Il CIO ha ribadito il divieto per gli atleti di fare proteste politiche alle Olimpiadi di Tokyo
Il 9 gennaio il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha pubblicato un documento di tre pagine in cui ha presentato le linee guida che ribadiscono che tipo di proteste non sportive gli atleti potranno fare durante le Olimpiadi di Tokyo, che inizieranno il 24 luglio. Il documento vieta le proteste e i messaggi politici durante le gare, nel villaggio olimpico e alle cerimonie di premiazione, ma dice che gli atleti potranno esprimere opinioni politiche nelle interviste fatte fuori dal villaggio olimpico e sui social.
In larga parte le linee guida si limitano a ricordare una regola già esistente, la numero 50 della Carta Olimpica, che dice: «Non è consentito alcun tipo di manifestazione o di propaganda politica, religiosa o razziale nei siti, nelle sedi o in altre aree olimpiche».
L’intento, ha spiegato il CIO, «è far sì che il podio e il villaggio olimpico restino neutrali e liberi da ogni questione politica, etnica o religiosa». Il CIO ha precisato anche che considera cose diverse l’espressione di un punto di vista e la manifestazione di idee, messaggi, gesti o simboli con una connotazione politica, e ha spiegato che eventuali violazioni saranno valutate caso per caso.
Nell’agosto 2019, durante la cerimonia di premiazione del fioretto a squadre ai Giochi panamericani in Perù, lo schermidore statunitense Race Imboden si era inginocchiato mentre era sul gradino più alto del podio, in segno di protesta.
Imboden, che aveva appena vinto la medaglia d’oro, aveva spiegato di averlo fatto per protestare contro il razzismo, il maltrattamento dei migranti, la mancanza di leggi che limitino la vendita e l’uso delle armi, e contro il presidente Donald Trump, «che diffonde odio». Gwen Berry, atleta di lancio del martello, aveva invece alzato il pugno per protesta, come avevano fatto più di 50 anni prima Tommie Smith e John Carlos durante le Olimpiadi di Città del Messico, per rivendicare i diritti civili dei neri.