenere la giusta temperatura media.
Pianura Padana
Nella Pianura Padana si riscontra in media un livello di inquinamento dell’aria superiore rispetto ad altre aree dell’Italia. Il fenomeno è rilevante soprattutto nei mesi invernali, in parte a causa della conformazione geografica del bacino padano e delle sue condizioni meteorologiche: la mancanza di vento e la stabilità atmosferica fanno sì che le sostanze inquinanti disciolte nell’aria ristagnino, senza che siano disperse. Nella Pianura Padana sono inoltre presenti alcune delle più grandi città del nostro paese e ci sono aree densamente industrializzate, con la conseguente emissione di grandi quantità di sostanze inquinanti nell’atmosfera.
Salute
Le stime del ministero della Salute dicono che ogni anno in Italia muoiono almeno 30mila persone per gli effetti del particolato fine, il 7 per cento circa di tutti i decessi nel nostro paese (escludendo quelli per incidente). Anche se è complesso fare stime accurate, il ministero valuta l’inquinamento tra i fattori che riducono di 10 mesi circa la vita di ognuno di noi, con una distribuzione geografica che varia molto: 14 mesi per chi vive al Nord, 6,6 per chi è nel Centro e 5,7 per il Sud e le isole. Se si rispettassero i limiti di legge, che impongono una concentrazione massima di particolato per metro cubo, ogni anno si potrebbero risparmiare 11mila vite.
Limiti
Gli attuali limiti, cui fanno riferimento le Agenzie per l’ambiente delle varie regioni, e che determinano poi misure come il blocco del traffico, sono stabiliti dal decreto legislativo 155 del 2010, realizzato per recepire la direttiva 2008/507CE dell’Unione Europea sulla qualità dell’aria tra gli stati membri.
La legge prevede che per il PM10 non si superino i 50 microgrammi per metro cubo in media in una giornata e che il dato medio annuale non superi i 40 microgrammi al metro cubo. È inoltre previsto che il valore sia superato per un massimo di 35 volte in un anno. Una logica simile, naturalmente con valori diversi, viene seguita anche per il biossido di azoto e altre sostanze inquinanti.
Oltre i limiti
Per farsi un’idea della situazione attuale in alcune città del nord, basta confrontare il limite dei 50 microgrammi per metro cubo di PM10 previsto dalla legge con le rilevazioni (media giornaliera) svolte dall’ARPA di competenza il 14 gennaio scorso:
Lombardia
Milano – 90 microgrammi per metro cubo
Bergamo – 62 microgrammi per metro cubo
Brescia – 67 microgrammi per metro cubo
Monza – 78 microgrammi per metro cubo
Piemonte
Torino – 94 microgrammi per metro cubo
Alessandria – 91 microgrammi per metro cubo
Asti – 93 microgrammi per metro cubo
Vercelli – 83 microgrammi per metro cubo
Le cose non sono andate meglio per diversi capoluoghi del Veneto, con Padova e Rovigo che hanno superato i 100 microgrammi per metro cubo e Venezia, Verona, Vicenza e Treviso con valori tra gli 80 e i 99 microgrammi per metro cubo. In Emilia-Romagna diversi capoluoghi hanno superato negli ultimi giorni i valori dei 100 microgrammi per metro cubo, tra cui Modena, Bologna, Ferrara e Rimini.
Passato e presente
I dati attuali indicano che milioni di persone respirano aria in condizioni piuttosto rischiose, ma se viste in una prospettiva storica suggeriscono comunque un minimo miglioramento. Come ha spiegato al Corriere della Sera Guido Lanzani, uno dei responsabili dell’ARPA della Lombardia: “Viviamo un momento critico, ma non anomalo. La situazione va monitorata essendo che siamo sopra ai limiti. Ma se confrontiamo i dati di 15 o 20 anni fa, si vede quanto la realtà urbana sia migliorata”.
Nel 2005 i giorni oltre i limiti a Milano furono 152, mentre nel 2019 sono stati 72. Nelle serie storiche, il picco massimo in città fu di 309 microgrammi per metro cubo nel 2002, contro i 107 dello scorso anno. L’adozione dei filtri sui veicoli diesel, le marmitte catalitiche, la sostituzione di buona parte delle caldaie dei condomini a nafta con quelle a metano e diversi altri provvedimenti hanno permesso di ridurre l’inquinamento cittadino. Il particolato prodotto dal traffico è ancora consistente, e non solo per i prodotti della combustione dei motori, ma anche per le polveri prodotte dall’usura degli pneumatici e di altre componenti meccaniche delle auto (freni compresi).
Riscaldamento residenziale
Il riscaldamento domestico continua comunque a essere una delle principali cause di inquinamento, soprattutto negli edifici dove sono impiegate caldaie a legna, pellet e carbonella. Il progetto PrepAir – cofinanziato dall’Unione Europea e con numerosi partner istituzionali – in questi anni si è occupato dell’analisi dell’inquinamento dell’aria e delle sue principali cause nell’area della Pianura Padana, ottenendo risultati importanti per aiutare regioni e comuni a ridurre l’inquinamento.
PrepAir stima che in molte regioni italiane “più del 90 per cento del PM10 generato dal settore del riscaldamento domestico deriva dai piccoli apparecchi a legna”. I momenti di maggior produzione di particolato avvengono in corrispondenza delle fasi di combustione incompleta del legname, spesso prevalenti nelle caldaie di dimensioni medio-piccole. Nei grandi impianti che bruciano biomasse (per esempio per il teleriscaldamento) la combustione è gestita invece in modo ottimale e sono presenti tecnologie per depurare i fumi: “A parità di legna bruciata, le emissioni di polveri e inquinanti tossici in questo tipo di impianti sono quindi centinaia di volte inferiori a quelle causate dagli apparecchi domestici”.
Indice di qualità dell’aria (IQA)
Spesso quando si parla di inquinamento viene citato il cosiddetto “indice di qualità dell’aria” (IQA), valore che viene anche utilizzato da alcune applicazioni per smartphone piuttosto popolari, che dicono di offrire misurazioni dei livelli di inquinamento del luogo in cui ci si trova. L’IQA è un indicatore utile per farsi un’idea piuttosto immediata dello stato dell’aria, ma è bene ricordare che a oggi non esiste uno standard ben definito per misurarlo. Negli ultimi anni l’Unione Europea ha fatto numerosi sforzi per provare a uniformare modelli e stime del’IQA per lo meno tra gli stati membri, introducendo il concetto di “Indice Europeo della Qualità dell’Aria”.
Il nuovo indice europeo, presentato alla fine del 2017, tiene in considerazione i livelli di cinque inquinanti chiave rischiosi per la salute delle persone e per gli ecosistemi: il particolato, l’ozono troposferico (O3), il diossido di azoto (NO2) e il diossido di zolfo (SO2). I valori delle rilevazioni sono poi inseriti in un modello, che consente di definire con buona approssimazione la qualità dell’aria in ogni momento della giornata in un’area geografica, definita secondo queste classificazioni: buona, sufficiente, moderata, scarsa, molto scarsa, estremamente scarsa.
L’inquinamento dell’aria in Italia
L’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EAA) sull’inquinamento atmosferico in Italia indica una situazione non ideale per il nostro paese, con frequenti superamenti delle soglie, soprattutto per quanto riguarda il particolato e l’ozono troposferico. La situazione è complicata dal fatto che le aree in cui l’inquinamento atmosferico è maggiore corrispondono a quelle dove si concentra la maggior parte della popolazione.
Se si osserva l’andamento della qualità dell’aria nell’ultima decina di anni, l’Italia si mantiene per diversi valori al di sotto dei limiti indicati dall’Unione Europea.
Le cose però cambiano se si osserva la distribuzione geografica: al Nord e in parte del Centro lo sforamento delle polveri sottili è la norma per molte grandi città, a differenza del Sud (fatta eccezione per la Campania e alcune zone della Puglia) dove la situazione è meno grave. Le differenze sono dovute ai diversi livelli di industrializzazione, alle dimensioni delle città e alle condizioni climatiche molto diverse lungo la penisola.
L’inquinamento dell’aria nel mondo
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che il 91 per cento degli abitanti della Terra respiri aria inquinata e che ogni anno le morti per inquinamento atmosferico siano 7 milioni (1,4 milioni in Europa). Dal 1987, l’OMS pubblica periodicamente linee guida per il miglioramento della qualità dell’aria, con indicazioni per i governi che per lungo tempo sono state sostanzialmente ignorate o disattese. In assenza di nuove contromisure, il cambiamento climatico, dovuto al riscaldamento globale, determinerà un ulteriore peggioramento della qualità dell’aria in numerosi paesi, con conseguenze che la stessa OMS fatica a prevedere con certezza.
Nel complesso la concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria nell’ultimo decennio si è ridotta in buona parte dei paesi più industrializzati, complici leggi più severe e progressi tecnologici, mentre è aumentata considerevolmente nei paesi in via di sviluppo e in parte dell’Africa.
L’OMS, insieme ad altre istituzioni, sta portando avanti progetti e programmi per affrontare il problema dell’inquinamento atmosferico, che implica non solo grandi rischi per la salute, ma anche enormi costi sociali. Il primo obiettivo è avere sistemi di rilevazione e analisi dell’aria sempre più uniformi e coerenti, in modo da comprendere meglio quali siano le aree più inquinate e quali siano le principali fonti inquinanti. I dati potranno essere poi impiegati per elaborare strategie che coinvolgano tutti, dai governi alle industrie, passando per i singoli cittadini che respirano aria e inquinanti.