L’Iraq vuole cacciare i militari americani
Il parlamento ha chiesto al governo di espellerli in risposta all'uccisione di Qassem Suleimani: non è ancora definitivo, ma può avere grosse conseguenze
Il parlamento dell’Iraq ha approvato una mozione a favore dell’espulsione di tutti i soldati statunitensi e i militari della coalizione internazionale anti-ISIS presenti sul territorio iracheno.
Formalmente, la mozione chiede al governo iracheno di terminare l’accordo con cui più di quattro anni fa il governo americano aveva mandato i suoi soldati in Iraq per combattere contro lo Stato Islamico (o ISIS). La mozione approvata domenica non è ancora definitiva, perché dovrà essere approvata e implementata dal governo, ma ha comunque un importante valore politico e simbolico. È stata presa infatti in risposta all’uccisione del potente generale iraniano Qassam Suleimani, in un attacco compiuto dagli Stati Uniti a Baghdad nella notte tra giovedì e venerdì.
Alla seduta parlamentare di domenica non hanno partecipato i deputati sunniti e curdi, favorevoli alla permanenza delle truppe americane in Iraq, ma il quorum è stato raggiunto comunque grazie alla presenza delle altre forze politiche, per lo più sciite e considerate vicine all’Iran (paese a stragrande maggioranza sciita).
Durante il suo intervento il primo ministro iracheno, lo sciita Adil Abdul Mahdi, considerato amico sia degli americani che degli iraniani, si è espresso senza mezzi termini a favore dell’espulsione delle forze militari statunitensi.
Mahdi ha detto che Suleimani era arrivato in Iraq giovedì sera per incontrarsi proprio con lui: era stato invitato dal governo iracheno perché doveva riferire la risposta dell’Iran all’offerta fatta dall’Arabia Saudita di ridurre la tensione nel Golfo Persico. Mahdi ha aggiunto che poco prima dell’attacco mirato contro Suleimani – attacco ordinato direttamente dal presidente americano Donald Trump – Trump lo aveva chiamato chiedendogli di fare da mediatore con l’Iran, dopo la recente escalation di tensione tra Iran e Stati Uniti. Diversi giornalisti ed esperti hanno definito la dichiarazione di Mahdi «sbalorditiva».
This is stunning – #Iraq prime minister tells parliament US troops should leave. Says @realDonaldTrump called him to ask him to mediate with #Iran and then ordered drone strike on Soleimani. Says Soleimani carrying response to Saudi initiative to defuse tension when he was hit.
— jane arraf (@janearraf) January 5, 2020
È ancora troppo presto per capire che conseguenze avrà il voto di oggi e quali saranno i tempi per un eventuale effettivo ritiro delle forze straniere dall’Iraq. Per gli Stati Uniti, comunque, quello che è successo è un brutto colpo e potrebbe significare una riduzione significativa della loro influenza in tutta la regione: il ritiro dei soldati americani dall’Iraq era infatti uno dei principali obiettivi di Suleimani.
Il governo iracheno aveva usato fin da subito parole molto dure contro l’attacco statunitense di giovedì, in cui oltre a Suleimani era stato ucciso anche Abu Mahdi al Muhandis, vice capo delle Forze di mobilitazione popolare, insieme di milizie irachene principalmente sciite molto legate all’Iran, e dal 2018 inquadrate all’interno dell’esercito iracheno. Le Forze di mobilitazione popolare avevano partecipato insieme all’esercito iracheno e agli Stati Uniti alla guerra contro l’ISIS, e da allora il loro potere e la loro influenza in Iraq era cresciuta parecchio. Anche per questo il governo iracheno aveva definito l’attacco statunitense di giovedì una «violazione della sovranità nazionale».
Una eventuale espulsione delle forze militari statunitensi dall’Iraq non sarebbe solo un’umiliazione per il presidente Trump, che probabilmente sperava di raggiungere obiettivi diversi con l’uccisione di Suleimani, ma avrebbe anche conseguenze molto rilevanti sulla guerra contro l’ISIS. Già prima del voto di domenica, l’esercito americano aveva annunciato la sospensione delle sue operazioni anti-ISIS per concentrarsi sulla difesa dei propri soldati da eventuali azioni di rappresaglia iraniana. Un ritiro definitivo potrebbe rendere l’Iraq ancora più vulnerabile a un possibile ritorno dello Stato Islamico.