Il decimo Natale del Post
Gratitudini e consigli in tempi difficili agli uomini e alle donne di buona volontà: che ci sono, e possono fare cose insieme
Questo però è il primo Natale del Post, occasione simbolicamente più eccitante per un’impresa che vorrebbe che tutti fossero più buoni e che si è costruita per raccogliere e dedicare forze al miglioramento dell’informazione italiana e non solo di quella. E finora è andata molto bene.
Era il primo Natale del Post, eravamo contenti, commossi e motivati. Era il 2010: da non molto era successa una cosa storica e promettente nella politica mondiale – l’elezione del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti – e si stavano muovendo cose nella politica italiana progressista che annunciavano sparigliamenti benvenuti a un sistema vecchio e inadeguato al cambiamento dei tempi e del mondo. E infine, nel suo piccolo, era nato il Post: ad aprile, e saranno quindi dieci anni il prossimo aprile 2020.
Ma tra una settimana sarà già il decimo Natale del Post, e sono cambiate un sacco di cose. Quella che resta è che siamo contenti, commossi e motivati. Contenti perché il Post esiste solidamente nell’informazione italiana, dopo ben dieci anni, perché abbiamo fatto del nostro meglio ed è diventato quello che volevamo fosse quando lo pensammo. Commossi perché questo è successo col contributo delle tantissime persone che lo leggono (221 milioni di visite nel 2018, con un aumento sull’anno precedente del 61 per cento), e delle tante che lo percepiscono non solo come un servizio pubblico ma come qualcosa con cui avere una sintonia e una complicità rispetto ai modi di informare e di capire le cose, difficili da trovare con altre testate: tra loro, i tanti che hanno deciso di dichiararlo in questi sei mesi, abbonandosi. E infine motivati perché il progetto degli abbonamenti è una nuova cosa con cui il Post pensa di poter cambiare nel suo pezzetto gli andamenti dell’informazione e perché i suoi risultati ci daranno – con l’aiuto di tutti – la possibilità di fare cose nuove, e di fare quelle vecchie meglio e con maggior qualità ancora. Abbonatevi, rinnovate, “è per una buona causa”.
Intorno, non è che tutto sia così eccitante: quando nove anni fa scrivevamo di “un’impresa che vorrebbe che tutti fossero più buoni e che si è costruita per raccogliere e dedicare forze al miglioramento dell’informazione italiana e non solo di quella” avevamo sinceramente speranze maggiori. Le cose non sono esattamente migliorate, diciamo: anche sfuggendo alle retoriche catastrofiste e riconoscendo che sullo sfondo del mondo ci sono molti sintomi di miglioramento delle vite per molte persone, sulla scena più visibile in questi anni è tirata un’aria tremenda. La politica pubblica e le relazioni tra umani hanno raggiunto livelli di incattivimento e meschinità che difficoltà e problemi reali non bastano a legittimare. Malgrado sia Natale, gli uomini e le donne di buona volontà fanno molta fatica a vedere nelle vicende pubbliche e politiche opportunità di progresso e miglioramento delle cose: finisce che lo fanno come possono, nei loro spazi e nelle loro possibilità, e questo è preziosissimo. Ma è frustrante, lo sapete: si avrebbe voglia di farlo insieme, di farlo in tanti.
Ci sono stati tempi in cui il Post ha cercato di fare il suo lavoro di informazione indicando con ottimismo o almeno speranza forze politiche e persone che sembrava valesse la pena di sostenere, con cui condividere obiettivi di progresso. Non che non ne esistano più, ci mancherebbe, ma quelli che esistono sembrano inermi, e dei partiti e del loro stato attuale meglio non parlarne: i più meritevoli meritano al massimo umana compassione per le buone intenzioni asfissiate dalla mediocrità.
Ma tra fare un buon cappuccino ai clienti di stamattina ricevendone gratitudine – e migliorando il mondo – e vivere il disincanto per la politica di primo piano e il suo potere sprecato, c’è a metà strada qualcosa che può motivarli e conservarli ottimisti, gli uomini e le donne di buona volontà? Qualcosa che dia il senso che si stia “costruendo” e non solo “resistendo”, verbo triste, sfigato e perdente?
C’è, secondo noi, e sono le imprese culturali e sociali che stanno in mezzo, che fanno belle cose, “costruiscono”, e che forse proprio per queste “crisi di rappresentanza” ottengono partecipazioni e adesioni, e diffondono fiducia nel fatto che il mondo sia pieno di persone e di cose meravigliose, e che queste possano persino aumentare. Sono festival, sono giornali, sono programmi tv, sono riviste, sono case editrici, sono luoghi pubblici, sono siti web, sono anche aziende, per i quali la qualità dell’informazione o dei comportamenti prevale sui giusti criteri commerciali: non li annulla – per fare belle cose servono risorse – ma prevale. Sono luoghi che non inventano notizie, che non fanno terrorismo, che non trascurano né i loro dipendenti né i loro clienti, che non pubblicano autori mediocri, che non ospitano vanesi venditori di zizzania ed egoismo, che non sovvenzionano media che avvelenano i pozzi.
Ognuno di noi ne ha alcuni, ognuno di noi li sa giudicare: sono i luoghi e le aggregazioni di cui ci ricorderemo quando saremo fuori da tutto questo, perché avevano seminato e costruito. È già successo in altri periodi della storia del mondo, l’ultimo mezzo secolo fa, che lugubri culture dominanti non fossero più tollerabili e un desiderio di luce si facesse forza. Succederà ancora, e sarà merito di chi aiuta a capire le cose e a migliorarle, invece che a falsificarle e a peggiorarle. Stiamo con quelli, siamo – imperativo – quelli, costruiamo delle cose: e buon Natale.