Le nuove e belle architetture dell’Antartide
In uno dei posti meno ospitali del mondo è cambiato il modo di progettare e costruire le basi per la ricerca scientifica
Un recente articolo del New York Times ha raccontato come negli ultimi tempi sia molto cambiato il modo in cui si progettano e costruiscono le basi di ricerca scientifica in Antartide, uno dei posti più inospitali del mondo, dove però si trovano alcuni dei progetti architettonici più interessanti.
Le primi basi in Antartide, all’inizio del Novecento, erano poco più che accampamenti di fortuna, costruiti come appoggio per le missioni di esplorazione del continente. Quella che fu costruita per una delle prime missioni a cui partecipò l’esploratore britannico Ernest Shackleton nel 1902 era di legno, isolata con strati di feltro che comunque non riuscivano a tenere fuori gli spifferi di vento gelido: erano così fredde, scrisse Shackleton, che per il primo anno di esplorazione non fu usata se non come deposito, mentre tutti quanti preferivano dormire sulla nave che li aveva portati fin lì.
Nonostante i miglioramenti dei materiali di costruzione, per quasi tutto il Novecento le basi in Antartide non smisero mai di essere considerate dei semplici strumenti di sopravvivenza e venivano progettate con un unico scopo: durare il più a lungo possibile alle estreme condizioni meteorologiche a cui erano soggette.
«Nel 1956», racconta il New York Times, «la Royal Society costruì la Stazione di ricerca Halley, ma l’edificio fu completamente sepolto dalla neve nel 1961 e fu chiuso definitivamente nel 1968. La struttura della successiva base, Halley II, fu rinforzata con l’acciaio, ma la sua vita fu anche più corta: dal 1967 al 1973. Halley III durò 11 anni, Halley IV durò 9 anni e Halley V arrivò a quasi 15 anni e la costruzione di ogni base comportò grossi costi e grandissime complessità organizzative».
Quando anche Halley V arrivò vicina alla fine della sua vita, il British Antarctic Survey –l’ente di ricerca britannico che si occupa delle missioni in Antartide – provò a cambiare approccio. Nel 2005, quando cominciò a progettare Halley VI, organizzò insieme al Royal Institute of British Architects un concorso di architettura, che fu vinto dallo studio Hugh Broughton Architects.
Per la prima volta, il progetto per una base in Antartide non fu affidato soltanto a ingegneri che si occupavano di costruire strutture molto resistenti, ma coinvolse anche architetti che provavano a rendere quei posti più confortevoli e vivibili.
«Prima», ha spiegato Hugh Broughton al New York Times, «questi progetti erano pensati solo per tenere fuori le intemperie. Agli ingegneri veniva detto “queste sono le condizioni climatiche, questa è la forza del vento e queste sono le cose che ci servono”, ma ora per questi progetti si usa l’architettura come mezzo per migliorare la vivibilità e la funzionalità».
La base Halley VI, inaugurata ufficialmente nel 2013, è considerata molto bella da vedere, offre aree molto spaziose ed accoglienti ed è stata pensata per essere più flessibile alle condizioni climatiche delle altre basi Halley: è montata su un sistema idraulico che le permette di alzarsi e abbassarsi col variare del livello della neve e può essere spostata come una sorta di slitta all’occorrenza.
La costruzione di Halley VI cambiò radicalmente il modo di progettare le basi in Antartide. Hugh Broughton è stato incaricato anche della costruzione della nuova base di ricerca spagnola Juan Carlos I, inaugurata nel 2018, mentre il progetto per la nuova base di ricerca brasiliana – la Comandante Ferraz – è stato realizzato dallo studio di architettura Estudio 41.
La nuova base, che sarà inaugurata nelle prossime settimane, ospita laboratori, alloggi e magazzini ma «potrebbe essere scambiata per un museo d’arte», ha scritto il New York Times.
Un’altra delle preoccupazioni di chi progetta basi in Antartide, oltre ad offrire spazi più confortevoli per la vita e la ricerca, è che tutti i lavori di costruzione devono iniziare e terminare nelle 12 settimane estive in cui le condizioni meteorologiche lo permettono.
In quel poco tempo è necessario fare arrivare i materiali di costruzione sul posto, assemblarli e poi portare indietro gli scarti e i container usati per la spedizione. Per provare a ridurre i costi collegati a operazioni così complesse e a rendere più facile la costruzione di una base in Antartide, lo studio di architettura tedesco bof architekten – che ha progettato la nuova base di ricerca indiana Bharati – ha progettato dei container che potessero essere usati come parte integrante della base. Non sono serviti solo a portare verso il Polo Sud i materiali da costruzione: sono stati usati anche per costruire la base stessa.
Rendere le basi più efficienti, meno costose e più durature è uno dei principali obiettivi di chi oggi le progetta. Perché una base vecchia o con molti problemi implica grossi costi di manutenzione, che di solito si traducono in tagli ai fondi per la ricerca scientifica e in meno tempo per portarla avanti.
Una delle basi di ricerca più grandi dell’Antartide è quella degli Stati Uniti a McMurdo, che è stata però costruita per successivi ampliamenti di un insediamento iniziale e che oggi è considerata obsoleta e poco utilizzabile. «Solo per prepararsi al lavoro di campo», ha spiegato al New York Times Ben Roth, uno dei responsabili per la modernizzazione di McMurdo, «gli scienziati si riuniscono in un edificio per ricevere istruzioni, raccolgono gli strumenti che occorrono in un altro e poi si spostano in un terzo edificio per prendere le moto da neve e si dirigono in un quarto posto per fare rifornimento di carburante».