Cosa sta facendo l’Europa sull’Iran
Poco e nulla, dicono i critici: in realtà qualcosa si sta muovendo, nonostante la posizione molto scomoda in cui si trova
Negli ultimi giorni, con l’aumento della tensione fra gli Stati Uniti e l’Iran in seguito all’uccisione del potente generale iraniano Qassem Suleimani, molti commentatori si stanno chiedendo quale sia il ruolo dei paesi europei e delle istituzioni dell’Unione Europea in questa vicenda, lasciando intendere che non si stiano impegnando a sufficienza per provare a contare qualcosa.
Stamattina Repubblica ha aperto la sua prima pagina con un’intervista al commissario europeo Paolo Gentiloni e ha scelto di attribuirgli un virgolettato molto critico – sebbene inesistente – contro la politica estera europea: «Europa svegliati». Repubblica non è stata la sola a criticare i paesi e le istituzioni europee per il proprio approccio: Politico ha accusato l’Unione Europea di essere «fuori fase» sulla questione iraniana, mentre Bloomberg scrive che i vari leader nazionali europei «si stanno agitando per capire quale ruolo possono ritagliarsi sull’Iran».
In realtà qualcosa si sta muovendo, soprattutto a livello comunitario; e va tenuto conto che il deteriorarsi della situazione in Iran ha messo i paesi europei in una posizione scomodissima, fra gli storici alleati statunitensi – che stanno conducendo una politica estera molto più aggressiva di prima, e senza consultarsi praticamente con nessuno – e un paese, l’Iran, con cui alcuni anni fa avevano stretto uno storico accordo sullo sviluppo non militare dell’energia nucleare che lo aveva di fatto avvicinato all’Europa.
Alcune settimane fa la nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva promesso che la sua sarebbe stata una «commissione geopolitica», lasciando intendere che avrebbe provato ad aumentare il peso delle istituzioni europee nelle relazioni internazionali, uno dei più noti punti deboli del progetto di integrazione europea: nonostante esistano degli organi che se ne occupano – su tutti l’Alto rappresentante agli Affari Esteri, il ministro degli Esteri dell’Unione – i paesi più ricchi e potenti sono da sempre restii ad abbandonare una propria linea nella politica estera mentre la difficoltà di trovare una posizione di compromesso fra 28 paesi indebolisce e rallenta la reazione ufficiale dell’Unione.
Negli ultimi tre giorni, per esempio, alcuni commentatori hanno rimproverato all’Unione Europea di avere reagito in ritardo all’uccisione di Suleimani e al successivo aumento della tensione. Nella sua seguita newsletter mattutina, Politico ha notato che l’operazione degli Stati Uniti è avvenuta mentre «la maggior parte delle persone [che lavorano nelle istituzioni europee] era ancora in ferie per le festività» – durante le vacanze estive e quelle invernali a Bruxelles rimangono soltanto piccoli gruppi di persone, in caso di emergenza – e che la prima dichiarazione ufficiale di von der Leyen sulla morte di Suleimani è arrivata lunedì alle 18.30, a più di tre giorni di distanza. «Interrompete le vacanze e dite qualcosa!», si è lamentato con Politico un diplomatico europeo che ha voluto rimanere anonimo.
Se è vero che von der Leyen e il suo staff sono arrivati sulla notizia con un certo ritardo, altri importanti leader delle istituzioni europee si sono mossi tempestivamente, e con qualche conseguenza concreta. Charles Michel, il presidente del Consiglio Europeo, l’organo che riunisce i capi di stato e di governo dell’UE, ha pubblicato una prima dichiarazione a poche ore dall’operazione americana che ha causato la morte di Suleimani, chiedendo a entrambe le parti di evitare una escalation delle violenze. Nei giorni scorsi si è sentito anche col segretario generale dell’ONU António Guterres e col primo ministro canadese Justin Trudeau.
The cycle of violence, provocations and retaliations which we have witnessed in #Iraq over the past weeks has to stop.
Further escalation must be avoided at all cost.
Full statement: https://t.co/olx1jLa5ba
— Charles Michel (@eucopresident) January 3, 2020
Il più attivo è comunque stato Josep Borrell, l’attuale Alto rappresentante agli Affari Esteri dell’UE (che formalmente è anche vicepresidente della Commissione Europea). Borrell ha convocato una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri per venerdì 10 gennaio, in modo da concordare una linea comune, e ha ribadito che l’Unione Europea «farà in pieno la sua parte per evitare un’escalation nella regione». Ma soprattutto, durante lo scorso weekend Borrell ha parlato al telefono con Javad Zarif, il potente ministro degli Esteri iraniano fra i principali negoziatori dell’accordo sul nucleare di cinque anni fa stretto fra Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina e Germania, e negoziato con successo anche grazie all’Unione Europea.
Secondo quanto raccontato da Borrell, Zarif ha «condannato molto chiaramente» l’uccisione di Suleimani ma lo ha «rassicurato» sul fatto che l’Iran «non vuole un’escalation delle violenze». Nell’establishment iraniano Zarif fa parte della fazione dei moderati, e da lui ci si attendono in effetti posizioni più concilianti rispetto ai leader conservatori sulle future mosse dell’Iran. Ma è significativo che abbia usato toni del genere: soprattutto alla luce della decisione del governo iraniano, annunciata nel weekend proprio da Zarif, di non voler rispettare più i limiti dell’accordo sul nucleare (decisione già anticipata da mesi e diretta conseguenza del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo, deciso da Trump nel 2018 con il parere contrario dei paesi europei).
Zarif ha fatto sapere che non rispetterà più il numero massimo di centrifughe stabilito dall’accordo – costruire le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio è un passaggio necessario per la costruzione della bomba atomica – ma al contempo ha anche annunciato che continuerà a consentire le ispezioni internazionali nei siti iraniani, e ha smentito di essere uscito dall’accordo. Di fatto, il governo iraniano ha tenuto la porta aperta per una soluzione diplomatica delle tensioni mandando un messaggio ai paesi che ancora sono rimasti fedeli all’accordo: cioè quelli europei.
«Ancora oggi l’Iran riconosce gli sforzi europei», ha detto a Euronews l’analista ed esperta di Iran Sanam Vakil, che ha definito l’annuncio dell’Iran «una reazione tutto sommato misurata e studiata per far rimanere viva la soluzione della diplomazia e molto aperta la discussione con l’Europa». In altre parole, sembra che al momento Borrell stia riuscendo nel complicato compito di mantenere un canale di comunicazione e un rapporto di fiducia fra l’Iran e Unione Europea, una premessa fondamentale per diminuire la tensione nel breve o nel medio termine.
Anche i governi nazionali si stanno muovendo con una cautela simile a quella dell’Unione Europea, dato che le pressioni sono simili e forse anche superiori. Il Regno Unito, per esempio, deve affrontare una ulteriore complicazione dovuta a Brexit: il governo guidato da Boris Johnson deve trovare una posizione di compromesso fra gli Stati Uniti – con cui punta a rafforzare i legami commerciali, dopo l’uscita dall’Unione Europea – e i tradizionali alleati europei, con cui molto spesso negli ultimi anni ha trovato una linea comune in politica estera.
È per queste ragioni che il governo britannico sta prendendo posizioni piuttosto contraddittorie sull’uccisione di Suleimani: per esempio ha condannato il tweet di Trump con cui minaccia di bombardare alcuni edifici storici iraniani – ma senza citare direttamente Trump, con cui Johnson ha un ottimo rapporto – e sottolineato la crescente influenza negativa dell’Iran in Medio Oriente, ma chiedendo agli Stati Uniti di evitare ulteriori tensioni.
Nelle prime ore dopo l’attacco, anche Germania e Francia avevano reagito in maniera diversa: il ministro degli Esteri tedesco aveva esplicitamente accusato il governo americano di «non aver reso più semplici le cose» con l’uccisione di Suleimani, mentre quello francese si era detto preoccupato per le conseguenze sulla coalizione che sta combattendo l’ISIS fra l’Iraq e la Siria, guidata proprio dagli Stati Uniti.
Tutti e tre i paesi, secondo Politico, hanno iniziato ad esprimere più chiaramente la loro vicinanza agli Stati Uniti dopo che venerdì sera il segretario di Stato americano Mike Pompeo si era lamentato del fatto che «gli europei non sono stati di aiuto quanto speravamo». Lunedì hanno pubblicato un comunicato congiunto sull’Iran in cui viene evidenziato «l’impatto negativo» dell’Iran in Medio Oriente (secondo funzionari britannici contattati dal New York Times, è stato il primo ministro britannico Boris Johnson a convincere Francia e Germania ad avvicinarsi agli Stati Uniti).
L’Italia in questo momento non ha un ruolo preciso. Il governo italiano non è stato fra quelli europei contattati da Pompeo alcune ore dopo l’uccisione di Suleimani – Germania e Regno Unito – e finora il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è limitato a commentare la vicenda invocando «dialogo, diplomazia e soluzioni politiche», e in generale sembra più concentrato sul nuovo aumento delle violenze in Libia, su cui l’Italia ha effettivamente maggiori interessi nel breve termine. Poche ore fa su Facebook ha fatto sapere di avere ottenuto che nella riunione di venerdì dei ministri degli Esteri europei si parli proprio della situazione in Libia, oltre che di Iran.