Ci si può fidare dei test per l’analisi del DNA che si comprano su internet?
Sono quelli che sostengono di poter dare informazioni sui propri antenati analizzando un po' di saliva: la risposta breve è no
di Ludovica Lugli
Nel 2016 sui social network girò molto un video pubblicitario di un motore di ricerca viaggi danese, Momondo, in cui alcune persone scoprivano di avere antenati di parti diverse del mondo dopo aver fatto un test del DNA, uno di quelli in cui si sputa in una provetta.
Il video, che era legato a un concorso, è stato visto più di 18 milioni di volte. Trasmette l’idea che il nostro DNA, conservando traccia di quello dei parenti più lontani nel tempo, possa dimostrarci che siamo tutti “cittadini del mondo”, come si dice, e cugini, per quanto alla lontana, di tante persone di nazionalità diverse. Il problema è che le analisi del DNA in cui si sputa in una provetta non possono davvero dirci «i gruppi etnici e le regioni geografiche» da cui proviene la nostra famiglia, come sostengono invece le aziende che li vendono.
Negli Stati Uniti, dove quasi tutti nella propria famiglia hanno complicate storie di contaminazioni e migrazioni, volontarie o imposte, ci sono molte aziende che vendono test del genere e hanno decine di milioni di clienti: le più note sono Ancestry e 23andMe.
Si stima che all’inizio del 2019, 26 milioni di persone avessero già dato un campione del proprio DNA ad almeno una tra Ancestry, 23andMe, MyHeritage e Gene by Gene, le principali aziende americane del settore. Alcune di loro vendono i propri test anche in Europa e in Italia, dove MyHeritage si è fatta pubblicità con il calciatore Gianluca Zambrotta, campione del mondo nel 2006, e vende i suoi kit per analisi anche su Amazon (erano in promozione durante l’ultimo Black Friday), come fanno le spagnole 24 Genetics e TellmeGen.
In passato anche la National Geographic Society ha fatto parte di un progetto che si occupava di test di questo genere.
In Italia la diffusione di queste analisi del DNA è molto più contenuta rispetto agli Stati Uniti, anche se non sono disponibili dati precisi. Nel 2018 My Heritage aveva detto all’agenzia di stampa Adnkronos di avere 1,4 milioni di utenti italiani registrati sul proprio sito, ma è probabile che gran parte di loro usassero il sito solo per costruire il proprio albero genealogico e non per ottenere informazioni dal DNA.
Qualcuno che si è incuriosito all’idea di scoprire le proprie origini però c’è anche da noi, per questo è comunque importante sapere bene cosa sono in grado di dire i test di queste aziende (e cosa no) e farsi un’idea di cosa significhi fornire i propri dati genetici a una società, in termini di privacy.
Come funzionano e cosa dicono i test
La genetica è una branca della biologia piuttosto difficile da capire, se si vuole andare oltre la conoscenza che deriva dall’aver visto qualche puntata di CSI.
La prima cosa da sapere, ben spiegata in un video di Vox, è che le aziende come MyHeritage non sequenziano (leggono) completamente il genoma dei loro clienti, ma solo una sua piccolissima parte. Sequenziare il genoma di una persona, cioè tutto il suo DNA, costa circa un migliaio di euro, dunque più dei 70 euro di un’analisi di MyHeritage.
Inoltre è utile solo fino a un certo punto, dato che il DNA di due diversi esseri umani qualsiasi è identico per più del 99 per cento. Ciò che questi test guardano sono alcuni specifici polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), cioè dei punti in cui un gene di un gruppo di persone si distingue dal gene corrispondente di tutte le altre persone per una sola base azotata, cioè per uno solo di quei mattoncini – indicati con le lettere A, C, G e T – che formano il DNA.
Ogni persona ha un certo numero di SNP e statisticamente ne condivide gran parte con la maggior parte delle persone che, in tempi recenti (non migliaia di anni fa), hanno vissuto nel suo territorio d’origine. Le aziende come MyHeritage, raccogliendo campioni di DNA da molte persone, hanno un proprio database relativo alla distribuzione mondiale di diverse combinazioni di SNP. Quello che fanno è dire a chi ha fatto un loro test quale percentuale dei propri SNP hanno in comune con diverse popolazioni del mondo, a seconda di quanti dati hanno nel loro database su quelle popolazioni.
Il problema è che avere il 5 per cento di combinazioni di SNP in comune con la popolazione della Germania, come viene detto a un uomo inglese nello spot di Momondo, non significa che il 5 per cento dei propri antenati sia tedesco: significa che gli SNP del proprio DNA sono per il 5 per cento uguali a quelli che contraddistinguono, in media, i tedeschi nel database dell’azienda con cui si è fatto il test. Se dunque pochissimi nordafricani hanno fatto analisi del DNA con quell’azienda, è improbabile che i dati sui nordafricani siano affidabili e facendo il test con un’altra azienda, con un proprio database, si potrebbe ottenere un risultato diverso. In particolare sono poco affidabili le percentuali più basse che compaiono nei profili genetici ottenuti con queste analisi.
Negli Stati Uniti alcuni giornalisti lo hanno dimostrato, confrontando i risultati dei test di diverse aziende. Il caso forse più emblematico è quello della conduttrice televisiva canadese Charlsie Agro e sua sorella Carly, che sono gemelle monozigote e dunque hanno il DNA pressoché identico, ma nonostante questo hanno ottenuto risultati un po’ diversi.
Dalle informazioni ricevute dai propri genitori, Charlsie e Carly Agro sanno di essere di origine siciliana, polacca e ucraina. Secondo i test che fecero con 23andMe, Charlsie è per il 38 per cento di origine italiana, per il 28 per cento est europea e per il 15 per cento balcanica; per Carly le percentuali variano un po’ e sono rispettivamente 37, 25 e 14 per cento. Charlsie poi avrebbe un 2,6 per cento di origini franco-tedesche non condivise con la sorella.
Secondo le analisi di AncestryDNA, le gemelle sarebbero per il 39 e il 38 per cento di origine est europea o russa, e per il 27 e il 29 per cento italiana. Per MyHeritage, sia Charlsie che Carly sono per il 61 per cento di origine balcanica, e greca per il 19 e il 20 per cento rispettivamente: italiana in modo trascurabile. Per FamilyTreeDNA infine le due avrebbero il 13-14 per cento di origine mediorientale, non rilevata da nessuna delle altre aziende.
Anche nel caso in cui l’azienda avesse analizzato un enorme numero di DNA di persone nordafricane, per esempio, avere un SNP in comune con la media dei loro DNA non significherebbe per forza avere un qualche antenato nordafricano. Per due ragioni: la prima è che gli stessi SNP si trovano, con grande frequenza, in più di una popolazione del mondo, per dire, negli italiani, nei greci e nei messicani, e averne uno potrebbe voler dire averlo ottenuto da un antenato italiano, greco o messicano, o anche da nessuno di questi.
Per questo secondo i genetisti, come Edoardo Boncinelli, «l’approssimazione di questi test è la stessa degli oroscopi: una volta ogni dieci magari ci azzecca», sebbene solitamente le percentuali maggiori – che però di fatto dicono cose che già si sanno – sono verosimili.
Inoltre il confronto non avviene con gli SNP che una certa popolazione aveva uno, due o tre secoli fa, quando vivevano gli antenati su cui non abbiamo informazioni, ma su quelli di oggi: dunque i test non ci dicono dove vivevano i nostri antenati, ma solo dove vivono oggi le persone con cui abbiamo un DNA più simile, tra cui molti nostri parenti, ma viventi. Insomma, hanno «ben poco significato scientifico», come spiegato dal genetista Adam Rutherford sulle Scienze. Infine secondo altre opinioni critiche, invece di trasmettere l’idea che siamo tutti cittadini del mondo, come gli spot dei test suggeriscono, potrebbero far pensare che si possano definire diversi gruppi umani sulla base del DNA, quando non è così: le “razze” all’interno della specie Homo Sapiens non esistono.
La questione della privacy
Quella dell’affidabilità non è l’unica questione problematica riguardo alle analisi del DNA che si comprano su internet: c’è anche quella della privacy, o meglio di cosa significa fare avere il proprio DNA – e di conseguenza anche quello dei propri familiari più stretti – a un’azienda privata.
Negli Stati Uniti 23andMe e le altre aziende che vendono test del DNA da fare a casa vendono i dati genetici dei propri clienti, in forma anonima e aggregata, a case farmaceutiche che fanno ricerca sulle malattie che hanno o potrebbero avere cause genetiche.
Secondo alcune fonti dei giornali, Genentech avrebbe pagato 10 milioni di dollari a 23andMe per i dati genetici di persone con la malattia di Parkinson nel suo database, mentre GlaxoSmithKline avrebbe pagato 300 milioni di dollari per avere accesso generale al database complessivo. Ai clienti di 23andMe viene chiesto se sono favorevoli a questo uso dei propri dati e secondo quanto detto dall’azienda a BBC per un articolo della scorsa estate, l’80 per cento di loro acconsente. In qualsiasi momento possono revocare il consenso, ma non è chiaro come i dati possano essere cancellati dopo essere stati diffusi in forma aggregata. Non è chiaro nemmeno cosa possa succedere nel caso in cui l’azienda fallisca e il database sia venduto a terzi.
Dal 2018 però si parla molto di privacy relativamente ai dati genetici per via dell’uso che se ne sta facendo in alcune indagini della polizia. Il caso più noto è quello del cosiddetto “killer del Golden State”, che per circa quarant’anni è stato uno dei più famigerati casi irrisolti degli Stati Uniti: due anni fa l’uomo responsabile di almeno 12 omicidi e circa 50 stupri commessi tra il 1974 e il 1986 è stato arrestato perché il profilo genetico di due suoi lontani parenti (ottenuti attraverso un servizio come quello di 23andMe) era stato caricato su un database liberamente consultabile per la realizzazione di alberi genealogici.
In questo caso l’azienda o le aziende che si erano occupate del test non hanno avuto alcun ruolo nell’indagine, ma il fatto che abbiano reso molto accessibili e diffusi i test del DNA – peraltro molto più approfonditi di quelli su cui è basato il database di profili genetici dell’FBI – è una delle ragioni per cui ora negli Stati Uniti si rischia che il DNA smetta di essere anonimo.
Come spiega un video di The Verge infatti, molte persone che non hanno mai fatto analizzare il proprio DNA possono essere identificate grazie a quello dei propri lontani parenti grazie agli archivi di genealogia genetica. E secondo uno studio recente basterebbe che il 2 per cento di una popolazione con antenati comuni condividesse il proprio profilo genetico perché tutti i membri della popolazione diventino identificabili.
Leggi anche: La genealogia genetica sta cambiando le indagini sugli omicidi negli Stati Uniti
Questo fenomeno ha reso possibile identificare un serial killer, ma potrebbe anche portare a falsi positivi nel corso di altre indagini criminali, inoltre un’ulteriore diffusione dei database genetici potrebbe creare altri problemi: se ad esempio le assicurazioni sanitarie, necessarie negli Stati Uniti per avere accesso alle cure mediche, potessero consultare i profili genetici dei loro assicurati, potrebbero proporre polizze più costose a chi ha una predisposizione genetica a una malattia grave.
Gli esperti di privacy e tecnologia più preoccupati a proposito dei dati genetici pensano inoltre che in futuro potrebbero essere usati in altri modi che oggi non possiamo prevedere, ma nel tempo non ci piaceranno: impedire che siano diffusi è il modo più semplice per evitarlo.
La situazione nei paesi dell’Unione Europea tuttavia è diversa da quella degli Stati Uniti, principalmente perché le leggi europee sui dati personali, compresi quelli genetici, sono più rigide: nell’Unione Europea è riconosciuto il diritto alla protezione dei dati personali (lo stabilisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, o Carta di Nizza, del 2000), mentre negli Stati Uniti no.
Secondo l’articolo 9 del GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati, i dati genetici sono una delle categorie particolari di dati personali che è vietato trattare, anche se ci sono alcune eccezioni. Infatti esistono moltissime restrizioni tecniche per creare una banca dati di dati genetici: la stessa Banca Dati Nazionale del DNA delle forze di polizia italiane (che esiste dal febbraio del 2017 ed è ancora molto limitata) ha regole rigidissime per tutelare l’accesso ai dati.
Tra le eccezioni previste dal GDPR c’è comunque il caso in cui la persona a cui appartengono i dati genetici abbia dato «il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati personali per una o più finalità specifiche»: significa che i dati genetici possono essere trattati ma la persona a cui appartengono deve aver chiaramente acconsentito in modo chiaro a quanto previsto da questo trattamento.
L’analisi della saliva per leggere e analizzare il DNA potrebbe rientrare in questa categoria, e sul loro sito le società spagnole che offrono questo servizio dicono di rispettare il GDPR. In particolare 24Genetics sostiene di fare più di quanto richiesto dalle leggi europee per la privacy: non conserva online i dati genetici e dichiara di non vendere i dati genetici raccolti a società terze, nemmeno in forma aggregata e anonima, come fanno anche le società americane. Per questo i test genetici del suo catalogo sono un po’ più costosi – più di 100 euro, con prezzi diversi a seconda delle finalità, dato che la società offre anche «test di talento e personalità» e «test del DNA sportivo» che consiglierebbero il tipo di attività sportiva più adatta al proprio genoma – rispetto a quelli di società concorrenti.
Tuttavia se si va a leggere il documento sul consenso informato della società, si scopre che agli utenti viene chiesto se acconsentono a che 24Genetics «ceda» i dati derivati dall’analisi del DNA, in forma anonima, «per tutti gli studi, ricerche e statistiche che ritenga necessari». Anche TellmeGen, l’altra società spagnola i cui test del DNA si possono acquistare sul sito italiano di Amazon, dice la stessa cosa nel proprio documento sul consenso informato (non disponibile in italiano, peraltro) e così MyHeritage. Sia 24Genetics che TellmeGen s’impegnano a distruggere i campioni di saliva forniti dai propri clienti due mesi dopo l’analisi.
In generale se è chiaramente permesso richiedere un’analisi del proprio DNA – lo si può fare anche presso laboratori che lavorano per medici ed enti sanitari – nei paesi dell’Unione Europea la creazione di banche dati di dati sanitari (e dunque anche genetici) è molto regolata e a leggere semplicemente i documenti presenti sui siti di MyHeritage ma anche 24Genetics (che a volte non sono disponibili in italiano o comunque sembrano tradotti con un traduttore automatico) non si capisce se le due società seguano queste regole.
Emiliano Cristofaro, capo di un gruppo di ricerca sulla sicurezza informatica della University College di Londra (UCL), ha spiegato a BBC: «Le aziende come 23andMe and Ancestry DNA fanno il minimo indispensabile per rispettare il GDPR, ma non hanno sempre a cuore gli interesse dei propri clienti». Queste aziende permettono anche di chiedere l’analisi del DNA di persone minorenni: per questo e per il fatto che dando accesso al proprio DNA si dà di fatto accesso a informazioni sul DNA dei propri parenti più prossimi, anche dare il consenso informato ha alcuni limiti.
E in ogni caso vale una considerazione che fa Wirecutter, l’autorevole sito di recensioni di oggetti del New York Times, nel suo articolo comparativo sui test del DNA usati negli Stati Uniti: «Scegliere di fare un test del DNA per divertimento o curiosità avrà probabilmente conseguenze future che ancora nessuno ha considerato».
Un possibile uso improprio (e illegale) è prefigurato anche in alcuni documenti di consenso informato sui test che danno informazioni sulla salute, dato che alcune società, come 24Genetics, offrono anche quelli: un’assicurazione o un datore di lavoro potrebbero ottenere e chiedere test genetici di questo tipo per discriminare una persona. Le leggi europee vietano la discriminazione sulla base dei dati genetici, ma questa prospettiva negativa dà un’idea dei possibili rischi connessi alla condivisione del proprio DNA.
Ha senso fare i test per ragioni di salute?
In breve, non molto. Oltre ai test sull’origine geografica, le società come 24Genetics fanno altre analisi che dovrebbero dare indicazioni sulla presenza di geni che le ricerche scientifiche hanno collegato – con diversi gradi di certezza – all’insorgenza di alcune malattie, come il diabete e vari tipi di tumore, e sulla presenza di geni che indicherebbero diversi tipi di predisposizione agli effetti collaterali di un farmaco.
Come dicono le stesse società, queste informazioni vanno prese con le pinze: «non sono valide in nessun caso per uso clinico o diagnostico», spiega il sito di 24Genetics, e, per come sono fatti, i test (che come nel caso di quelli sulle origini geografiche non prevedono una lettura completa del DNA) non possono escludere che geni legati a certe malattie non si trovino nelle parti non lette. Inoltre in generale il fatto di avere un gene legato a una data patologia non significa che la si contrarrà.
Tutti i genetisti che hanno commentato l’uso di questi test sui giornali hanno espresso forti dubbi sulla loro utilità e consigliano di evitare di chiedere analisi del DNA senza consultare un esperto che sappia interpretare i dati in modo corretto. Ad esempio il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’Università Tor Vergata di Roma, aveva detto ad Adnkronos:
Un test genetico deve essere scientificamente validato, cioè avere una base scientifica e fornire informazioni reali, e deve anche essere utile. La stragrande maggioranza dei test attualmente offerti al consumatore, è scientificamente valida, ma è inutile. (…) È fondamentale che chi si sottopone a un test genetico, effettui una consulenza, pre e post-test, con un genetista, perché le informazioni genetiche bisogna saperle leggere, interpretare e gestire.
Solo in rari casi i geni sono l’unico fattore in gioco quando si sviluppa un problema di salute e i risultati dei test fatti attraverso internet possono risultare ingannevoli se consultati senza tener presente questa e altre cose. La genetica è una materia molto complessa, basata in gran parte su analisi probabilistiche e su cui molta ricerca deve ancora essere fatta: certi test possono dare l’illusione che leggendo il DNA si possa conoscere il proprio futuro, ma non è così. Anche un genetista, oggi, può dirvi poco in merito dopo aver sequenziato il vostro genoma: è probabile che i migliori consigli che possa fornirvi siano di fare attività fisica, mangiare in modo sano, non fumare e tenere la mente allenata.