Quanti animali sono morti negli incendi in Australia?
La stima di un miliardo, riportata da molti media, è considerata azzardata da diversi esperti: ma non vuol dire che le cose stiano necessariamente meglio
Da settimane gli enormi incendi in Australia stanno devastando ettari ed ettari di foresta, in uno degli eventi ambientali più impressionanti e distruttivi degli ultimi tempi. Tra le foto e i racconti di queste settimane, una delle questioni che ha attirato più attenzioni e preoccupazioni è l’effetto degli incendi sulla fauna australiana, una delle più ricche e uniche al mondo, per via della varietà degli ecosistemi del continente e per il suo isolamento dal resto delle terre emerse del pianeta. Tra le cifre più impressionanti che sono circolate c’è quella che ipotizza che siano morti finora un miliardo di animali: il New York Times ha messo un po’ di ordine sull’attendibilità di questa e altre stime.
A tirare fuori il numero di un miliardo di animali morti è stato Christopher Dickman, docente di ecologia all’Università di Sydney, che la settimana scorsa in un articolo pubblicato sul sito della sua facoltà ha rivisto al rialzo una stima precedente. Per arrivare a questa cifra, Dickman ha fatto affidamento su un documento compilato nel 2007 dal WWF sugli effetti del disboscamento sulla fauna australiana. Quel rapporto calcolava il numero di animali uccisi stimando la densità di mammiferi, uccelli e rettili nel New South Wales, la regione meridionale dove si trova Sydney, e moltiplicando questo numero per la superficie di vegetazione distrutta.
Dickman ha usato gli stessi numeri sulla base degli ettari di foreste distrutte dagli incendi, limitandosi a considerare il solo New South Wales. C’è da tenere presente poi che le stime sulla densità della fauna del rapporto del WWF erano conservative, secondo gli autori.
C’è stato però chi ha contestato questa stima: Colin Beale, docente di ecologia all’Università di York, ha spiegato a BBC che inserire nel calcolo gli uccelli non ha molto senso, visto che per la sua esperienza – basata su ricerche in Africa – pochi muoiono a causa degli incendi, visto che possono scappare volando. Corey Bradshaw, anche lui docente di ecologia ma all’Università di Adelaide, ha detto che sarebbe più prudente fare stime basate su prove più concrete: «non dico che il numero sia sbagliato, ma che è impossibile da stimare. I media e il pubblico sono affamati di numeri, che hanno molta risonanza, ma la realtà è che non lo sa nessuno». Bradshaw ha spiegato che la capacità della natura di resistere alle devastazioni causate dagli incendi è spesso impressionante: «siamo costantemente sorpresi da come la natura si riprenda in fretta dopo un incendio e da quanti animali sopravvivano».
Il fatto che la stima del miliardo di animali uccisi sia ancora impossibile da verificare non cambia ovviamente la sostanza delle valutazioni sulla gravità degli incendi, che secondo tutti gli esperti sono favoriti e amplificati dagli effetti dell’emergenza climatica: il riscaldamento globale ha tra i suoi molti effetti l’aumento delle temperature in Australia, che favoriscono lo sviluppo e la diffusione degli incendi.
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Un altro dato che è circolato è quello che riguarda i koala, i marsupiali che sono uno dei simboli dell’Australia e che sono stati tra le vittime più raccontate degli incendi, tra le altre cose per via dei video che li mostrano assetati e sofferenti mentre ricevono assistenza da qualche persona di passaggio. In molti hanno riportato che potrebbero essere morti 25mila koala: la stima arriva da Sam Mitchell, che gestisce il Kangaroo Island Wildlife Park, un parco zoologico su un’isola di fronte ad Adelaide. La cifra però si riferisce soltanto a quelli morti sull’isola, molto colpita dagli incendi, e arriva da un’intervista al Guardian in cui Mitchell ha ipotizzato che possa essere morta metà della popolazione locale di koala, che è molto abbondante e ammonta appunto a circa 50mila esemplari.
Sapere quanti siano morti nel resto dell’Australia è complicato, perché in realtà non sappiamo esattamente quanti koala ci siano. Quello che sappiamo, però, è che è certamente prematuro sostenere che siano «funzionalmente estinti» a causa delle perdite nella popolazione e dei danni al loro ecosistema, come ha sostenuto qualche media nelle scorse settimane. Diversi esperti hanno sottolineato che proclami di questo tipo possono fare più danni che altro agli sforzi per proteggere la specie, che pure subirà un colpo durissimo dagli incendi e che è già minacciata dall’uomo in molti modi diversi: i koala non rischiano per ora l’estinzione, ma il loro numero sta calando da tempo.
Le stime che circolano in questi giorni, poi, non tengono in considerazione gli insetti, animali i cui ordini di grandezza sono imparagonabili a quelli dei mammiferi ma che sono comunque fondamentali per gli ecosistemi e che potrebbero subire danni gravissimi dagli incendi. Kate Umbers, biologa della Western Sydney University, ha detto al New York Times di essere molto preoccupata per le 250mila specie di insetti presenti in Australia, di cui peraltro soltanto un terzo è stato finora classificato.
Un altro dato estesamente riportato dai giornali è stato quello che riguarda circa 10mila dromedari selvatici che potrebbero essere abbattuti dalle autorità australiane. Sono animali che hanno una storia piuttosto sorprendente: furono importati nell’Ottocento dagli inglesi, si adattarono bene ai climi desertici di parte dell’Australia e oggi sono così tanti da rappresentare un problema per gli uomini. Si stima ce ne siano un milione, e in certe zone sono un problema per l’ambiente e per l’uomo, come capita spesso con le specie non autoctone: allontanano le altre specie animali, distruggono il loro habitat, danneggiano le proprietà dell’uomo e sono talvolta aggressivi.
In questi giorni i dromedari selvatici hanno fatto parecchi danni in certe comunità australiane, danneggiando case e infrastrutture nella loro disperata ricerca di acqua che cercano di bere, per esempio, dai condizionatori. Il piano delle autorità di ucciderne 10mila, di per sé, non è fuori dall’ordinario: nel 2010, il governo australiano aveva annunciato un piano per abbatterne quasi 700mila nel giro di quattro anni.
Apparently wombats in fire effected areas are not only allowing other animals to take shelter in their deep, fire-resistant burrows but are actively herding fleeing animals into them.
We’re seeing more leadership and empathy from these guys than the entire Federal government. pic.twitter.com/LGcpSu9x0M
— Riff Raff (@RichardAOB) January 11, 2020
Sempre negli scorsi giorni, su Twitter è circolata moltissimo una notizia secondo la quale i vombati, marsupiali australiani simili a grosse marmotte – quello nella foto però è Patrick, il più grosso mai vissuto: normalmente sono più piccoli – solitamente molto ostili agli intrusi, avrebbero “aperto” le loro tane sotterranee agli altri animali per offrire rifugio dagli incendi, e che in certi casi li avrebbero addirittura guidati alla salvezza.
La notizia, sorprendente, ha generato interesse e anche un po’ di scetticismo. Su Twitter alcuni etologi si sono espressi: David Hamilton, ecologo che in Australia studia il comportamento dei diavoli della Tasmania, ha detto di dubitare che le cose stiano esattamente come vengono raccontate. Visto che le tane dei vombati sono molto grandi, altri animali potrebbero benissimo averne approfittato, ha detto, ma l’ipotesi che abbiano guidato alla salvezza altri animali è quasi certamente falsa. Jack Ashby, esperto di mammiferi australiani e capo del museo zoologico dell’Università di Cambridge, ha concordato con Hamilton: «i vombati sono ovviamente meravigliosi e importanti per l’ambiente, ma è una forzatura pensare che abbiano deliberatamente “aiutato”».