Una storia losca di criptovalute dalla Russia
L'ha raccontata BBC, e al centro ci sono quasi mezzo miliardo di dollari spariti e un oligarca di estrema destra
Le criptovalute, cioè le valute digitali come i Bitcoin, esistono ormai da una decina d’anni e sono diventate più o meno note un po’ a tutti a partire dalla fine del 2017, quando aumentarono a dismisura il loro valore finendo sui telegiornali e sulle copertine delle riviste di mezzo mondo. Più o meno in corrispondenza di quell’ascesa – di volume d’affari e di popolarità – i vari governi si adoperarono per controllarle e regolarle, riuscendoci in parte. Ma fino a quel momento le criptovalute sono state, e sono ancora in diversi paesi del mondo, un settore molto permeabile agli affari loschi e criminali: in certi casi sono un sistema efficacissimo per spostare e riciclare enormi quantità di denaro lasciando tracce molto difficili da scoprire.
Una di queste storie è stata raccontata da BBC News, la cui divisione russa ha dedicato diversi mesi a indagare cosa sia successo a circa mezzo miliardo di dollari che erano conservati in un sito di scambio valute ormai scomparso, con una storia intricata e rocambolesca che coinvolge un oligarca russo di cui recentemente si è parlato anche in Italia.
Un sito di scambio valute (exchange) è una piattaforma sulla quale gli utenti possono comprare, vendere e scambiare criptovalute, in certi casi anche passando dalle valute a corso legale – come gli euro o i dollari – a quelle digitali. Su questi siti, gli utenti hanno dei portafogli: i siti in pratica “conservano” le loro criptovalute, in cambio di una commissione, mettendole a disposizione quando richiesto. La storia delle criptovalute però è piena di siti di exchange che falliscono, chiudono o scompaiono, portandosi con sé i soldi conservati. È il caso di Wex, fondata nel 2017 dai russi Alexei Bilyuchenko, un informatico che lavorava per una catena di rivenditori di mobili.
Sei anni prima Bilyuchenko aveva creato insieme a Alexander Vinnik, specialista di pagamenti elettronici, il sito di exchange BTC-e. Assomigliava alle altre piattaforme, tranne che per un dettaglio fondamentale: non richiedeva il documento d’identità agli utenti. Sfruttando le lasche leggi russe, Bilyuchenko e Vinnik attirarono su BTC-e una gran quantità di affari malavitosi, di gente che aveva trovato un modo facile per riciclare soldi sporchi, semplicemente comprando criptovalute sul sito.
Secondo la ong Global Witness, nel 2016 BTC-e era diventato il terzo sito di exchange più grande del mondo. Aveva un volume d’affari di dieci milioni di dollari al giorno.
Nel 2017, Bilyuchenko e Vinnik andarono in vacanza in Grecia, senza sapere che l’FBI era sulle loro tracce con il sospetto che il loro sito nascondesse parte dei fondi spariti da Mt Gox, un celebre sito di exchange andato in bancarotta nel 2014. Quasi mezzo miliardo di dollari dei soldi che conservava non fu più ritrovato. Vinnik fu arrestato sulla spiaggia dalla polizia greca, davanti alla moglie e ai figli. Bilyuchenko, che era in un altro resort, fece in tempo a distruggere il computer, buttarlo in mare e prendere un aereo per la Russia.
Tornato a Novosibirsk, in Siberia, Bilyuchenko mise in piedi Wex per provare a recuperare parte dei soldi di BTC-e. Il suo vecchio sito era sotto sequestro, racconta BBC News, ma l’informatico riuscì a restituire i fondi ad alcuni dei clienti più grossi, grazie ai backup dei server di cui era ancora in possesso.
Ritenne però di doversi preparare a futuri imprevisti, e si rivolse perciò a Konstantin Valeryevič Malofeev, un oligarca russo di destra a capo del gruppo mediatico Tsargrad, la cui televisione è stata definita «la Fox News della Russia» e che ha rapporti stretti, per dirne uno, con Alexander Dugin, l’ideologo nazionalista e reazionario molto apprezzato da Putin e dai neofascisti italiani. Malofeev, attualmente sotto sanzioni internazionali per il suo coinvolgimento nel finanziamento dei ribelli filorussi in Ucraina, è peraltro una di quelle figure dell’imprenditoria russa vicina al governo e alla destra nazionale finite lateralmente in mezzo alle inchieste giornalistiche sulla Russia e la Lega. A lui fu erroneamente attribuita una frase molto circolata di un’intervista di Report, secondo cui la Russia aveva scelto di avvicinarsi alla Lega perché, visto il suo «basso livello socio-culturale», sarebbe stata facile da influenzare. In realtà quella frase l’aveva detta un militante neofascista italiano.
Da questo punto in poi, quello che sappiamo sulla storia di Wex lo sappiamo per via della deposizione di Bilyuchenko alla polizia, che BBC News ha potuto leggere. La sua testimonianza fu raccolta dopo che, alla fine del 2018, Wex chiuse facendo sparire con sé circa 450 milioni di dollari in criptovalute. Ci fu una sommossa dei clienti, e la polizia della Ciuvascia, in Russia, ricevette una denuncia. Cominciò a indagare, e quando Bilyuchenko fu interrogato raccontò una storia molto strana.
Disse che quando cercò il sostegno economico di Malofeev lo incontrò diverse volte, e l’oligarca sembrava interessato soprattutto a sapere il giro di affari di Wex. In uno di questi incontri gli furono presentati alcuni agenti che, a quanto capì, erano agenti dell’FSB, i servizi segreti russi. Lo portarono con sé in un edificio vicino al teatro Bolshoi, gli fecero domande su Wex e poi lo portarono in un albergo di lusso dove gli fecero passare la notte sotto sorveglianza. Il mattino dopo, ha raccontato Bilyuchenko nella sua testimonianza, lo riportarono all’ufficio di Malofeev, dove gli furono fatte pressioni perché trasferisse i fondi di Wex in quello che gli descrissero come un conto dell’FSB.
Stando a quanto ha detto Bilyuchenko, lui lo fece, rendendosi conto solo in seguito di essere stato raggirato: non aveva dato i soldi alla polizia segreta russa, ma a persone collegate a Malofeev. Dal momento della deposizione alla polizia, Bilyuchenko vive sotto scorta in un luogo segreto, e si è rifiutato di parlare con BBC.
Alexander Terentiev, che rappresenta alcuni dei clienti derubati di Wex, è scettico sulla versione di Bilyuchenko, e la stessa BBC ammette che la sua potrebbe essere un’invenzione. Malofeev da parte sua nega qualsiasi coinvolgimento con Wex. Ma la storia è stata raccontata dai media russi, e in molti sembrano crederci: a partire dalla fine di novembre, vari edifici pubblici di Mosca e San Pietroburgo, come tribunali, stazioni della metro e centri commerciali, sono stati vittima di telefonate anonime che minacciavano la presenza di bombe. Secondo i media russi, parte di queste segnalazioni includevano riferimenti ai fondi perduti di Wex e a Malofeev, che attraverso Tsargrad tv ha parlato di «una campagna diffamatoria» nei suoi confronti.
Vinnik, l’ex socio di Bilyuchenko, è intanto ancora detenuto in Grecia. Stati Uniti, Francia e Russia hanno chiesto la sua estradizione, senza ottenerla, e l’uomo non vede sua moglie da ormai due anni.