Cosa ci è rimasto di Top Gun
Ebbe un successo straordinario che dura fino a oggi, al punto che nel 2020 uscirà un sequel (e in TV lo trasmettono ancora con regolarità)
Top Gun uscì negli Stati Uniti il 16 maggio 1986, quasi 34 anni fa. Nonostante l’ormai considerevole età, l’idea e l’estetica del film non sono invecchiate affatto, tant’è che ancora viene trasmesso con regolarità in TV (anche stasera, su Italia 1), e siccome la nostalgia del passato vende benissimo nel 2020 uscirà anche il sequel, Top Gun: Maverick, ancora con Tom Cruise a interpretare il pilota protagonista.
Top Gun è un film che innegabilmente è rimasto, non solamente per lo straordinario successo che ebbe quando uscì, ma anche perché fu molto rappresentativo di un periodo di ambizioni semplici e ingenue come furono gli anni Ottanta. È un esempio particolarmente riuscito di un tipo di film già esistente ma che avrebbe poi prevalso nella cultura cinematografica successiva, soprattutto tra gli adolescenti e giovani: grande tecnica delle riprese d’azione, celebrità che prevalgono sugli attori, prevedibile e banale costruzione delle storie e dei dialoghi, colonna sonora di canzoni superprodotte e che costituirono una parte notevole del suo successo: una su tutte, Take my breath away, che vinse il premio Oscar, scritta da Giorgio Moroder e Tom Whitlock e cantata da una band di meteore, i Berlin.
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Ma Top Gun ci mise anche tutto un repertorio che allora andò molto per la maggiore, di machismo spaccone e fragile insieme e di mascolinità bulla ma vanitosa come era quella nata negli anni Ottanta, e poi giubbotti di pelle, i Ray-Ban, Tom Cruise (che divenne Tom Cruise da lì in poi) e tutto il tema del patriottismo rinnovato dalla bellicosa ripresa della Guerra Fredda negli anni Ottanta (Matthew Modine, contattato prima di Tom Cruise, scartò la parte per antimilitarismo, e fece invece Full metal jacket di Stanley Kubrick).
In effetti alcune cose di Top Gun acquistano senso solo se viste attraverso le lenti degli Stati Uniti di quegli anni: come ha scritto bene Vox, Top Gun esemplifica alla perfezione l’era del presidente Ronald Reagan, che diede nuovo vigore all’antica dottrina dell’«American exceptionalism», cioè — semplificando molto — quell’idea che gli Stati Uniti siano un paese in qualche modo speciale. Reagan voleva infondere un nuovo ottimismo dopo le crisi degli anni Settanta, e lo fece anche utilizzando di nuovo una retorica piuttosto aggressiva nei confronti dell’Unione Sovietica. Film come Top Gun erano perfetti per corroborare quella retorica.
Invece la fortuna che ebbe negli anni successivi, arrivata fino a noi, passa anche per la riscoperta che dura ormai da qualche anno di tutta l’estetica degli anni Ottanta, di cui Top Gun è in una certa misura simbolo.
Il film era nato da un articolo di giornale sui piloti di aerei della Marina americana, intitolato “Top guns”. La storia è una specie di “coming of age” di Tom Cruise, giovane pilota fenomeno con traumi familiari, che frequenta una scuola di superpiloti, affrontando nemici russi, insicurezze proprie, sensi di colpa, amicizie maschili, e ovviamente un amore femminile (Kelly McGillis, attrice con una storia personale complicata e originale, il cui periodo di grande popolarità internazionale non superò gli anni Ottanta: tra l’altro assai più alta di Cruise, e raccontò poi di aver recitato in più scene in pose un po’ strane per non farlo notare). Il regista fu Tony Scott, uno che col genere ambizioso di produzioni ci ha lavorato parecchio: le riprese aeree acrobatiche e spettacolari sono ritenute ancora oggi eccezionali, e se le state rivedendo o le avete riviste stasera su Italia 1 non rimarrete delusi.
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