5 membri di una potente famiglia filippina sono stati condannati per il massacro di Maguindanao
Nelle Filippine si è concluso il processo di primo grado del cosiddetto “massacro di Maguindanao”: il 23 novembre del 2009 un convoglio di 58 persone, tra cui 32 giornalisti, venne aggredito in una strada di campagna da un gruppo di uomini armati; morirono tutti e furono sepolti con le auto in una buca fatta con una scavatrice a Maguindanao, sull’isola di Mindanao. Il gruppo stava andando a registrare il politico Esmael Mangudadatu come candidato governatore della provincia di Maguindanao; vi facevano parte sua moglie, alcuni parenti, avvocati e giornalisti. Oggi un tribunale filippino ha condannato all’ergastolo, in quanto responsabili dell’attacco, cinque membri della potente famiglia di Ampatuan, una influente dinastia della provincia di Maguindanao.
Il processo è stato seguito in tutto il paese e il verdetto – lungo 700 pagine – era atteso come una prova dell’integrità della giustizia filippina, mentre sempre più associazioni dei diritti umani denunciano la crescente impunità per i politici potenti. C’erano 101 imputati, molti dei quali sono stati assolti per mancanza di prove: gli Ampatuan hanno respinto le accuse e detto che faranno appello.
Il massacro di Maguindanao è stato impressionante e sanguinario anche in un paese come le Filippine dove gli assassini di politici candidati al ruolo di sindaco, parlamentare o governatore non sono così rari. Nel corso del processo alcuni testimoni sono stati uccisi e, secondo l’associazione per i diritti umani Human Rights Watch, le loro famiglie sono a rischio. Esmael Mangudadatu venne eletto governatore di Maguindanao nel 2010 mentre Andal Ampatuan Jr., che era candidato come suo rivale, è stato condannato per il massacro.