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  • Lunedì 13 gennaio 2020

L’uomo più controverso della politica britannica

Chi è Dominic Cummings, stratega di Boris Johnson e dei pro-Brexit, che vuole trasformare l'apparato amministrativo britannico assumendo persone «bizzarre»

(Stefan Rousseau/PA Wire)
(Stefan Rousseau/PA Wire)

Quasi due settimane fa, il giorno dopo Capodanno, il principale consigliere politico del primo ministro britannico Boris Johnson ha pubblicato un annuncio di lavoro piuttosto inusuale. Lungo una quarantina di paragrafi e pieno di divagazioni, l’annuncio spiegava che il governo stava cercando personale e soprattutto «gente bizzarra, artisti, persone che non sono mai andate all’università e hanno lottato per venire fuori da un postaccio», oltre che «matematici, fisici, informatici, analisti dei dati» che «ragionino fuori dagli schemi». Le nuove assunzioni, come si legge nei primi paragrafi dell’annuncio, serviranno a trasformare radicalmente l’apparato burocratico britannico, pieno di «profondi problemi».

Dell’annuncio si è parlato parecchio, ma senza particolare stupore. Il tono e le proposte rientravano perfettamente nella retorica di Dominic Cummings, l’autore del post e il principale consigliere di Boris Johnson, definito «una delle persone più controverse e affascinanti della politica britannica», oltre che «probabilmente l’uomo più importante nel Regno Unito, al momento».

Cummings ha 48 anni e negli ultimi anni è diventato il consulente politico più famoso del paese: ha diretto il comitato elettorale che ha promosso l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea al referendum su Brexit del 2016, e oggi è uno dei collaboratori più influenti e ascoltati di Boris Johnson. Ma la sua notorietà si deve anche ad alcuni tratti che lo rendono più simile al personaggio di un romanzo che a un grigio funzionario politico.

Oltre ad avere una retorica originale ed elaborata, come quella dimostrata nell’annuncio, Cummings è noto per vestirsi in maniera molto più informale di quanto richiederebbero i contesti a cui partecipa – le sue foto in completo e cravatta sono praticamente inesistenti, e a ottobre si è presentato all’assemblea del partito Conservatore indossando una tuta – e per uno stile carismatico ma autoritario, tanto che l’ex vice primo ministro Nick Clegg lo ha accusato di avere «problemi di gestione della rabbia».

Dopo essere stato raccontato in innumerevoli articoli di giornali e riviste come uno dei principali responsabili per la vittoria al referendum su Brexit, l’anno scorso il personaggio di Cummings è stato anche il protagonista di un film televisivo su Brexit prodotto da HBO. Nell’occasione Cummings è stato interpretato da Benedict Cumberbatch, forse l’attore britannico più famoso degli ultimi anni.

Nel ristretto mondo della politica britannica, però, Cummings è famoso anche per il suo istinto politico. Figlio di una famiglia piuttosto benestante, dopo avere studiato storia a Oxford si è avvicinato agli ambienti conservatori, lavorando prima per un comitato contrario all’ingresso del Regno Unito nell’euro, poi con Iain Duncan Smith e Michael Gove, due importanti leader di partito (con una pausa di due anni e mezzo passata «in un bunker che lui e suo padre si erano costruiti nella sua fattoria a Durham, a leggere libri di scienza e di storia», come scriveva tempo fa il magazine Conservative Home).

Nel 2015 ricevette l’incarico più importante e delicato della sua carriera, fino a quel momento: dirigere il comitato elettorale che avrebbe dovuto convincere i britannici a votare per uscire dall’Unione Europea. Cummings ebbe diverse intuizioni che sono state considerate decisive per la vittoria al referendum. Fra quelle più citate c’è un uso sapiente dei social network, soprattutto di Facebook: Cummings si è vantato di avere speso il 98 per cento del budget a sua disposizione per campagne pubblicitarie online, con cui ha potuto promuovere alcuni contenuti per un pubblico molto specifico, per esempio gli elettori del Partito Laburista nelle aree più colpite dalla globalizzazione oppure quelli estremamente diffidenti verso il primo ministro di allora, David Cameron (che fece campagna per far rimanere il Regno Unito nell’UE).

Già durante la campagna elettorale, per esempio, il Financial Times notò che il comitato elettorale per uscire dall’Unione Europea pubblicizzava su Facebook video ritagliati ad arte da interventi televisivi, spesso presi fuori contesto. Uno di questi era tratto da un comizio tenuto da Cameron negli studi televisivi di ITV, in cui un membro del pubblico gli aveva chiesto conto delle sue posizioni sull’immigrazione, uno dei temi su cui insistevano molto i sostenitori dell’uscita del Regno Unito dall’UE. Per tutto il dibattito Cameron «sembrò cavarsela piuttosto bene», scrive il Financial Times, ma il video del comitato elettorale conteneva soltanto la domanda, mentre la risposta di Cameron era stata tagliata. Il video si intitolata «Il momento più importante del dibattito su ITV» e ricevette 1,4 milioni di visualizzazioni su Facebook.

Ma soprattutto, a Cummings viene attribuita l’invenzione di alcuni popolari slogan della campagna fra cui l’espressione take back control, «riprendere il controllo». L’idea di Cummings era spacciare l’uscita dall’Unione Europea come il mezzo per liberare il popolo britannico dall’influenza europea sulle leggi, l’economia e i confini del paese.  L’idea di Cummings, in sintesi, fu fare leva sulla nostalgia dell’elettorato adulto e anziano per il Regno Unito «di una volta», e su un nazionalismo anti-europeo che in quel momento attirava moltissimi consensi (il referendum fu indetto sull’onda della vittoria delle elezioni europee del 2014 da parte del Partito Indipendentista britannico di Nigel Farage).

Di recente una editorialista del Times di Londra, Jenni Russell, ha ricordato che in quei mesi partecipò a una cena in cui Cummings presentò gli argomenti del suo comitato: «fu enfatico, evocativo. Parlò di orgoglio, indipendenza, importanza dello stato nazionale, sovranità, dignità, autonomia nelle leggi e nelle decisioni. […] Detestavo Brexit e tutto quello che rappresentava, ma rimasi affascinata. Cummings l’aveva fatta sembrare come la scelta più nobile da prendere».

Cummings non fece colpo soltanto su Russell. La retorica che prometteva di «riprendere il controllo» finì per essere usata spessissimo durante la campagna elettorale e anche nei mesi successivi da parte della prima ministra Theresa May, nonché dallo stesso Boris Johnson.

A causa degli impegni di governo, Cummings non è stato coinvolto più di tanto nella campagna elettorale delle recenti elezioni politiche, stravinte dai Conservatori, ma già alcuni mesi fa usava pubblicamente quello che sarebbe diventato lo slogan del partito: get Brexit done, «portiamo a casa Brexit».

Cummings ha sempre rivendicato di non appartenere a nessun partito politico in particolare, e a volte i giornali hanno descritto il suo orientamento politico come «anarchico». In realtà le sue battaglie e la sua retorica sono sempre rimaste nell’ambito della destra, a volte anche di quella radicale.

La promessa di riprendere il controllo dei confini e la nostalgia per una presunta epoca d’oro del Regno Unito – un messaggio in codice per rimpiangere un’epoca in cui i bianchi erano la stragrande maggioranza – ricorda molto da vicino la retorica dei partiti continentali di estrema destra, come il Rassemblement National di Marine Le Pen o la Lega di Matteo Salvini. E così come Salvini e Le Pen sono noti per le forzature con cui riempiono i loro comizi, anche Cummings ha fatto un ampio uso di bugie e scorrettezze durante la campagna elettorale su Brexit.

La più famosa di tutte è forse la promessa di reinvestire i soldi che il Regno Unito versava all’Unione Europea – circa 17 miliardi di euro all’anno, in media 350 milioni alla settimana – nel sistema sanitario britannico, uno dei temi più cari all’elettorato; una promessa falsa per molte ragioni, sia perché la cifra è molto più bassa (si parla di 250 milioni a settimana) sia perché il governo britannico dopo Brexit dovrà probabilmente usare quei soldi per sostituire i fondi che attualmente arrivano dall’Unione, per esempio i sussidi all’agricoltura. Mesi dopo la vittoria del referendum, Cummings ha ammesso che la promessa dei 350 milioni «è stata la tesi più efficace» della campagna elettorale. Ancora alla fine del 2018, secondo un sondaggio, il 42 per cento dei britannici credeva che la promessa potesse davvero essere rispettata.

Ma Cummings parla spesso con disprezzo e sarcasmo anche dell’apparato burocratico-amministrativo e dei politici di professione: un tratto comune ai movimenti populisti in tutto il mondo, che li ritengono eccessivamente autonomi dai politici eletti – quindi scelti dal popolo – depositari di un potere che non è sufficientemente legittimato, a loro dire.

La sua recente proposta di assumere moltissimi nuovi dipendenti e rivoluzionare il funzionamento del governo britannico va proprio in quella direzione. L’Economist ha scritto che nei piani del governo (e quindi di Cummings) ci sono l’accorpamento e l’abolizione di vari ministeri e una generale riorganizzazione delle competenze, in modo da aumentare il controllo che i ministri – eletti politicamente – potranno esercitare sui propri tecnici, che storicamente sono sempre stati piuttosto autonomi. «Se Cummings ci riuscirà, questi cambiamenti saranno solo l’inizio», ipotizza l’Economist.