Chi era Vicente Huidobro
Il poeta cileno ricordato dal doodle di Google era famoso soprattutto per aver inventato una nuova avanguardia: il creazionismo poetico
Vicente Huidobro era un poeta cileno nato il 10 gennaio del 1893 e morto nel 1948, a cui Google dedica il doodle di oggi. Huidobro è considerato fra i quattro maggiori poeti cileni di sempre insieme a Neruda, De Rokha e Mistral, fu sempre impegnato politicamente e si ritiene che sia l’ideatore del creazionismo poetico: la poesia crea immagini, rende reale quello che esiste, usa il linguaggio come in una formula magica superando la sua funzione referenziale, «inventa nuovi mondi», scrisse lui, e come una «chiave» «apre mille porte». Per questo, per Huidobro, «il poeta è un piccolo Dio». Il doodle ricorda in particolare l’avanguardia poetica a cui Huidobro diede inizio.
Vicente Huidobro nacque a Santiago del Cile in una famiglia benestante e piuttosto stimolante, per l’epoca (la madre, María Luisa Fernández Concha, era un’attivista femminista). Trascorse alcuni anni in Europa, poi studiò con i gesuiti a Santiago, si iscrisse alla facoltà di Lettere e diresse varie riviste di poesia, iniziando a pubblicare nel 1911 e a dare forma, in diverse conferenze, alla sua ars poetica.
Nella celebre lezione del 1914 all’università di Santiago, intitolata Non serviam, Huidobro disse:
«Abbiamo accettato, senza troppa riflessione, il fatto che non può esistere altra realtà che quella che ci circonda, e non abbiamo pensato che anche noi possiamo creare la realtà del nostro mondo, di un mondo che attende la sua propria fauna e la sua propria flora. Flora e fauna che solo il poeta può creare, grazie a quel dono speciale che la stessa madre Natura diede solo a lui»
Huidobro spiegò meglio la sua idea di “poesia creata” nella sua raccolta di saggi Manifesti, del 1925:
«È una poesia nella quale ogni parte che la costituisce, e tutto l’insieme, mostra un fatto nuovo, indipendente dal mondo esterno, slegato da qualunque altra realtà che non sia la propria, che prende il suo posto nel mondo come fenomeno singolo, a parte, distinto dagli altri. Questa poesia è qualcosa che non può esistere se non nella testa del poeta. E non è bella perché ricorda qualcosa, perché ricorda cose viste, a loro volta belle, né perché descriva cose belle che potremmo anche vedere. È bella in sé e non ammette termini di comparazione. E nemmeno può essere concepita fuori dal libro. Niente le somiglia del mondo esterno; rende reale quel che non esiste, cioè si fa realtà a se stessa. Crea il meraviglioso e gli dà vita propria. Crea situazioni straordinarie che non potranno mai esistere nel mondo oggettivo, per cui dovranno esistere nella poesia perché esistano da qualche parte».
E fece un esempio, diventato poi molto famoso:
«Quando scrivo: “L’uccello fa il nido nell’arcobaleno”, si presenta un fatto nuovo, qualcosa che non avevate mai visto, che mai vedrete e che tuttavia vi piacerebbe molto vedere. Il poeta deve dire quelle cose che mai si direbbero senza di lui. Le poesie create acquisiscono proporzioni cosmogoniche; ci danno in ogni momento il vero sublime, quel sublime del quale i testi ci presentano esempi tanto poco convincenti. E non si tratta del sublime eccitante e grandioso, ma di un sublime senza pretese, senza terrore, che non vuole opprimere o schiacciare il lettore: un sublime da taschino. La poesia creazionista si compone di immagini create, di situazioni create, di concetti creati; non stiracchia alcun elemento della poesia tradizionale, salvo che in essa quegli elementi sono integralmente inventati, senza preoccuparsi assolutamente della loro realtà o veridicità precedenti l’atto della realizzazione».
Nel 1916, con la moglie, partì di nuovo per l’Europa: visse a Madrid e a Parigi, dove entrò in contatto con le avanguardie artistiche e letterarie del tempo. Cominciò a pubblicare in spagnolo e in francese, tenne diversi corsi all’università e iniziò a occuparsi di scienze occulte, astrologia e alchimia.
Dopo essere stato in Italia, nel 1932 tornò in Cile dove iniziò a fare politica con il Partito Comunista cileno (il quinto figlio lo chiamerà Vladimir, in onore di Lenin), decidendo poco dopo di partire per la Spagna per partecipare alla guerra civile a fianco dei repubblicani contro i franchisti.
Quegli anni furono caratterizzati da una sua significativa militanza antifascista e dai contrasti con Pablo Neruda, tanto che alcuni intellettuali dell’epoca a un certo punto decisero di inviare ai due una lettera che li invitava a cessare i contrasti. A metà degli anni Quaranta tornò in Europa, scrivendo le sue cronache sia da Parigi che da Berlino, a fianco delle truppe alleate. Nel 1947 venne colpito da un ictus a Cartagena, città del Cile dove aveva deciso di trasferirsi con la nuova moglie. Morì il 2 gennaio del 1948.