I negazionisti sul clima, in Australia e qui
È una rete in cui interessi economici particolari si intrecciano a quelli di personaggi, media e politici conservatori
Nelle ultime settimane, nei social network australiani è circolata molto la notizia che a rendere particolarmente gravi gli incendi che stanno devastando il paese non sarebbe il cambiamento climatico, ma una “epidemia di piromani”. Secondo Timothy Graham, esperto di analisi dei social network alla Queensland University of Technology, la diffusione di hashtag come #arsonemergency (“emergenza piromani”), non è un caso: la notizia e il relativo hashtag sono stati propagati da un numero anomalo di bot, falsi account creati apposta per aumentare le condivisioni di notizie spesso false.
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La campagna negazionista è stata rapidamente ripresa, consapevolmente o meno, anche sui media mainstream. Un recente tweet della tv Channel 7 riportava così la notizia: «La polizia lavora sull’ipotesi che i piromani siano la principale causa degli incendi di questa stagione». Il link nel tweet rimandava però a un servizio che diceva l’opposto, cioè che i piromani erano responsabili solo di una minoranza degli incendi.
Sembra che in questa campagna di disinformazione abbiano avuto un ruolo prominente i media controllati dal miliardario australiano Rupert Murdoch, sostenitore dell’attuale governo conservatore locale.
Dal canto loro, i politici conservatori australiani non hanno fatto molto per contrastare la diffusione di notizie false. Il primo ministro conservatore Scott Morrison, che ha recentemente vinto le elezioni con il sostegno delle lobby dell’industria mineraria, e i membri della sua maggioranza si sono rifiutati di rispondere a chi gli domandava dei collegamenti tra incendi e cambiamento climatico, in alcuni casi negandoli.
«C’è una traiettoria comune in questo tipo di fenomeno», ha scritto sul Guardian l’attivista e consulente australiano Ketan Joshi: «L’idea emerge nelle paludi dei gruppi social di negazionisti, arriva ai blog ai margini della rete e da quei blog nella stampa conservatrice australiana. A quel punto viene raccolta prima da partiti estremisti e poi, infine, arriva a quelli mainstream».
Questa dinamica non è un’esclusiva australiana. Da tempo gli studiosi sostengono che in tutto il mondo sviluppato esista un profondo divario politico sulla questione climatica: i progressisti sono più inclini a prendere sul serio le numerosissime prove scientifiche che indicano la responsabilità umana del cambiamento climatico e la necessità di intervenire per correggerlo, mentre i conservatori sono molto più restii e spesso arrivano a negare l’esistenza stessa del cambiamento climatico o il fatto che sia causato dalle attività umane.
Le teorie con cui si contrasta il cambiamento climatico si basano su cinque “pilastri”, come li ha definiti di recente sul sito The Conversation Mark Maslin, professore al master di Cambiamento climatico all’UCL di Londra. Il primo è semplicemente negare le basi scientifiche del cambiamento climatico: sostenere per esempio che non sia in corso alcun cambiamento, oppure che il cambiamento non sia causato dall’uomo (di fronte alla mole di prove scientifiche sull’argomento, questa linea d’attacco è caduta un po’ in disuso).
Il secondo argomento è sostenere che non sia economicamente possibile agire per contrastare lo stesso cambiamento, nonostante quasi tutte le ricerche indichino che spendendo una frazione del PIL mondiale si potrebbero ottenere grandi risultati.
Il terzo è sostenere che in realtà il riscaldamento climatico non sarebbe così male, poiché renderebbe il mondo un luogo più temperato (il 40 per cento dell’umanità vive intorno ai tropici, però, dove presto le grandi città rischiano di diventare inabitabili).
Il quarto sostiene che sia inutile attuare politiche ambientali, perché tanto molti paesi non le rispetteranno.
Il quinto argomento si basa sull’ottimismo e afferma che nel futuro saremo abbastanza ricchi e tecnologicamente sviluppati da risolvere ogni problema, senza che ci sia bisogno di agire oggi.
Questi argomenti hanno conosciuto ampia diffusione, in parte grazie ai grossi sforzi delle industrie che sarebbero più danneggiate da una politica sensibile all’ambiente, tra cui quelle del settore minerario e di buona parte di quello energetico. La compagnia petrolifera ExxonMobil, per esempio, fu particolarmente attiva negli anni Ottanta e Novanta nel finanziare studi negazionisti sul cambiamento climatico e attacchi alle organizzazioni ambientaliste.
Secondo una recente ricerca, le cinque più grandi compagnie petrolifere del mondo spendono ogni anno 200 milioni di dollari per contrastare politiche energetiche “verdi”.
C’è dell’altro: gli studiosi hanno scoperto che se una proposta politica per ridurre le emissioni inquinanti è in conflitto con le convinzioni politiche di qualcuno, per esempio perché richiede un maggior intervento dello Stato in economia e la persona in questione è scettica nei confronti delle politiche pubbliche, quella persona tenderà a negare l’esistenza stessa del problema che richiede la soluzione sgradita.
Questa divisione tra progressisti e conservatori sulle questioni climatiche è particolarmente pronunciata in Australia, Canada e Stati Uniti, dove il 77 per cento dei Democratici sostiene che valga la pena approvare leggi a difesa dell’ambiente anche se hanno un costo, contro solo il 36 per cento dei Repubblicani: un divario cresciuto di quasi 20 punti rispetto al 2006.
In Europa la distanza tra i due schieramenti non è altrettanto vasta, anche perché gli europei sono, nel loro complesso, tra i più convinti al mondo della realtà del cambiamento climatico e della necessità di agire per contrastarlo. Il governo tedesco e la Commissione Europea, entrambi sostenuti dai conservatori, hanno messo il clima tra le priorità della loro agenda: anche se secondo molti non hanno piani abbastanza ambiziosi, di certo non rientrano nella categoria dei negazionisti del cambiamento climatico.
Ma l’alleanza tra conservatori e negazionisti del clima esiste anche in Europa e riguarda soprattutto la destra radicale. L’AFD tedesca, lo UKIP britannico, VOX spagnolo e l’FPO austriaco hanno tutti rigettato gli accordi sul clima di Parigi e negano l’importanza del cambiamento climatico: su 21 partiti della destra europea esaminati in un recente studio, sette negano l’esistenza del cambiamento climatico e soltanto tre lo riconoscono e sottolineano la necessità di agire per contrastarlo.
Secondo Matthew Lockwood, studioso di politiche climatiche alla University of Sussex, il successo dei partiti della destra radicale potrebbe presto spingere i centristi verso posizioni più scettiche nei confronti del cambiamento climatico, come in parte si può già vedere nel Partito Conservatore del Regno Unito.
In Italia la situazione non è diversa. La Lega non ha una posizione precisa sul clima, ma il suo leader Matteo Salvini e i suoi parlamentari non perdono occasione di irridere il cambiamento climatico e gli attivisti che chiedono azioni per contrastarlo.
In un recente comizio a Sassuolo, in Emilia-Romagna, per esempio, Salvini ha detto: «Da quando hanno lanciato l’allarme del riscaldamento globale fa freddo, c’è la nebbia. Lo sto aspettando questo riscaldamento globale». Secondo il sito di fact-checking Pagella Politica, che ha recentemente realizzato un’inchiesta sul negazionismo climatico in Italia, le testate italiane più coinvolte nel negazionismo climatico sono proprio quelle di orientamento più conservatore – La Verità, Libero, Il Foglio e Il Giornale – che da anni concedono «ampio spazio» a quelle che il sito chiama «teorie “controcorrente” sui cambiamenti climatici».
Questa battaglia fino a oggi non ha avuto un chiaro vincitore. Il recente successo europeo dei partiti Verdi, gli scioperi del venerdì degli studenti e il successo dell’attivista svedese Greta Thunberg, quello del movimento britannico Extinction Rebellion, le promesse di intervento da parte di governi e istituzioni internazionali, mostrano come la questione climatica sia sempre più al centro del dibattito politico.
Ma più il tema viene politicizzato, più la lotta al riscaldamento climatico viene tradotta in azioni concrete da parte dei governi, più le posizioni nell’opinione pubblica si polarizzano. Oggi sempre più persone credono all’esistenza del cambiamento climatico e all’importanza di contrastarlo. Ma allo stesso tempo coloro che non ci credono diventano sempre più determinati nel bloccare le azioni concrete che potrebbero rallentarlo.