Come se la passa BuzzFeed
Un anno fa aveva avuto grosse perdite ed era stata costretta a licenziare centinaia di dipendenti: oggi va molto meglio, grazie anche alla vendita di pentole
BuzzFeed, uno dei siti di informazione e intrattenimento più famosi del mondo, esiste dal 2006: per alcuni anni era stato uno dei simboli di come l’informazione su internet potesse essere redditizia, mischiando notizie e contenuti virali; poi, nel 2018, aveva attraversato un periodo difficile, che aveva portato al licenziamento di quasi 250 persone e a perdite che si stimano essere state di oltre 50 milioni di dollari. Quella crisi era stata molto raccontata e discussa, specialmente da chi si occupa del difficile mercato dell’informazione online, perché sembrava mettere in discussione i precedenti successi di Buzzfeed e le soluzioni che aveva trovato ai problemi del settore.
Il 2019 è però andato meglio e ora che la società sembra essersi ripresa il suo fondatore e amministratore delegato Jonah Peretti ha fatto sapere di avere grandi piani anche per il 2020.
Secondo Peretti, BuzzFeed è riuscita a rimettersi in sesto perché ha diversificato molto le sue fonti di guadagno: fino a circa cinque anni fa otteneva quasi tutti i suoi ricavi dal native advertising, i contenuti editoriali sponsorizzati per cui il sito è diventato famoso. Si tratta di articoli scritti nello stile di BuzzFeed ma per conto di aziende che devono farsi pubblicità. Due anni fa il native advertising contribuiva a poco meno della metà delle entrate totali della testata e nel 2019 la quota è scesa al 30 per cento. Ora BuzzFeed guadagna soldi in modi tra loro molto diversi: tra le altre cose, ha scritto il Wall Street Journal, «ha lanciato la sua linea di utensili da cucina e si è messa a vendere bizzarri giocattoli».
Come ha scritto Peretti pochi giorni fa in un comunicato pubblicato sul sito, «BuzzFeed esiste da quando ancora non esistevano gli smartphone, i social servivano ancora a fornire aggiornamenti personali e i video online erano un’esperienza terribile per gli utenti». C’è stato un periodo, ha scritto Peretti, in cui «BuzzFeed era un sito per desktop con poco traffico sui social e nessun video». Poi prese l’onda giusta, puntando molto sulla crescita di aziende come Google e Facebook e su come BuzzFeed avrebbe potuto crescere con loro, e le cose sono cambiate.
BuzzFeed divenne il più evidente esempio di come un sito poteva scoprire e sfruttare i cosiddetti “contenuti virali” (divenne famoso per le sue liste, di ogni tipo e su ogni cosa) e nel 2011 creò anche una sezione più seriamente giornalistica, BuzzFeed News, dedicata alle notizie vere e proprie, con l’ambizioso obiettivo di avere “almeno uno scoop al giorno”. L’idea era che i contenuti virali di BuzzFeed, che producevano molte visualizzazioni e quindi più ricavi derivanti dalla pubblicità, potessero sostenere la nuova più costosa testata dedicata al giornalismo di qualità. Era un’idea nuova, che in molti provarono a copiare con diversi gradi di successo, e che sembrava una via di uscita possibile alla crisi dei ricavi dei giornali online.
Nel 2015 le entrate di BuzzFeed crebbero del 70 per cento rispetto all’anno precedente, e dal 2015 al 2016 crebbero ancora del 50 per cento. Come ricorda il Wall Street Journal, la società ottenne 200 milioni di dollari di investimenti e il suo valore stimato arrivò a essere pari a circa 1,7 miliardi di dollari. Le cose andavano così bene che si fecero anche concreti piani per una quotazione in borsa, ma già dal 2017 la crescita di BuzzFeed rallentò in modo evidente. Per la sua crescita, BuzzFeed aveva puntato molto su Facebook, ma proprio in quel periodo Facebook ebbe diversi problemi e scelse a sua volta di puntare sempre meno sulla sua sezione “Notizie”, togliendo a BuzzFeed traffico e ricavi. Farhad Manjoo scrisse sul New York Times:
Più di chiunque altro nei media, Peretti aveva scommesso sulle simbiosi con le piattaforme tecnologiche. Pensava che i giganti della tecnologia continuassero a rafforzarsi, ma per lui questa era una qualità, non un problema. Creando contenuti che si agganciavano ai loro algoritmi, aveva pensato che BuzzFeed sarebbe diventato sempre più grande – e ricco – insieme a loro.
A inizio 2019 BuzzFeed, che nel frattempo aveva rinunciato a quotarsi in borsa, annunciò il licenziamento del 15 per cento dei propri dipendenti: circa 200 persone sulle oltre 1.450 che impiegava negli Stati Uniti e in diversi altri paesi del mondo, con redazioni locali e iniziative commerciali di vario tipo. Ci furono problemi legati a questioni sindacali, che il Wall Street Journal scrive essere stati «infine risolti», con le negoziazioni di nuovi contratti che inizieranno nelle prossime settimane. In poche parole, BuzzFeed era passato dall’essere uno dei migliori esempi di come un sito d’informazione (e non solo) poteva avere successo online a essere uno dei più evidenti esempi di una crisi che aveva riguardato anche altre società nate per fare informazione (e non solo) su internet, come Vice o Vox.
Nell’ultimo anno BuzzFeed ha fatto seguire ai licenziamenti un progetto di riorganizzazione interna per ridurre le spese, ottimizzare le risorse e rivedere parte dei piani editoriali. Sembra aver funzionato: Peretti ha scritto che le nuove “linee di business” hanno fruttato, da sole e in un solo anno, 200 milioni di dollari, e che ogni area aziendale ha chiuso l’anno in attivo (fatta eccezione per BuzzFeed News, che però Peretti dice essere «sulla buona strada»). Nel complesso BuzzFeed ha chiuso il 2019 leggermente in perdita e la crescita delle entrate (che nel 2019 sono state di 320 milioni di dollari) continua a essere ridotta. Ma, come scrive il Wall Street Journal, ci sono buone ragioni per aspettarsi che BuzzFeed potrà chiudere il 2020 in attivo. Anche se ormai non è più un dato così determinante per il successo di un sito internet, secondo i dati Comscore nel mese di novembre BuzzFeed ha avuto 87 milioni di visitatori unici, il 24 per cento in più rispetto all’anno precedente.
Peretti ha spiegato e mostrato in un paio di grafici che negli ultimi anni – e in particolare nel 2019 – la società ha aumentato notevolmente i soldi che guadagna dalla vendita di prodotti e servizi, o dalle percentuali che ottiene sulle vendite di prodotti “suggeriti” sul proprio sito. Oltre a vendere certi prodotti, in particolare sfruttando il marchio Tasty (diventato famoso grazie ai video di ricette che ancora oggi circolano tantissimo su Facebook), BuzzFeed offre alle aziende quelle che si possono definire consulenze di marketing e ha investito nell’azienda di giocattoli Camp, che ha già aperto cinque punti vendita in giro per gli Stati Uniti.
Peretti ha spiegato anche che BuzzFeed intende puntare sempre più su una collaborazione diretta con le aziende con l’obiettivo di evitare che qualcuno debba leggere di qualche prodotto, servizio o destinazione di viaggio su BuzzFeed e che debba poi passare da Google per comprare quel prodotto, quel servizio o quel viaggio. «I due attori più importanti sono l’editore che ispira il consumatore ad agire e l’azienda che effettivamente vende un certo prodotto. Ora la maggior parte del profitto è catturata dal mediatore digitale che non crea però nessun tipo di valore».
Secondo quanto scritto da Peretti, BuzzFeed sta anche pensando di creare un modello di membership, che punti a creare delle comunità formate da utenti che condividono specifici interessi. «Pensiamo» ha scritto «che le persone siano disposte a pagare qualcosa per un servizio che riduca lo spam, i troll e i fastidi. Le grandi piattaforme social sono diventate dei grandi campi di battaglia e molte persone non vogliono passare il tempo a lottare per quello che interessa loro».