La volta che furono gli Stati Uniti ad abbattere per sbaglio un aereo iraniano
Successe nel 1988, quando un incrociatore statunitense scambiò un aereo della Iran Air per un F-14 ostile: ci furono 290 morti
«Quelli che parlano del numero 52 dovrebbero ricordare anche il numero 290. #IR655. Mai minacciare la nazione iraniana». Sabato scorso il presidente iraniano Hassan Rouhani rispondeva così a un precedente tweet di Donald Trump, il quale aveva appena minacciato l’Iran di bombardare 52 importanti siti culturali iraniani – 52 come il numero degli ostaggi statunitensi durante la cosiddetta “crisi degli ostaggi” del 1979. Erano passati due giorni dall’uccisione del generale iraniano Qassem Suleimani, morto in un bombardamento statunitense a Baghdad, e i governi di Stati Uniti e Iran si stavano scambiando accuse e minacce.
Those who refer to the number 52 should also remember the number 290. #IR655
Never threaten the Iranian nation.— Hassan Rouhani (@HassanRouhani) January 6, 2020
Rouhani stava ricordando agli Stati Uniti un episodio successo più di trent’anni prima: l’ottavo più grave disastro aereo della storia, l’abbattimento per errore di un volo di linea della compagnia iraniana Iran Air da parte di un incrociatore statunitense, nel 1988, durante la cosiddetta “Tanker War”, la “guerra delle petroliere”.
Quella del volo 655 dell’Iran Air è una storia che è stata ripresa in questi giorni, perché ricorda in parte quello che è successo quattro giorni dopo il tweet di Rouhani: l’abbattimento per errore di un volo di linea ucraino da parte dell’Iran, compiuto anche questa volta in mezzo a tensioni e attacchi militari nella regione del Golfo Persico.
Nel 1988 nel Golfo Persico si stava combattendo l’ultimo pezzo della guerra tra Iran e Iraq, che era iniziata otto anni prima per questioni di confine ma soprattutto perché in Iran c’era appena stata la Rivoluzione khomeinista, che aveva destituito lo scià e portato al potere i religiosi sciiti. Gli Stati Uniti appoggiavano l’Iraq dell’allora presidente Saddam Hussein, ma soprattutto erano intervenuti con la propria Marina nel Golfo Persico, per proteggere le rotte commerciali minacciate dagli attacchi iraniani.
Tra la fine del 1987 e l’inizio del 1988 c’erano stati diversi momenti di tensione, e diversi morti.
Nel 1987 un aereo da guerra iracheno aveva scambiato la fregata statunitense USS Stark per una nave iraniana e l’aveva colpita con due missili, uccidendo 37 soldati americani. Il 14 aprile dell’anno successivo l’Iran aveva fatto esplodere delle mine sulla fregata americana Samuel B. Roberts, provocando danni notevoli. Quattro giorni dopo una nave da guerra statunitense aveva lanciato dei missili contro installazioni petrolifere dell’Iran, affondando una nave iraniana.
Il 3 luglio 1988 il volo 655 dell’Iran Air decollò dall’aeroporto iraniano di Bandar Abbas: era diretto a Dubai e a bordo c’erano 290 persone. L’aeroporto di Bandar Abbas era sia civile che militare, e secondo la Marina statunitense ospitava anche aerei da guerra F-14, che gli americani pensavano fossero equipaggiati con missili Maverick che potevano colpire le navi statunitensi in un raggio di 16 chilometri.
Quel 3 luglio la tensione nel Golfo era piuttosto alta: il giorno precedente la nave statunitense USS Halsey aveva intimato di allontanarsi a un F-14 iraniano che si era avvicinato troppo, mentre quella mattina l’incrociatore americano Vincennes era stato coinvolto in alcune operazioni militari contro navi iraniane che avevano minacciato una petroliera pakistana nel Golfo. Una di queste era ancora in corso al momento del decollo del volo 655 dell’Iran Air.
Secondo la Marina statunitense, che in seguito diede la sua versione dell’accaduto, l’aereo dell’Iran Air, un Airbus A300, fu scambiato per un F-14 ostile. L’allora capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, l’ammiraglio William Crowe, sostenne che l’aereo iraniano stava volando a una bassa altitudine e non rispondeva agli avvertimenti degli americani. Successive indagini mostrarono che l’aereo non si era allontanato dalla rotta approvata e nelle frequenze dedicate al traffico aereo si era identificato come un volo civile. Il pilota, comunque, non era stato avvisato delle schermaglie in corso, nonostante in altre occasioni la torre di controllo di Bandar Abbas avesse diffuso avvertimenti per avvertire del pericolo di scontri armati in corso.
Se l’aereo dell’Iran Air fosse stato un F-14 dotato di missili Maverick, come pensavano gli americani, l’incrociatore Vincennes avrebbe avuto solo pochi minuti prima di essere attaccato, sostenne il rapporto della Marina sull’incidente. Sette minuti dopo il decollo, il volo 655 fu abbattuto da un missile terra-aria, uccidendo tutte le 290 persone a bordo.
L’allora presidente statunitense Ronald Reagan diffuse un comunicato dicendo che gli Stati Uniti erano profondamente dispiaciuti per la perdita di vite umane, ma difese la decisione del capitano dell’incrociatore Vincennes, Will C. Rogers III, il militare che aveva dato l’ordine di lanciare il missile. La decisione di Rogers fu appoggiata anche dalla successiva indagine del dipartimento della Difesa statunitense, che incolpò l’Iran di avere permesso all’aereo dell’Iran Air di decollare in un momento attivo di conflitto.
In uno strano sviluppo mai completamente chiarito, ha scritto il New York Times, nel marzo successivo la moglie di Rogers, Sharon Lee Rogers, rischiò di rimanere ferita nell’esplosione di una bomba rudimentale nella sua auto. Inizialmente si pensò che l’episodio potesse essere un attacco terroristico, una ritorsione per quanto successo con il volo 655, ma successive indagini esclusero questa possibilità.
Il capitano Rogers fu in seguito premiato con la Legione al merito, una delle più alte decorazioni militari degli Stati Uniti, per il servizio svolto nel Golfo Persico. Nel dicembre 1988 un rapporto di un gruppo internazionale di esperti accusò la Marina statunitense di non avere applicato le procedure necessarie per garantire la sicurezza dei civili in una zona di guerra. In seguito gli Stati Uniti pagarono milioni di dollari nell’ambito di una causa che l’Iran aveva avviato di fronte al Tribunale Internazionale di Giustizia.