La nuova sentenza su cellulari e tumori
La Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza su un “nesso di causalità” tra telefonini e tumori, benché non ci siano ancora prove scientifiche chiare
La Corte di Appello di Torino ha confermato una sentenza del 2017 che aveva stabilito la presenza di un “nesso di causalità” tra l’utilizzo dei telefoni cellulari e una particolare forma di tumore. La conferma in Appello non ha particolari precedenti in tutto il mondo e – come avvenuto due anni fa – sta facendo discutere perché finora non è mai stato dimostrato scientificamente, e in modo incontrovertibile, che le onde radio emesse dai cellulari possano causare tumori. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità nell’estate del 2019 ha pubblicato un nuovo rapporto nel quale dice che: “In base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali”.
L’annuncio della decisione in Appello è stato comunicato dagli avvocati Renato Ambrosio e Stefano Bertone, che per lo studio legale torinese Ambrosio e Commodo seguono da tempo la vicenda di Roberto Romeo, un ex dipendente di Telecom Italia che lavorava come responsabile di una squadra di tecnici, incaricata di riparare i guasti sulla rete telefonica. Nel 2017 aveva spiegato che durante i turni di lavoro faceva un uso continuo del cellulare per coordinare il suo gruppo di lavoro, restando tra le 4 e le 5 ore al telefono ogni giorno, per circa 15 anni.
Romeo aveva raccontato di essersi accorto di avere qualche problema all’udito, trattato poi con terapie che si erano rivelate inutili, fino a quando gli era stato diagnosticato un neurinoma, un tumore benigno del nervo acustico, uno dei più frequenti tra quelli intracranici e le cui cause sono ancora sconosciute. Romeo era stato operato per rimuovere il neurinoma, con conseguente perdita dell’udito da un orecchio.
Dopo l’intervento, Romeo aveva fatto causa all’INAIL, che non gli aveva riconosciuto una malattia professionale. Una perizia e un accertamento tecnico, deciso dal tribunale, avevano poi portato al processo in primo grado, con l’intervento di 15 testimoni per confermare le condizioni lavorative di Romeo. Sulla base delle testimonianze e delle perizie, il tribunale del lavoro di Ivrea aveva infine stabilito che il neurinoma fosse stato causato da un “uso prolungato” del cellulare, riconoscendo a Romeo un’invalidità del 23 per cento, determinando quindi l’erogazione di una pensione INAIL aggiuntiva di circa 6mila euro l’anno.
L’INAIL era ricorsa in Appello e ora, con la decisione dei giudici di Torino, la sentenza è stata confermata. Secondo gli avvocati di Romeo, nella sentenza si parla di “una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici ‘più probabile che non’”. Una “legge di copertura” è una legge di spiegazione causale dei fenomeni naturali: gli avvocati spiegano che la Corte di Appello ha ritenuto che quindi sia “più probabile che non” che il tumore di Romeo sia stato causato dall’uso del cellulare. La decisione va però contro la letteratura scientifica prodotta in decenni di studi sui cellulari e le radiofrequenze, e per questo sta facendo molto discutere.
A oggi non ci sono prove scientifiche per dire con certezza che l’uso dei cellulari causi il cancro. I telefonini sono usati da miliardi di persone in ogni parte del mondo da decenni, ma non sono stati rilevati aumenti anomali di particolari forme di tumore. Considerata la diffusione dei cellulari, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tiene comunque sotto controllo i potenziali effetti dei cellulari sulla popolazione, con iniziative e programmi per la valutazione del rischio.
Le attività di controllo sono svolte in primo luogo dall’International Agency of Research on Cancer (IARC) dell’OMS, che nel 2011 ha inserito i cellulari nel Gruppo 2B, nel quale sono elencati prodotti e sostanze definiti “possibilmente cancerogeni per gli esseri umani”. Nel complesso la IARC mantiene e aggiorna quattro categorie, nelle quali sono inserite le sostanze a seconda del loro livello di rischio.
La presenza di una sostanza negli elenchi della IARC non implica che questa faccia contrarre sicuramente il cancro, ma segnala il livello di rischio, cioè la probabilità che si verifichi un evento dannoso. Si parla di rischio assoluto quando viene indicata la possibilità che qualcosa succeda in un certo periodo di tempo, come la probabilità teorica per ogni persona di avere una diagnosi di cancro nel corso della vita, quindi in un intervallo di tempo che di solito è tra gli 0 e gli 84 anni. C’è poi il rischio relativo, che indica invece la probabilità di ammalarsi per chi ha già fattori di rischio, come predisposizioni genetiche. Le misure di questo tipo sono ipotetiche e servono soprattutto per rendere comprensibile la rilevazione di certi tipi di tumore su altri, e il loro rapporto con predisposizioni e abitudini.
Per verificare se le onde radio emesse dai cellulari possano essere nocive, negli anni sono stati eseguiti centinaia di esperimenti e di ricerche scientifiche, su animali ed esseri umani. Nella maggior parte dei casi questi studi non hanno trovato un nesso causale tra l’esposizione ai telefonini e particolari malattie, come i tumori. Ad agosto del 2019 l’Istituto Superiore di Sanità ha concluso che: “La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva incrementi dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (più di dieci anni) dei telefoni mobili”.