Da dove salta fuori Adam Driver
È dentro Star Wars e "Storia di un matrimonio", i più grandi registi lo adorano, viene da due anni nei Marines e «da un altro mondo»
Tra pochi giorni, quando insieme all’anno finirà anche il decennio, chi lo vorrà potrà vedere quattro nuovi film con Adam Driver, attore statunitense di 36 anni. Tre già si possono vedere: The Report, un film sull’indagine sulle torture della CIA dopo l’11 settembre; I morti non muoiono, una commedia horror su un’apocalisse zombie; e Storia di un matrimonio, il film, ora su Netflix, in cui recita con Scarlett Johansson e grazie al quale secondo qualcuno potrebbe vincere l’Oscar. Il quarto, Star Wars: L’ascesa di Skywalker, uscirà il 18 dicembre e concluderà la terza trilogia della saga, diventando di sicuro uno dei film con i maggiori incassi dell’anno. Quattro film noti e importanti, compreso un importante ruolo in un grande blockbuster e un’interpretazione, in Storia di un matrimonio, tra le migliori dell’anno. Tutto questo per un attore che dieci anni fa nemmeno faceva l’attore, e che fino a poco più di cinque anni fa per molti era soprattutto come “quello di Girls“, la serie tv di Lena Dunham.
In questi anni Driver ha avuto una carriera notevolissima: tre Star Wars, interpretando l’antagonista Kylo Ren, e poi film diretti, tra gli altri, da Clint Eastwood, Steven Spielberg, Noah Baumbach, i fratelli Coen, Jim Jarmush, Jeff Nichols, Steven Soderbergh, Spike Lee, Martin Scorsese e Terry Gilliam. Riuscendo, in tutto questo, a recitare anche a teatro, dove quest’anno è stato nominato al Tony Award, l’Oscar del teatro, per la sua interpretazione in Burn This.
Negli ultimi anni, e ancora di più negli ultimi giorni, diversi importanti siti e giornali hanno dedicato a Driver dettagliati profili. Tra gli altri hanno scritto di lui il New York Times, il Guardian, GQ, Vogue, Vulture, Rolling Stone e il New Yorker, in un lungo articolo scritto da Michael Schulman. È davvero raro, comunque, trovare un articolo che, parlando di Driver, non parli della sua vita prima di diventare attore. In particolare degli anni che passò nei Marines.
Adam Driver, nato in California ma cresciuto in Indiana dopo il divorzio dei genitori, ha raccontato più volte di essere stato fin da piccolo affascinato dalla recitazione. Almeno all’inizio, però, senza particolare successo. Da bambino fece qualche piccola esperienza recitando quando capitava per la chiesa del patrigno, un pastore battista. «Alle scuole medie provò a entrare nel cast di una rappresentazione teatrale», ha scritto il New Yorker, «ma non lo presero e lo misero a far salire e scendere il sipario».
Andò meglio alle superiori, quando alcuni insegnanti gli consigliarono di provare a entrare alla Juilliard, una rinomata scuola di arti performative di New York. Lui ci provò, anche perché la Julliard sceglieva chi accettare solo in base a colloqui e provini e non basandosi sui voti (e i suoi non erano particolarmente alti). Andò male ancora, e lui ha detto al New Yorker di credere di sapere il perché: «Credo che allora cercassi di piacere e basta. Non avevo opinioni sulle cose che dicevo». Dopo quel rifiuto, Driver non si iscrisse all’università ma fece una serie di lavori e lavoretti non particolarmente appaganti e per cui si è detto per niente portato.
Poi arrivarono gli attentati dell’11 settembre 2001, quando Driver aveva quasi 18 anni e, ha detto lui a GQ, stava «a casa a non fare un cazzo». Decise d’impeto di arruolarsi nei Marines, considerato il più duro tra i corpi delle forze armate statunitensi: «Ma non pensavo alla politica, per niente. Nella mia mente il nemico era senza volto». Come ha scritto il Guardian, «dopo aver ripetutamente reagito all’autorità della religione, scelse la disciplina dei Marines». Si arruolò così in fretta, ha detto lui, che chi lo accolse gli chiese se per caso non stesse scappando da qualche condanna.
Fece l’addestramento, venendo scelto per fare l’artigliere, e siccome sia lui che un altro ragazzo avevano le orecchie grandi e a sventola vennero subito soprannominati “Orecchie 1” e “Orecchie 2”. Dopo un paio di anni di addestramento negli Stati Uniti sarebbe dovuto partire per l’Iraq, ma durante un giro in mountain bike con un amico si dislocò lo sterno e, anche per via di successive complicazioni, venne congedato. Tutti i membri dell’unità di cui avrebbe dovuto fare parte tornarono vivi, poi, dall’Iraq; ma lui ha detto che fece di tutto per provare a non farsi congedare e soffrì molto per non essere partito. «Mi sentivo una merda».
Finita la carriera militare, provò a entrare in polizia ma fu rifiutato perché non ancora ventunenne: «Una cosa strana», ha detto lui: «Ero stato un artigliere, sapevo usare dei mortai, ma all’improvviso non ero abbastanza grande per tenere in mano una Glock?». Decise quindi di fare un nuovo tentativo per entrare alla Julliard, e fu preso.
Driver ha raccontato che fu strano passare dai Marines alla Julliard e che, ormai abituato alla disciplina militare, tentò di metterla in pratica anche lì. Per esempio correndo ogni mattina un po’ meno di dieci chilometri per andare alla scuola, o passando le notti sveglio a guardare i grandi classici del cinema o studiare le opere più importanti del teatro. E, scrive GQ, «iniziando le giornate con sei uova e mangiando ogni giorno un pollo intero». Per assumere tante energie da bruciare nei diversi esercizi quotidiani che faceva per tenersi in forma.
Ma la transizione fu comunque notevole. «Era passato dall’armeggiare con i mortai al fingere di essere un pinguino durante le lezioni di improvvisazione», ha scritto il New Yorker. Lui stesso ha spiegato di sentirsi in parte stranito, perché era diverso dai suoi compagni con cui studiava recitazione, ma ormai anche dai compagni con cui aveva fatto parte dei Marines. Ha raccontato che, rivedendoli in occasione di un lutto, li aggiornò così sulla sua nuova vita: «Sì, ci fanno mettere dei pigiami, e parliamo dei nostri colori interiori, e un giorno abbiamo fatto un esercizio in cui dovevamo partorire noi stessi».
Nel 2009 Driver finì gli studi alla Julliard, dove intanto aveva conosciuto Joanne Tucker, che sarebbe diventata sua moglie e madre di suo figlio, e piuttosto velocemente iniziò la sua carriera. Fece una piccola parte in Law & Order, poi nel 2011 ebbe un piccolo ruolo in J. Edgar. Non si trovano grandi storie e buffi aneddoti su come e perché Driver iniziò la sua carriera nel cinema, o su come dopo J. Edgar fu scelto per recitare anche in Lincoln e Frances Ha. Nel 2012 iniziò a recitare in Girls, nel 2014 vinse la Coppa Volpi di Venezia, il premio al migliore attore del Festival, grazie al suo ruolo in Hungry Hearts di Saverio Costanzo.
Come ha scritto Vulture, «se vi sembra che Driver fu scoperto all’improvviso, è perché in gran parte è così». Molti attori vengono scelti per il loro secondo, terzo o quarto film grazie al successo o alla forza di una precedente interpretazione. Driver no: «Capitò praticamente nello stesso periodo che diversi grandi registi si accorgessero di lui, del suo innato appeal».
Scorsese ha detto che lo ritiene «uno dei migliori, forse il migliore attore della sua generazione» e ha detto di ammirarne «la dedizione, la serietà e la capacità di capire» e «il modo in cui si muove, il suo senso di presenza davanti a una cinepresa». Ha anche aggiunto, visto che lo scelse per Silence, un film storico, che non tutti possono sembrare credibili persone del passato, e che invece «Adam potrebbe essere uno saltato fuori da un dipinto fiammingo o italiano». Jarmush ha detto di essere stato colpito dalla sua «unusual usualness», un’atipica normalità. Soderbergh ha detto: «La sua fisicità, il ritmo con cui parla: in lui tutto è inaspettato eppure completamente organico al tutto. Sembra che arrivi da un altro mondo». Gilliam ha detto che «è rigorosissimo, eppure a volte completamente buffo».
Molti critici ritengono che Driver in Girls si sia fatto notare per aver dato al suo personaggio una profondità che sulla sceneggiatura (o con un altro al posto suo) non avrebbe avuto. In Paterson recita senza quasi mai parlare, e lui stesso ha raccontato che molte scene, in sceneggiatura, dicevano che la principale attività del suo personaggio era “ascoltare”. J.J. Abrams, che l’ha voluto per fare il cattivo di Star Wars, il nuovo Darth Vader, ha detto che è stato fondamentale perché, con lui, «non sai mai cosa può succedere», e riesce a far diventare il suo personaggio imprevedibile, ma anche temibile e meritevole di pietà e comprensione.
Driver è alto e muscoloso e certamente considerato bello da moltissimi spettatori e spettatrici, anche se ha sicuramente una faccia molto particolare. Ha anche una voce peculiare, quasi baritonale, e in generale un aspetto inconsueto. Sul New Yorker, Schulman ha scritto di lui che ha «il modesto portamento di un avvoltoio e la faccia che ricorda uno dei moai dell’Isola di Pasqua».
Secondo Vulture, le premesse sul perché uno come Driver possa aver avuto successo vanno cercate nel 1967, quindici anni prima che nascesse, quando uscirono Il laureato e Gangster Story, due film con protagonisti degli uomini normali, non due attori di Hollywood che interpretavano due uomini normali. Questa normalità di Driver, e il suo essere per certi versi puro, reale e autentico – o, a voler usare parole difficili, archetipico – torna spesso quando si parla di lui. Non a caso, citando tra l’altro una scena di Girls, il lungo articolo che gli ha dedicato il New Yorker si intitola “Adam Driver, the Original Man“. A questo bisogna però aggiungere che, come scrive Vulture, Driver «assomiglia solo a se stesso» e che, sebbene in giro sia pieno di persone che sembrano “persone normali”, per diventare attori serve anche altro.
Grazie al suo talento, Driver può passare dall’essere l’imbroglione hipster di Giovani si diventa o lo scienziato calmo e modesto di Midnight Special. E grazie alla sua singolarità può interpretare un prete gesuita dal destino tragico per Scorsese, il poeta e l’autista di pullman per Jarmush e un Jedi cattivo per J.J. Abrams, sempre in modo convincente e credibile. È un raro caso di attore maschile che può essere ugualmente convincente sia come ballerino che come pugile, brutale e sensibile in egual misura. Ci sono alcuni – pochi – altri attori con questa versatilità (che tra l’altro raramente viene richiesta loro). Ma Driver ce l’ha a prescindere.
Driver, dal canto suo, dice di non vedersi per niente come un sex symbol: e, a proposito del vedersi, dice che riguarda i suoi film solo se proprio obbligato e comunque in genere molto malvolentieri. Racconta di fare eccezione per i film di Star Wars, un po’ perché ne è fan, un po’ perché perlomeno in molti momenti ha una maschera che gli copre il viso. Dice di soffrire anche un po’ il fatto di essere spesso riconosciuto, perché il suo lavoro di attore richiede, per capire certe cose, di «spiare gli altri», ma che se tutti gli altri ti stanno fissando è molto difficile poterlo fare. Dice, e si dice di lui, che per prepararsi ai ruoli sia particolarmente attento allo studio: per Lincoln, in cui aveva una piccola parte come telegrafista, decise di imparare il codice Morse; per La truffa dei Logan, invece, ha imparato a fare i Martini usando una sola mano. Ha creato insieme alla moglie un’associazione, Arts in the Armed Forces, per proporre diverse forme d’arte a chi fa parte dell’esercito.